Interrail: guida alla sopravvivenza #1
Diceva il saggio: “L’Interrail non è per i deboli di cuore!”, ed eccone la conferma. Tutto quello che c’è da sapere (e qualche aneddoto in più) su come organizzare un viaggio che attraversa tutta Europa, con la testimonianza viva di chi è appena tornato. Dalla cima della Norvegia ai mulini olandesi, dalla “blue” Danimarca ai borghi medievali tedeschi: la wanderlust e come ti cambia la vita
di Gloria Frezza
su Twitter @lavanagloria
PRIMA PARTE
E sia, non potrò osservar nulla diligentemente, ma in compenso
avrò visto tutto, sarò stato dappertutto; in compenso, da tutto
quel che avrò visto si comporrà un qualcosa d’intero,
un qualche panorama d’insieme. In una parola, ne verrà
fuori una qualche impressione nuova, meravigliosa, forte.
H. Böll “Opinioni di un clown”
Non posso dimenticare un giorno d’estate di qualche anno fa, quando ne avevo circa quattordici, trascorrevo il pomeriggio a casa di un’amica e suo fratello maggiore tornò dall’Interrail. Aveva gli occhi cerchiati e un largo sorriso, uno zaino sformato e nessun vestito pulito. Quando sua sorella gli chiese come fossero stati questi trenta giorni a spasso per l’Europa, lui raccontò semplicemente di come con i suoi amici avessero comprato una pentola e avessero poi continuato a infiltrarsi negli ostelli per mangiare insieme a persone diverse ogni sera, senza dover comprare cibo. Sua sorella sembrò sconvolta da questa prospettiva, per contro io decisi che qualsiasi cosa fosse questo “Interrail”, prima o poi l’avrei fatto anch’io.
Ed eccomi dieci anni dopo, con una laurea fresca tra le mani ma la stessa concretezza della prima gioventù, seduta ad un tavolo a dimostrare di avere davvero il coraggio di accontentare quella bambina curiosa che ero. Accanto a me, un amico fedele e appassionato come me di foreste nordiche e venti freddi, tra noi vige il supremo accordo: “Giuro solennemente di fermarmi ogni volta che hai bisogno di fare pipì”. Vi assicuro che è uno dei principali fattori ad aver assicurato la nostra sopravvivenza.
Decidiamo di selezionare l’opzione “Global Pass” per 20 giorni, che ci assicura tutti i treni d’Europa per questo lasso di tempo. L’alternativa sarebbe stato il pass “One Country”, che permette di viaggiare attraverso uno solo degli stati europei. Chiaramente questa è la decisione più importante del vostro viaggio, ci sono due modi per affrontare un Interrail: dedicarsi ad un solo territorio permette di scoprire tanti piccoli scorci preclusi ai viaggiatori normali, fare escursioni in villaggi e cittadine sperduti, esplorare un percorso dell’anima in cui quella nazione è pronta a guidarvi. Scegliere di girare l’Europa è una storia diversa, è un’immersione nel vero senso della parola, potrebbe finirvi il fiato, potreste sentirvi persi e soli, fuori dal vostro elemento e anche completamente, pazzamente e insaziabilmente felici.
COME PRENOTARE
Una piccola chicca: a marzo il sito Interrail.eu fa dei piccoli sconti di primavera, il che vi permetterà di acquistare il vostro pass ad un prezzo decisamente più conveniente (30% di sconto), e di conseguenza anche di aumentare la durata del vostro soggiorno. Il nostro pass, che è il più costoso, è costato 316€ comprensivo di assicurazione, che vi permette in caso di perdita del pass durante il viaggio di continuare ad utilizzare il budget con il quale lo avete pagato per comprare i biglietti dei treni. Il sito inoltre, possiede un efficiente programma di prenotazioni qualora voi vogliate viaggiare in notturna o con treni ad alta velocità (che necessitano obbligatoriamente di una reservation).
Dopo l’acquisto, il pass arriva via posta raccomandata tassativamente in cinque giorni lavorativi, corredato di una simpatica pass-cover, di una guida nella lingua dell’acquirente e di una mappa dell’Europa su cui segnare il proprio itinerario. Una volta ricevuto, ci si registra agilmente sul sito (potendo affiancare al proprio pass quello dei compagni di viaggio così da non dover fare due volte le prenotazioni) e si comincia ad esplorare la tabella oraria dei treni di tutta Europa. Settato il viaggio con treni approssimativi, tramite il tasto Submit si potrà verificare in tempo reale se i selezionati siano prenotabili e disponibili e quindi, procedere all’acquisto. Casomai alcuni treni non fossero utilizzabili è il sito stesso a proporre alternative, senza lasciarvi soli alla vostra disperazione.
I treni notturni, in un viaggio così lungo e travagliato, sono essenziali per riuscire ad evitare qualche notte in ostello, dunque il mio consiglio è di occuparsi delle prenotazioni alcuni mesi prima della partenza, dato che i posti concessi agli “interrailers” su questo tipo di treni sono limitati. Non serve nemmeno dirlo, ovviamente, ma i maggiori problemi si riscontrano a trovare posto nelle ferrovie di centro Europa, in Scandinavia invece, nessun inconveniente registrato.
Una curiosità che forse non sapete, è che non si può viaggiare con Interrail pass nel proprio Stato di provenienza. Si ha diritto a soli due viaggi “di partenza” e “di ritorno a casa”, quindi ponderate bene per evitare di ritrovarvi a Bologna alle 6 di mattina e dover pagare per intero una Freccia per Palermo. Un solo viaggio vuol dire che, arrivati a destinazione in suolo italico, il pass non vale più e non c’è modo di ottenere nemmeno un piccolo sconticino.
COSA PORTARE
Dopo aver sbrogliato le situazioni burocratiche è necessario cominciare a interiorizzare il tipo di viaggio che ci si appresta a realizzare e noi ne abbiamo avuto la chiara percezione solo quando sono arrivati gli zaini. Ebbene sì, pur essendo venti lunghi giorni di peregrinazioni era necessario dimenticare la comodità dei trolley per riversare tutto il nostro entusiasmo nell’appallottolare più mutande possibili dentro uno zaino da trekking. Vado a svolgere dunque una lode sperticata verso i nostri due compagni di viaggio per avercelo reso molto più sopportabile senza gravare, nel vero senso della parola, sulle nostre spalle (anche perché quelle bretelle ergonomiche sono davvero eccellenti).
Non mi dilungherò ulteriormente sul tipo di tecnica da utilizzare per sfruttare l’irrisorio, sebbene espandibile, spazio nello zaino. Tuttavia, ci sono una serie di oggetti che proprio non potete lasciare a casa e con l’andare dei giorni si riveleranno via via più utili. Il primo è una borraccia, non troppo grande per evitare troppo peso, ma sufficiente per garantirvi di evitare le spese riservate alla sete. Non ci crederete, ma l’acqua è uno degli esborsi più grandi che avrete ed anche tra i più evitabili; dunque procuratevi una caratteristica boccetta decorata come preferite ed assaporate l’H2O di tutti i paesi che andrete a toccare. Per quanto mi riguarda, durante il viaggio ho perduto ben due borracce, una sulla scogliera di Voss in Norvegia e l’altra sul treno per Utrecht: non sarete dimenticate.
Il secondo oggetto sono dei leggins termici, di quelli sottili indossabili sotto i jeans. Se intendete spingervi in territori piuttosto diversi tra loro non potrete mai prevedere le singole variazioni climatiche con esattezza (fidatevi, ci abbiamo provato) quindi avrete bisogno di cambiarvi velocemente e non avrete sempre a disposizione i camerini di Zara per farlo. Un’ulteriore eccellente idea è l’Amuchina, non vi annoierò con le mille situazioni in cui ci ha salvati, vi basti sapere che era l’ultima cosa che ringraziavamo ogni sera prima di dormire. Ultima, ma non per importanza, una vitale piccola torcia. Cambiare continuamente dimora non è il metodo più facile per memorizzare la posizione degli oggetti.
IL NOSTRO ITINERARIO
Bene, ora spalancate le pupille perché quello che state per leggere è un capolavoro di ingegneria e programmazione compilato con accuratezza e mostrato con orgoglio, spero che ne sarete soddisfatti quanto lo siamo stati noi, che tuttora non accettiamo come totalmente vera l’affermazione di averlo fatto. Va specificato che per coprire una distanza maggiore con i treni e volendo noi dedicarci con precisione alla Scandinavia, abbiamo scelto due voli per l’andata ed il ritorno, ovviamente con compagnie low-cost, completando quella che si definisce propriamente una “ridiscesa al sud”.
Partiamo da Roma Ciampino il 6 aprile 2016 alle 6 di mattina, direzione Göteborg, dove inizia la nostra lunga storia d’amore con la pioggia battente. Giriamo un’intera giornata in questa cittadina portuale svedese, che non somiglia a nessuna città vista prima, con un ritmo lento e dei bellissimi palazzi liberty. Raccoglie le industrie più produttive di Svezia e la seconda migliore università nazionale, coniugando due aspetti che sembrano così lontani altrove. Mangiamo al mercato del pesce e ci rifocilliamo nelle splendide sale dell’Opera, prima di salire sul nostro primo vero treno ad alta velocità diretto ad Oslo. Durante il viaggio salgono due signori distinti con gli auricolari collegati da un cavo elicoidale ad un apparecchio, che fanno dedurre che di certo non è musica quella che ascoltano. Fanno una serie di domande ai passeggeri, alcune casuali, altre abbastanza precise; quando arrivano a noi, esaminato il pass diventano immediatamente molto gentili e ci chiedono delle nostre mete future, con altri passeggeri rimangono anche mezzora. Ci accorgiamo scendendo che si trattava di polizia di frontiera, dal finestrino il paesaggio non è cambiato, ancora foreste verdi e clima uggioso, ma siamo a tutti gli effetti in Norvegia.
Ad Oslo rimaniamo per qualche ora, in serata. La stazione centrale sembra un’enorme azienda multinazionale e alcuni tra i più incredibili soggetti si siedono con noi in attesa del notturno per Bergen. Tutti nel tentativo di riscaldarsi si concedono un panino da Burger King e, a giudicare dalle facce, la soddisfazione che ce ne viene è la stessa per tutti. Viaggiare di notte su poltrone diurne, sebbene comode, non è un’esperienza che consiglierei a piene mani devo ammetterlo. Nonostante la NSB ci tenesse a mantenerci al caldo con un kit completo di copertina, mascherina, cuscino gonfiabile e tappi, le ore effettivamente da me utilizzate per dormire sono poche. In compenso, verso le 4.30 la mia insonnia mi permette di assaporare il muro di neve alto almeno tre metri che ci accoglie alla stazione di Myrdal, anche se il mio compagno continua a sostenere che l’ho sognato.
A Bergen la neve non c’è, anche se fa davvero freddo. La città si appoggia serena sul Mare del Nord e il cielo è più limpido di quanto mi sia capitato di vedere negli ultimi tre anni. Il ritmo è più lento, ma solo all’apparenza; in effetti sono talmente avanzati che il nostro B&B non ha nemmeno la reception. Sconfitta la tentazione di recuperare le ormai 36 ore di sonno vendute al dio dell’Interrail, ci forziamo a fare un giro preliminare della cittadina. Modernità e antico si incontrano pacificamente a Bryggen, sul molo. Piccole case di legno ricolme di pantofole di renna e deliziosi ninnoli dipinti fanno tutto un altro effetto rispetto ai nostri chioschi di souvenir. Nei tre giorni sul cucuzzolo del mondo abbiamo camminato fino al lago Revurtjiernet, visitato la Bergenhus Festning da cui è stata combattuta una delle poche battaglie norvegesi, assaggiato una zuppa di renna e divorato due panini al salmone dal Fish Market, appreso oscure leggende su quella che sembra essere la residenza invernale di Nessy e infine stretto amicizia con innumerevoli gatti selvatici, probabili goblin in incognito. Nel dayfree prendiamo un treno piccolissimo e, zaini in spalla, andiamo a coccolare gli spiriti con l’infinita distesa del lago Vangsvatnet, nel minuscolo villaggio di Voss: un’ora scarsa per essere scaraventati direttamente in uno dei nostri fantasy preferiti.
Quando lasciamo la Norvegia, le uniche cose che non ci dispiace abbandonare sono le nostre pesanti occhiaie. Un altro notturno e tre vicini rumorosi più tardi, i nostri occhi si schiudono su Stoccolma. Finché non si solcano quelle strade larghissime o non ci si inoltra nei tunnel artistici della Metro Blu, questa città resta difficile da comprendere. Agli occhi inesperti di chi viene da una metropoli nello stile di Roma, Stoccolma sembra quasi un posto magico: i quartieri distinti, la circolazione controllata, la criminalità inesistente, l’integrazione completata con successo, gli spazi verdi e i tesori architettonici rispettati come e meglio che nei musei; una continua lezione di civiltà. Raggiungiamo con fatica il campus universitario Lappis, dove Olaf ci presta la sua camera collegiale per qualche giorno. Affacciato su un promontorio, questo spazio studentesco è difficile da capire senza esemplificarlo: una piccola comunità internazionale completa di ogni necessità sociale e culturale, costruita appositamente per dimenticare le differenze.
Un posto dove si è europei prima di tutto, che quasi commuove. Da lì ogni dì partiamo alla volta di un quartiere: Östermalm dove per caso ci imbattiamo in una sagra vichinga (giubilo!), Marieberg con il meraviglioso municipio, Gamla Stan la città vecchia, Södermalm il posto dei giovani e dei locali hipster dove addentiamo un delizioso burger di aringa e Reimersholme, da cui si gode il più bel tramonto della città. Impossibile da ridurre e altrettanto da spiegare, Stoccolma tiene nascosti molti interessanti tesori e varia il suo paesaggio così come da noi si mutano le regioni. Uno di essi è il Vasamuseet, che contiene (gli è stato letteralmente costruito attorno) il relitto meglio conservato di una vera nave vichinga, che mozza il fiato per dieci minuti buoni; un altro è la Startmangatan, una via della città vecchia che porta dalla Stortorget alla Tyska Kyrkan, dimenticata dalle guide turistiche ma non dai nostri occhi meravigliati; infine il Galarvarvskapellet, un cimitero nascosto dietro il Nordiska Museet in piena tradizione nordica, ricolmo di piccole lanterne che si dice guidino i defunti fino a casa. Nel treno notturno diretto a Lund, il mio compagno di viaggio esclama: “Forse per la nostalgia del dopo, era meglio andare in Spagna”.
Lund è una cittadina al confine tra Svezia e Danimarca, della quale ricordo solamente il mio insistente bisogno di utilizzare uno spazzolino e per contro, l’obbligo a fare un giro di ricognizione alle sei del mattino. Ammetto però che la Västerkyrkan resta tra le costruzioni più interessanti accumulate nel viaggio. Copenhagen invece profuma di casa, la nostra host Pia ha un sorriso inquietante e la casa si trova letteralmente nel mezzo del quartiere a luci rosse, ma è comunque caldo e familiare. Siamo già stati qui e conosciamo a memoria la città, abbiamo addirittura i nostri posti preferiti tra i quali spunta, senza sorpresa, quel delirio di luminarie e felicità che è il Tivoli Park. Pur essendo due figli malinconici, usiamo saggiamente il nostro tempo e utilizziamo il primo giorno per visitare Helsingør. Meglio nota come Elsinore, è il ritratto sputato di un luogo portuense cinquecentesco; il paesaggio è dominato dal Kronborg, la celeberrima fortezza in cui Shakespeare ambientò senza vederla mai, il suo Amleto.
Facciamo un giro intorno alle mura e poi ci ristoriamo nell’incredibile Kulturvaerftet, un’immensa biblioteca a tre piani in cui i sogni sociali di chiunque diventano realtà (si noleggiano persino i cd). Ceniamo con il cibo tipico, Smorrebrød, una fetta di pane di cereali guarnito dei più vari ingredienti disponibili sul pianeta. Il giorno dopo vaghiamo per Indre By, saliamo in cima alla Rundetaarn, torre rotonda senza pareti in cui il sovrano danese usava inerpicarsi a cavallo, e facciamo una merenda a base di cannella al Torvehallerne, un mercato coperto che offre ogni cibo esistente, in versione biologica. Prima di ripartire attraversiamo il suggestivo Dronning Luises Bro per porgere l’ultimo saluto ad Andersen, che è sepolto nell’Assistens Kirkegard, il cimitero monumentale. Un luogo di ritrovo per tutti i giovani in bicicletta, nel mezzo del quartiere più indie d’europa, Nørrebro, testimonia che l’unione tra mistico e attuale non è solo possibile, ma anche godibile.
Attraversando la Danimarca ci imbattiamo in Odense, paese natale dello stesso Andersen di cui abbiamo appena concluso gli omaggi. Ci domandiamo come si decide l’elemento per il quale un luogo diventi caratteristico quando ci imbattiamo negli innumerevoli negozi di antiquariato di Odense. Il Kramboden è il più antico, un tripudio di soldatini di vernice, monete antiche, tazze di porcellana e svariati altri tesori, e rappresenta da solo tutta l’atmosfera fiabesca richiesta. Gli orari sono purtroppo inclementi e dopo una rapida sosta al Parco delle Fate, siamo già sul sedile del treno in direzione Aarhus. Seconda città più grande della Danimarca, è nota come la “Venezia del Nord”, ma esclusi i canali somiglia ben poco alla nostrana. Poco artistica dal punto di vista tradizionale, è invece un centro moderno e pionieristico nell’istruzione e nella ricerca.
Ad ospitarci è Nanna, che ha due bambini ed un’ossessione per i giornali di moda. Ci avverte di affrettarci se vogliamo mangiare qualcosa, pur essendo solo le sette di pomeriggio. In effetti alle nove tutte le cucine sono chiuse e ci ritroviamo a sgranocchiare un corn-dog dentro l’ennesimo Seven Eleven. Il giorno successivo passiamo la mattinata all’ARoS, gigantesco complesso museale ed orgoglio della città. La sua planimetria è organizzata come la Divina Commedia di Dante, nei piani inferiori l’Inferno e le opere d’arte più macabre, via via risalendo verso la rosa dei beati, ovvero lo “Your Rainbow Panorama”, una passeggiata di 360gradi di vetri colorati come l’arcobaleno, proprio in cima all’edificio. L’ultimo saluto al “Boy” di Ron Mueck, che se ne sta gigante ed impaurito nel piano di mezzo e stiamo già salutando la Scandinavia, sotto di noi aspetta trepidante la terra dei sogni, la Germania.
Appuntamento a giovedì 29 settembre, quando continueremo il racconto di questo emozionante viaggio chiamato “Interrail”.
Sembra di leggere un libro di una brava” esploratrice” che descrive talmente bene e piacevolmente i luoghi visitati da fare del lettore un suo compagno di viaggio e….così i disagi del viaggio scompaiono ed anzi appaiono quasi piacevoli !