Il chavismo sopravviverà a Maduro?
Venezuela in mobilitazione per il referendum revocatorio, ma se il Presidente Nicolás Maduro è in bilico, il governo non cede il passo
di Sara Gullace
L’autunno del Venezuela è caldo, caldissimo ma rischia di non essere rivoluzionario. L’opposizione governativa, coalizzata nel MUD (Tavolo di Unità Democratica) chiede da mesi un referendum, in nome della popolazione, per destituire Nicolás Maduro dalla presidenza e, di conseguenza, il potere chavista che, da anni, si perpetra alla guida del Paese.
La risposta della Commissione Elettorale (CNE) è stata affermativa senza essere positiva. Continua, infatti, a posticipare la data di indizione: il referendum ci sarà ma non prima del 10 Gennaio 2017. Questo significa che, in caso di destituzione di Maduro, non ci sarebbero nuove elezioni ma solamente la sostituzione con l’attuale vice presidente in carica Aristóbulo Istúriz, nominato lo scorso Gennaio dallo stesso Maduro per sostituire il precedente, Arreaz. Ergo, non ci sarebbe nessun cambiamento in termini politici, almeno fino al 2019.
Se, diversamente, il referendum fosse stato indetto entro il 2016, un’eventuale vittoria dell’opposizione avrebbe comportato nuove elezioni. Il comitato elettorale perpetra lo status quo. Non solo ritardando la data del referendum ma, e questo è una vera e propria beffa, riscrivendo i parametri di indizione. L’opposizione dovrà effettuare una nuova raccolta firme, dal 26 al 28 Ottobre prossimi. Tre giorni per raggiungere il 20% delle firme in ogni stato del Venezuela, un “si” ogni 5 cittadini, 4 milioni di firme.
Altro fattore di attrito riguarda le modalità di raccolta voti e l’ubicazione dei seggi: l’opposizione ha richiesto la disponibilità di 19500 macchine adibite al voto e 6.500 centri elettorali. Il CNE, per il momento, ha parlato di 5.392 macchine, poco più di un quarto della richiesta, e di appena 1.356 sedi. L’ubicazione non è stata ancora definita ma l’opposizione teme che si possa scegliere per un ragionato decentramento, così come era successo per la prima raccolta firme, lo scorso Giugno, quando raggiunsero 200 mila adesioni (1% dell’elettorato).
L’atteggiamento del CNE di ritardare e modificare le modalità referendarie è incostituzionale, giacché la costituzione venezuelana prevede l’opportunità di referendum con l’art. 72. Il CNE, per favorire la maggioranza, si sta arrogando un diritto di troppo. Al suo interno, l’unico a riconoscerlo sembra essere Luis Emilio Rondón, figura vicina al MUD, che già quest’estate aveva parlato di parzialità da parte del Comitato. Il ragionato ritardo del referendum, inasprisce gli animi e si inserisce in un quadro generale già molto delicato.
Proprio in questi giorni, infatti, Nicolás Maduro ha nuovamente indetto lo stato di emergenza economica per altri sessanta giorni: periodo durante il quale potrà ritardare le decisioni di tipo economico. La popolazione scende in strada a manifestare da mesi, dimostrando il malcontento a più riprese. Per la politica economica, il Paese ha un inflazione del 700%, e per la mancanza di democrazia che il governo sta dimostrando nei confronti dell’opposizione e della popolazione.
Lo scorso mercoledì sono stati i conducenti di autobus ad interrompere il servizio e bloccare Caracas con uno sciopero di oltre otto ore per protestare contro paghe basse e condizioni precarie degli stessi mezzi, che non gli permetterebbero di lavorare al meglio. Ma è stata solo l’ultima di tante dimostrazioni che, iniziate quest’estate, hanno scaldato gli animi e le città nel mese di Settembre. A Caracas, centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza praticamente tutte le settimane e ben presto la protesta si è estesa alle altre provincie.
Per il portavoce del MUD, Josep Torralba, l’atteggiamento rimandatario del governo è un’ammissione di debolezza: “Non vogliono andare alle urne perché sanno che non possono offrire nessuno miglioramento ai venezuelani: perderebbero”. Torralba si è fatto portavoce non solo dell’opposizione ma della delusione di tutto il Venezuela: “Stiamo portando avanti una protesta pacifica, sostenuta dalla popolazione. Il Governo, con il suo comportamento, non lede l’interesse di una parte politica ma della popolazione venezuelana”.
Così raccontata, la situazione sembra chiara. Eppure appare diversa agli analisti politici locali. Per quanto sia reale lo scontento verso Maduro e l’annoso chavismo, l’opposizione sembra non suscitare tutto questo consenso e fiducia. Uno studio locale ha rilevato che il 70% degli intervistati, rileverebbe Maduro dal suo ruolo. Sempre tra questi, ben il 60% ha molta fiducia nel MUD.
Cosa genera questa situazione, che può apparire contraddittoria? Il dissenso si gioca sue due piani: da una parte, la mancanza di prospettive post-Maduro. Una volta destituito il chavismo, quale sarebbe, in concreto, il piano di ripresa? In secondo luogo, la stessa coalizione sembra poco compatta. I partiti maggioritari pensano già ai propri candidati per le presidenziali, non rinunciando a dialogare in più occasioni con il partito al governo. Cosa prima smentita e, poi, ammessa, suo malgrado, dalla stessa coalizione.
La MUD, quindi, tutto dovrebbe fare tranne che dormire sonni tranquilli. Cosa che, al di là di slogan e dichiarazioni, probabilmente, già non riesce a fare.