Rifugiati: senza istruzione, senza futuro
Il report “Missing Out: Refugees Education in Crisis” dell’UNHCR denuncia la strutturale e vasta carenza di strutture e progetti educativi pensati per giovani e giovanissimi rifugiati. Più di 3 milioni e mezzo di essi non hanno alcun accesso alla scuola e ciò impoverisce le opportunità di costruire un futuro migliore
di Angela Caporale
su Twitter @puntoevirgola_
L’educazione dovrebbe essere il fondamento per la costruzione di un futuro migliore. Cosa ci racconta allora del nostro domani il fatto che più di metà di rifugiati non frequenta alcuna scuola? Questo il paradosso che emerge dal report pubblicato dall’agenzia ONU per i rifugiati, l’UNHCR, dedicato all’analisi dei dati riguardo la scolarizzazione dei giovani migranti.
I numeri sono impressionanti: su 6 milioni di rifugiati in età scolare, 3,7 milioni non hanno alcuna scuola da frequentare. 1,75 milioni di bambini non vanno alla scuola elementare, 1,95 milioni di adolescenti non vanno alla scuola secondaria. Questi dati assumono ulteriore valore se comparati, in termini percentuali, con il numero di coetanei iscritti a varie forme di istruzione pubblicati dall’UNESCO: solo il 50% dei bambini rifugiati ha accesso alla scuola elementare contro il 90% del dato globale; il 22% degli adolescenti rifugiati frequenta la scuola media contro l’84%; solo l’1% dei rifugiati è iscritto all’università, a fronte del 34% di media generale.
Il baratro è destinato ad aumentare. Secondo quanto riportato sempre dall’UNHCR, la popolazione di rifugiati in età scolare è cresciuta del 30% soltanto nel 2014, un aumento annuale di circa 600mila bambini a partire dal 2011. Entro qualche anno, si stima che saranno necessari almeno 12.000 aule e 20.000 insegnanti nuovi all’anno. Uno sforzo che i paesi che ospitano la maggior parte dei rifugiati – e in particolare quelli in età scolare – non possono sostenere da soli. Infatti, i rifugiati esclusi dall’educazione sono concentrati in alcuni paesi: Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Kenya, Libano, Pakistan e Turchia.
La situazione è molto diversa nei vari paesi per il tipo di migrazioni che li interessano e l’attenzione mediatica a loro dedicata. Nessuno o quasi si occupa delle migliaia di rifugiati bloccati in maniera semi-permanente nei giganteschi campi profughi di alcuni paesi africani. Per fare un esempio, nel campo di Kartuma, nel nord del Kenya, solo il 3% dei ragazzi ha accesso alla scuola secondaria e l’1% alla scuola superiore. In Ciad, una recente riforma del sistema educativo, che l’ha reso a gestione pubblica, ha ampliato le opportunità per i bambini rifugiati che possono, in teoria, frequentare le scuole con i coetanei. Tuttavia si tratta di una riforma particolarmente costosa, ci vorranno ancora anni perché possa effettivamente essere applicata su ampia scala.
In Siria, invece, la situazione è più unica che rara. Il primo elemento che emerge è il drastico calo dell’accesso all’educazione. Prima del conflitto, il 94% dei bambini andava a scuola. Oggi la percentuale è precipitata al 60%. Ospitati principalmente nei paesi limitrofi, i giovanissimi rifugiati possono trovarsi in situazioni molto differenti in base all’attuale paese di residenza. In Giordania, la maggior parte delle famiglie siriane è ospitata in enormi campi profughi, come quello di Zaatari. Andare a scuola è un costo anche nel campo, non sono poche quindi le famiglie che rinunciano all’istruzione per poter mettere da parte qualche soldo. La testimonianza di un ragazzino di 13 anni, raccolta dall’UNICEF, conferma che la priorità resta risparmiare: “deve lavorare perché la sua famiglia manda i soldi ai parenti rimasti in Siria”.
In Turchia, solo il 39% di bambini e adolescenti è iscritto o ha accesso all’istruzione. L’inchiesta di Valentina Petrini per Piazza Pulita racconta cosa accade agli altri. Niente ipocrisie né etichette di “paese sicuro”: in Turchia i bambini vengono sfruttati ed impiegati per realizzare scarpe, jeans e altri capi d’abbigliamento smerciati nei centri commerciali di tutto il mondo. Una violazione grave dei diritti umani per la quale nessuno sembra prendere provvedimenti. Al contrario, rende più pericolosa ogni giorno di più la vita fuori dalla scuola per i giovanissimi rifugiati.
L’UNHCR con il report “Missing Out: Refugee Education in Crisis” denuncia con forza l’assenza di forme di educazione e scolarizzazione per i più piccoli e vulnerabili tra i rifugiati. Il portavoce dell’agenzia, Filippo Grandi, sottolinea: “Nel momento in cui la comunità internazionale considera come affrontare al meglio la crisi dei rifugiati, è essenziale spingersi oltre la sopravvivenza di base. L’educazione fornisce ai rifugiati la possibilità di plasmare positivamente il futuro dei loro paesi d’accoglienza e di quelli natali, quando avranno l’opportunità di tornarvi al sicuro”.
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