“American Pastoral” di Ewan McGregor: dal crollo del sogno americano al disincanto familiare
Presentato in anteprima italiana ieri al Cinema Barberini di Roma l’adattamento cinematografico del romanzo Premio Pulitzer di Philip Roth “American Pastoral”. Per la prima da regista, Ewan McGregor indaga il rapporto tra una figlia rivoluzionaria e un padre distrutto dalla sua scomparsa
di Alessandra Giannitelli
su Twitter @Alessandrag_83
“Con lo svedese che furoreggiava sul campo da gioco, l’insensata superficie della vita forniva una specie di bizzarro, illusorio sostentamento, il felice abbandono a una svedesiana innocenza, per coloro che vivevano nella paura di non rivedere mai più i figli, i fratelli o i mariti”.
Così Philip Roth, a poche pagine dall’inizio di “Pastorale americana” (Einaudi, 1997), tratteggia l’indole e il ruolo sociale di Seymour Irving Levov, soprannominato “lo Svedese”, ebreo dagli occhi cerulei e i capelli biondi, un fisico da atleta e un destino presumibilmente brillante, figlio di un imprenditore che gestisce una piccola ma promettente fabbrica di guanti a Newark.
“American Pastoral” – nelle sale italiane dal 20 ottobre – è una di quelle storie che non lascia il respiro necessario per fare il conto di cosa c’è e cosa manca nel sempre difficile passaggio dalla carta allo schermo. Con un romanzo Premio Pulitzer al quale rispondere delle proprie scelte, la strada si presentava tutt’altro che tranquilla e il debutto alla regia per Ewan McGregor un vero salto nel vuoto.
Oltre quel vuoto, però, si celava il paracadute dell’emotività di un uomo che non si sottrae all’ammissione di aver pianto leggendo la sceneggiatura di John Romano e di aver deciso, attraverso quelle stesse lacrime, di interpretare e al contempo dirigere in prima persona il racconto di una decadenza umana, oltre che storica.
Durante la conferenza stampa successiva alla proiezione del film – alla presenza del regista e attore Ewan McGregor, e di Jennifer Connelly, dell’interprete Lorenza Del Tosto e del direttore dell’area cinema Eagle Pictures, Roberto Proia – alla domanda su quale sia stata la ragione profonda, personale, che lo ha spinto a interpretare una storia così densa di significati come quella del romanzo di Roth, McGregor ha spiegato che la trama del romanzo, concentrandosi su una famiglia che perde sua figlia in un modo così estremo, lo ha letteralmente sopraffatto.
“Ho scoperto anche un po’ il retroscena, quello che succede dietro le quinte, tutti quegli aspetti da cui gli attori in genere vengono tenuti lontani e protetti: i possibili dissidi tra la troupe oppure tutto il lato che riguarda la vita del produttore. Io ero nel mezzo e ho scoperto che buona parte del lavoro del regista è gestionale, devi gestire le paure degli altri prima di iniziare a lavorare”, risponde McGregor alla domanda sul suo debutto da regista. “Come essere umano è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere. Mi sento più adulto, più maturo”.
La narrazione cinematografica si apre con Nathan Zuckerman (David Strathairn) che, in occasione della 45ª riunione di ex studenti del college, ritrova l’amico e compagno di scuola Jerry Levov (Rupert Evans), il fratello minore del mitico “Svedese”, Seymour Levov (Ewan McGregor). Inizia così il racconto a ritroso del deterioramento personale e famigliare di quel biondo campione del New Jersey che sembrava imbattibile su tutti i fronti.
“Ero lo scrittore famoso, l’ultimo a sapere la storia”, pensa Zuckerman mentre Jerry lo informa del lento declino di Seymour iniziato con la scomparsa della ribelle figlia sedicenne Merry (Dakota Fanning) e proseguito col crollo psicologico dell’amata moglie Dawn (Jennifer Connelly), quell’ex Miss New Jersey tanto odiata dalla figlia balbuziente che sentiva di non poterle competere. Il 1968 è alle porte, le proteste per i diritti dei neri riempiono le strade degli USA e vengono violentemente represse, tutto ciò che gli americani avevano conquistato fino a quel momento viene messo in discussione.
Lo Svedese non si arrende alla scomparsa della sua piccola Merry, all’idea che possa realmente essere lei l’artefice dell’esplosione mortale all’ufficio postale che l’ha portata a fuggire da quella famiglia tanto in contrasto con le sue idee rivoluzionarie. Un’analoga esplosione si verifica però nel cuore e nella testa dello Svedese, che vede crollare tutto ciò in cui credeva e su cui aveva provato a fondare la propria vita e la propria famiglia.
Prigioniero della sua stessa vita, per tutto il tempo della caduta inesorabile di cui è oggetto, Seymour non fa che provare, di volta in volta, a raccogliere le briciole di una vita che si sfalda ogni giorno di più tra le sue stesse mani. Le raccoglie e le perde di nuovo, ma non accenna a rinunciare alle sue convinzioni morali. “La vita è solo un breve lasso di tempo in cui siamo vivi”, risponde Merry alla domanda della maestra “Cos’è per voi la vita?”. Un breve lasso di tempo che può bastare ad annientare definitivamente un uomo e ogni singola particella della sua anima.
Proprio come l’amarissimo risveglio americano, all’indomani del sogno, porta con sé una distruzione che proviene dall’interno, contro la quale è penoso e infruttuoso opporsi.