Ghostbusters 2016. Il girl power si fa beffe della nostalgia
Il 28 luglio arriva il reboot più controverso dell’estate sotto la direzione di Paul Feig. Passando per la lotta agli haters, il nuovo capitolo della lotta ai fantasmi fa la sua apparizione nelle sale italiane. Noi di Ghigliottina.it abbiamo “risposto alla chiamata” in anteprima
di Valentina Palermi
su Twitter @ValPalermi
“Nessuno tocchi Slimer”. O, se preferite, il gigantesco Omino Marshmallow.
In tanti, puristi o nostalgici, avranno idealmente sperato di vedere immutati i simboli che subito vengono alla mente pensando al cartone animato The Real Ghostbusters, una delle sigle della nostra infanzia. Oppure di ritrovare, magari imbolsiti o invecchiati ma pur sempre ineguagliabili, gli iconici personaggi degli episodi I e II degli anni ’80. O magari (forse meglio) di lasciare il mito di Ghostbusters intatto.
Tante – forse troppe – le congetture attorno alla decisione del regista Paul Feig di realizzare un nuovo film – il cui trailer è il più disliked di tutti i tempi – sugli acchiappafantasmi. Nuovo, perché di sequel non si tratta.
Ghostbusters 2016 (ri)parte da quattro protagoniste, pronte a prendere di mira per 116 minuti gli stereotipi di genere a suon di risate. Dal palco del Saturday Night Live sono pronte a saltare su – e da – quello del Boston’s Wang Theatre, per consacrare “anni di fatica” e “tanti leccamenti”.
Abby (Melissa McCarthy), Erin (Kristen Wiig), Holtzmann (Kate McKinnon) e Patty (Leslie Jones) si divertono a sovvertire i ruoli, colpendo spaventosi fantasmi nei “punti sensibili”. Due scienziate, un’ingegnere nucleare e un’operaia della MTA combattono l’ottusità, il sessismo, il razzismo, la prepotenza, l’odio, l’immaturità del mondo – maschile – andando contro il loro senso d’impotenza, tirando fuori i loro fucili protonici e cominciando a “fare sul serio”.
I loro personaggi permettono di riconoscere in ognuna le categoriche emarginazioni della società femminile – la “grassa”, la “secchiona”, la “lesbica” e la “nera” -, alle quali si contrappone – o sarebbe meglio dire aggiunge? – l’oca giuliva nei panni – attillati – del biondo “bamboccione” tutto muscoli e niente cervello Kevin (Chris Hemsworth).
Tutti, nessuno escluso, si divertono a reinterpretare sé stessi, trascendendo talvolta il personaggio di fantasia e confondendosi con il reale, impersonando ogni genere di luogo comune, scimmiottando cliché, pregiudizi e debolezze che possano nascondersi dietro la storia.
Per intenderci: chi non ha pensato almeno una volta – o dopo aver visto questo film – che un “belloccio” non possa recitare credibilmente un ruolo brillante, o che difficilmente possa esserci collaborazione o amicizia tra donne – senza convenzionalmente ammiccare all’amore saffico -?
Nel caso durante la visione del reboot la possibilità di scovare fantasmi non vi elettrizzi così tanto, scovare cameo e “chicche” piuttosto Eighties potrebbe essere emozionante.
La comparsa di Bill Murray – che nemmeno nella realtà sembra smettere i panni di un “vecchietto” sarcastico ed eccentrico -, Dan Aykroyd e Ernie Hudson, insieme alla grandiosa Sigourney Weaver, infrangono le barriere spazio-temporali e donano alla pellicola la riconoscibilità e l’autorità che probabilmente un così grande numero di detrattori del progetto rischia di minacciare.
Fin dalle prime scene, i viaggi inter-dimensionali apriranno le loro porte ai “fantasmi del passato”, sfidando l’occhio più attento. Trovate gli inevitabili omaggi alla figura di Harold Ramis, scomparso nel 2014, noto per essere il serio e laconico Egon Spengler nella finzione e co-sceneggiatore dei capitoli che si sono impossessati di noi, e l’apparizione di Annie Potts, in una “variante” al suo ruolo di Janine Melnitz, la segretaria dalla caratteristica voce, spalla dei “magnifici quattro”.
Trent’anni e più dopo il debutto del primo film, e venticinque dopo l’ultima “evocazione” dei fantasmi al cinema, Ghostbusters torna per offrire uno spettacolo piacevole, proponendo un team che sta ben attento a non fare della bandiera del girl power uno strumento per entrare a gamba tesa nel confronto col passato, preparando il pubblico ad una nuova e unica (per buona pace di Zuul?) avventura.
Si sa, “haters gonna hate”… ma provate ora a dire che la comicità “non è un lavoro da femmine”!