David Bowie is… wow!
Alla corte del Duca Bianco. Al MAMbo di Bologna la mostra su David Bowie famosa in tutta il mondo, in un labirinto di citazioni, musica, teatro, allusioni e sorprese
di Giuseppe Cassaro
A Bologna, come è stato per Londra ed altre otto città nel mondo, si vive un’esperienza multimediale unica nel suo genere, totalizzante. Un milione e mezzo di visitatori in 3 anni sono numeri da capogiro, conferma di un’operazione vincente, difficile da catalogare semplicemente come “mostra”. L’opera, forse più appropriata come terminologia, realizzata dal Victoria and Albert Museum di Londra, è la prima retrospettiva dedicata alla carriera di David Bowie, attraverso le fonti che ispirarono il cantante/attore/costumista/regista.
Fino al 13 novembre al MAMbo – Museo di Arte Moderna di Bologna ci si può perdere in un non luogo, con oltre 300 oggetti esposti relativi alla carriera del Duca Bianco, curato da Victoria Broackes e Geoffrey Marsh e suddiviso principalmente in tre sezioni. Il tour, partendo dalla fine degli anni ’60, attraversa il teatro giapponese kabuki e quello sperimentale di Brecht, si muove tra mimi avanguardisti e il musical, musica live ed in studio e molto, molto altro ancora. Quella a cui si assiste è davvero una ricerca delle fonti che hanno ispirato il genio di David Robert Jones, senza rispettare una rigida divisione cronologica; un’esposizione incentrata non sulla storia, quindi, ma sui processi creativi, sulle collaborazioni e particolarità inaspettate.
David Bowie is first
Una prima panoramica nel mondo delle ispirazioni del Duca Bianco: i suoi primi anni di vita e gli esperimenti linguistici, le figure che hanno influenzato l’artista (da Elvis a D.H. Lawrence), nella Londra laburista del dopo guerra, risalendo fino al punto di svolta del singolo “Space Oddity” del 1966. In questi primi passi, ci si muove tra suoni, parole ed interviste, assaporando una prima forma del suo trasformismo, evidente sin dai primordi (“The kon rads” il suo primo progetto musicale) e della propensione al legame musica-teatro.
In questa Londra distrutta dalla guerra, Bowie avanza curioso e stimolato da quell’ambiente che sarà poi scenario di grandi rivoluzioni culturali. Indubbiamente, con spontanea disinvoltura, avrebbe spazzato via l’ipocrita formalità di decenni di repressione socio-culturale. Nella prima sala una ‘stanza’ in cui vengono proiettati estratti video ed interviste ed esposti la sua prima chitarra a dodici corde ed il sax (suo primo strumento); ecco la genesi del noto “one man revolution” che, con estremo coraggio, esplora trasversalmente i linguaggi di musica, pittura, teatro di strada e scrittura.
“Volevo sempre essere l’elemento catalizzatore”
Si sfiora delicatamente anche l’universo personale, la famiglia ed il dramma della schizofrenia. Forse, come Bowie stesso dichiara in un’intervista, nel complesso cosmo dell’arte egli stesso trova protezione da una sorta di follia “genetica”.
Con me si muovo curiosi i fan, isolati nel loro universo ‘headphone’ (ciascuno ne è dotato di una, sincronizzata con pannelli, monitor e sezioni museali), che cantano, talvolta anche ad alta voce, come caduti in un mondo parallelo. Ed è anche questo, a mio avviso, parte dell’originalità dell’esperienza. Bowie, ad ogni modo, entra nelle case degli inglesi con la performance live di “Starman” a Top of the pops, con fare ironico, provocatore, quasi alieno, omaggiando il genio di Kubrick ed il suo “Orange clockwork”. È il 1972. Continua così il nostro viaggio e di stanza in stanza esploriamo la seconda sezione della Mostra che riguarda il processo creativo dell’artista.
David Bowie is second
In questa sezione, infatti, è possibile apprezzare il valore dell’alchimia, del lavoro condiviso su ogni singola performance con coreografi, tecnici luci, fotografi e designer audio/video; dalle interviste di Yamamoto, Tony Visconti e molti altri, ad esempio, è facile cogliere l’ironia ed il rispetto nei riguardi di un artista maniaco del dettaglio, attento ad ogni singolo particolare delle sue numerose produzioni.
Si susseguono curiosità su “The man who sold the world” e performance varie, passando per il curioso ‘Verbasizer’, detto anche caleidoscopio dei significati, generatore di combinazioni tra termini, parole ed immagini, strumento di ispirazione dell’artista, attraverso cui fantasticare per la stesura dei testi delle proprie canzoni.
È proprio vero che negli anni ’70 il Duca Bianco dettava i ritmi delle mode, così rapidamente che il mondo culturale non riusciva a stargli dietro: la sala ‘Impatto’ ne mostra vestiti eccentrici, particolarità, dettagli stilistici e quant’altro, per abbagliare occhi e mente. Non c’è tregua e ci si ritrova continuamente sommersi di input, spunti e curiosità.
C’è però il tempo di sedersi comodamente a gustare alcuni tra gli estratti delle pellicole cinematografiche più famose a cui Bowie ha prestato volto e talento attoriale. E poi ancora: i videoclip, trasmessi simultaneamente su una parete di monitor, accompagnati dall’esposizione dei rispettivi abiti di scena (“Ashes to ashes”, “The heart’s filthy lesson”, “Little wonder”); non solo musica, quindi, ma collaborazioni a 360° con gli autori video, nell’era della nascente MTV.
Un vero e proprio laboratorio creativo del folle artista.
Trionfo, senza dubbio, di abiti di scena (primo fra tutti l’outfit di “Ziggy Stardust” disegnato nel 1972 da Freddie Burretti), video (“The Man Who Fell to Earth” o “Boys Keep Swinging”), arredi di scena come quelli creati apposta per il “Diamond Dogs tour” del 1974; mappatura, potremo dire, delle numerose fonti d’ispirazione che hanno plasmato la sua musica e lo stile delle sue performance.
A pochi passi, continuando, si viene letteralmente rapiti dallo spazio bianco di “Life on Mars?”. Si può ascoltare, con estremo trasporto, il pezzo tra i più noti di Bowie, immergendo i propri occhi nel bagliore dell’abito utilizzato per il videoclip; per qualche minuto si è davvero altrove, in orbita verso Marte probabilmente.
Pausa 1971, lontana dal turbinio di droghe, colori e stramberie. È la fase in ‘Bianco&Nero’, di purificazione, in cui il Duca Bianco, in una Berlino capitale della cultura e della musica, si dedica alle sperimentazioni musicali con Brian Eno e Iggy Pop – tra gli altri e produce tre lp, la cosiddetta ‘Trilogia berlinese’: “Heroes”, “Lodger” e “Station to Station”.
David Bowie is third
La terza sezione, infine, immerge il pubblico nel mondo dei concerti live. Un vespaio di colori, monitor,
proiezioni, costumi di scena e materiali originali. C’è stupore e magia negli occhi dei visitatori, direi quasi commozione. Quello che si presenta ai nostri occhi è un collage di storie, personaggi, performance che ubriacano in un sogno lucido. Un’esperienza che vede profondamente connessi visione e ascolto, in una sorta di Tempio, in cui luci, proiezioni e musica sincronizzati, svelano abiti di scena distribuiti lungo metri di parete.
Un vero e proprio paese dei balocchi per il fan di David Bowie, per concludere, in cui è facile perdersi in un labirinto di citazioni, riferimenti, allusioni e sorprese. La documentazione (dall’oggettistica ai progetti inediti) è imponente e regala strade meravigliose per approfondire il mondo creativo di Ziggy Stardust.
Vademecum
“David Bowie is”
Bologna, MAMbo – Museo di Arte Moderna di Bologna
fino al 13 novembre 2016
Ticket:
– Intero € 15, intero Open Day € 20,
– Ridotto € 13 (da 7 a 15 anni e over 65, studenti universitari con tesserino, possessori biglietto MAMbo/Museo Morandi e possessori Bologna Welcome Card),
– Ridotto possessori Card Musei Metropolitani Bologna e Card Bologna Musei € 7,50
– Studenti € 10 / € 5
– Gratuito da 0 a 6 anni, soci ICOM e AMACI
info@davidbowieis.it
http://davidbowieis.it