Petizioni online: chi trova una firma trova un tesoro
La petizione online rappresenta oggi la forma più veloce di attivismo 2.0, ma le piattaforme raccolgono dati che in alcuni casi vengono venduti. Qual è il prezzo di questa “rivoluzione”?
di Martina Zaralli
su Twitter @Mart_Zeta
Prima si urlava, forte, insieme.
Un grido figlio della democrazia, certamente, che la Costituzione ha messo nero su bianco con il diritto di chiedere alle Camere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.
Adesso si chiamano petizioni 2.0, esempio perfetto di quella dimensione partecipativa che la rete è in grado di farci vivere.
Bastano pochi secondi, qualche spunta, un click e il gioco è fatto. Possiamo cambiare le cose, o almeno provarci.
E bene però precisare che le petizioni online non hanno un valore legale, ma non per questo non riescono ad essere uno strumento determinante nella politica e nella società, basti pensare al clamore mediatico che in alcuni casi riescono a sollevare.
Per rimanere sui fatti di cronaca più recente, la petizione a favore dell’attaccante dell’Inter Mauro Icardi, lanciata lunedì scorso, ha raggiunto in pochissime ore migliaia di firme. Per non parlare poi dell’eco che l’insorgenza del popolo del web inevitabilmente genera a colpi di hashtag collegati chiaramente alla petizione.
Va riconosciuto che l’attivismo 2.0 ha il grande merito di azzerare le distanze e annientare il tempo. Una dimensione partecipativa, appunto, che si muove alla velocità della connessione e che fa della cara vecchia raccolta firme in piazza un momento per nostalgici dei pubblici proclami.
A fronte però di un diritto di voce c’è un prezzo da pagare.
Prezzo per gli utenti, guadagno per le società che, in questi casi, si ispirano al modello delle benefit corporation, introdotte in Italia con la legge 208 dl 2015 (entrata in vigore il 1 gennaio 2016). Si tratta, in sostanza, di imprese che realizzano sì un profitto, ma allo stesso tempo hanno tra gli obiettivi del loro statuto l’impatto positivo sull’ambiente e sulla società.
Un’interessante inchiesta de l’Espresso sottolinea la delicatezza della questione soprattutto in relazione alle petizioni sponsorizzate, per le quali cioè gli utenti pagano la promozione: in quanti sono a conoscenza che i dati (associati a opinioni politiche e sociali) verranno usati per fini commerciali tramite la profilazione e la successiva vendita?
Se da un lato dunque le piattaforme online sono sempre più numerose, dall’altro il ricorso alla nuova arma della cyber democrazia è quasi inflazionato, tanto da sollevare qualche perplessità tra gli addetti ai lavori nella tutela dei dati personali.
In estate, Garante della Privacy Antonello Soro ha aperto un’istruttoria, attualmente in corso, per accertare se su Change.org “siano stati predisposti eventuali meccanismi per l’acquisizione del consenso all’uso dei dati personali, anche in considerazione della possibile natura sensibile delle informazioni raccolte e trattate, idonee a rilevare le opinioni politiche, religiose e gli orientamenti sessuali”.
La raccolta dei dati è essenziale per fornire il servizio, un’attività che si snoda in momenti e con modalità diverse. Ad esempio nome utente, città, Stato e il Paese, durante la registrazione; quelle relative alla creazione, sottoscrizione e condivisione vengono monitore con l’uso dell’account.
Questi sono solo alcuni dei punti che compongono la ricca casistica riportata nelle pagine dedicate alla privacy, ai quali si affiancano elenchi su come le informazioni possono essere usate, su chi può riceverle; senza tralasciare accesso, cancellazione, conservazione e trasferimento internazionale dei dati.
Cosa possiamo fare?
In attesa di ulteriori sviluppi, all’interno di uno scenario frammentato nelle diverse discipline dei Paesi dell’Unione Europea e non, le regole di buona prassi possono essere un valido aiuto per sfuggire alle insidie nascoste dietro una semplice firma.
Visitare siti conosciuti e affidabili, informarsi sui promotori e destinatari della petizione, usare prudenza nei commenti, leggere (per quanto lunghissime) le pagine dedicate alla privacy, avere un particolare riguardo alle caselle già spuntate di default. Ma soprattutto: aderire a campagne per le quali si è davvero interessati, puntare dritto all’obiettivo. Il web è una potenza, ma senza consapevolezza il potere non esiste.