La Colombia di Santos non trova pace
Mentre il Presidente Santos riceve il premio Nobel per la pace, in Colombia il popolo boccia l’accordo con le FARC: al referendum vince il “no”; si torna a negoziare
di Sara Gullace
In silenzio per la pace. Questo lo slogan scelto da migliaia di persone che la scorsa settimana, tra candele e bandiere colombiane, si sono riversate nelle strade di quattordici città per ricordare al Governo l’impellenza di uno stato di pace con le Forze Armate Rivoluzione Colombiane. Per ricordare al Governo, innanzitutto, di “fare la pace” al proprio interno ed accordarsi al più presto per mettere fine a cinquant’anni di morte.
L’accordo, in realtà, era stato raggiunto. E firmato a L’Havana lo scorso 26 Settembre. Humberto de la Calle y Sergio Jaramillo per la delegazione governativa e Iván Márquez, rappresentante della Guerriglia, avevano siglato un accordo maturato in ben quattro anni di lavoro e negoziazioni. Un piano di 300 pagine che il presidente della Colombia, Manuel Santos, ha voluto che venisse approvato dagli stessi colombiani con un referendum. Sopravvalutando, evidentemente, la spinta che il bisogno di pace avrebbe dovuto dare all’approvazione. Immaginando che fosse totale.
Il 3 ottobre, invece, la volontà decisionale del popolo ha espresso il suo dissenso: tutto da rifare. Il lunedì successivo le elezioni, sia Manuel Santos che il capo delle FARC, Rodrigo Londoño, conosciuto come Timochenko, si sono affrettati e chiarire che, al di là delle clausole dell’accordo, il cessate il fuoco è confermato e immediatamente attivo. “Non mi arrendo – ha assicurato Santos – cercherò la pace fino all’ultimo minuto del mio mandato presidenziale”. Più negativa la reazione di Timochenko, che ha puntato l’indice contro Alvaro Uribe: “L’opinione pubblica colombiana è stata influenzata da chi porta avanti solamente odio e vendetta”.
La differenza alle urne è stata di pochi punti percentuali: il 50,2% ha scelto il “no” mentre il 47,7% ha optato per il “sì”. Il consenso è arrivato principalmente dalle zone costiere, dove, ad oggi, maggiormente si sente il conflitto; le città interne e le zone rurali che, al contrario, da tempo sono meno afflitte, hanno rifiutato l’accordo. Il dato che maggiormente fa impressione, però, è l’astensione, altissima. Il 60% della popolazione con diritto al voto non ha partecipato ad un referendum così importante e su un tema così delicato e centrale come la fine delle ostilità tra le parti. Anche oltre oceano, tra i colombiani in Spagna, ha votato solamente l’8,33% (con netta preponderanza del “si” con il 68%).
Cosa succede in Colombia? Possibile che la solidarietà tra colombiani sia così debole o che molti preferiscano portare avanti una situazione di morte che si trascina da 52 anni e che conta 260 mila vittime, 7 milioni di sfollati e decine di migliaia di scomparsi?
La risposta si dipana su due livelli. Al primo, la mancanza di fiducia verso le FARC. Al secondo, e da questo punto di vista l’ex Presidente Uribe è stato molto convincente, l’accordo raggiunto è criticato per essere molto indulgente nei confronti dei guerriglieri. Per il fronte del no, diversi i passaggi da cancellare: i tribunali speciali appositamente creati per i crimini della guerriglia che prevedono pene più miti rispetto ad una condanna standard; l’aiuto del Governo verso gli sfollati ribelli con un uno stipendio mensile come il sostegno economico per quanti volessero intraprendere un proprio business non sono stati visti di buon occhio da buona parte dei civili. Come la possibilità che ex guerriglieri possano sedere nel Congresso a partire dal 2018. Neanche tra quanti hanno votato il “sì”.
Alvaro Uribe, Presidente della Colombia per due mandati, dal 2002 al 2010, si è fatto sostenitore del dissenso, mantenendo la distanza sui contenuti: “L’accordo è deludente: questa pace è solo un’illusione”, è stata la sua lapidaria definizione. Il fronte del no, per cui Uribe sta continuando a trattare in questi giorni, richiede di modificare alcuni punti: che i colpevoli di crimini vengano esclusi dalle cariche pubbliche e scontino le pene previste dalla legge ordinaria, che le FARC compensino le vittime con i guadagni illeciti, derivati da traffico di cannabis e d’armi. E che la costituzione colombiana non venga modificata per agevolare la guerriglia.
Lo scorso venerdì, quindi, si è tornati a discutere: il Presidente si è riunito con il fronte del dissenso. Per Uribe si tratta di “Raggiungere una pace accettata da tutti, non da metà dei cittadini”. Positivo ma poco concreto è stato Santos: “La pace è vicina, e la raggiungeremo. Percorreremo – ha assicurato – ogni cammino possibile per arrivare all’unione e la riconciliazione dei colombiani“.
Nel frattempo, Juan Manuel Santos è stato insignito del più importante riconoscimento del pianeta: il Nobel per la Pace. Ottenuto il premio, manca la pace.