Goro e Gorino: anatomia di una mistificazione
Nessuna rivolta di popolo, nessuna manifestazione spontanea. A Goro non c’era l’Italia, a Goro non c’era l’Emilia-Romagna, a Goro non c’era nemmeno Goro
di Guglielmo Sano
su Twitter @GuglielmoSano
Sulle barricate di Goro si è detto tutto e forse sarebbe il caso di non aggiungere altro. Tuttavia, per riepilogare e approfondire ulteriormente la questione, si potrebbe prendere in esame giusto un breve, quanto significativo, articolo firmato da Camillo Langone e apparso sull’sito del Foglio il 26 ottobre. Si legge in apertura: «Il Po di Goro mormorò: “Non passa lo straniero!”. Non è maggio e non è il Piave ma anche questa è un’invasione, sebbene nessun esercito sia in marcia “per raggiunger la frontiera, / per far contro il nemico una barriera”».
La correlazione tra le barricate di Goro e la battaglia del Piave istituita dall’autore è evidente. Si vorrebbero “patrioti” gli attivisti di estrema destra che hanno improvvisato un blocco stradale per impedire a 12 donne e 8 bambini di riparare in un ostello di Gorino, frazione di Goro. L’articolo di Langone si intitola, per l’appunto, “I pescatori patrioti di Goro”: «le barricate di Goro un poco mi ricordano le barricate di Parma del 1922: riuscirono a fermare gli squadristi di Balbo ancorché erette alla bell’e meglio, nel quartiere più povero della città (il ceto medio in Italia ha difficoltà con l’onore e pensa che la tranquillità si possa sempre comprare)».
Nessuna rivolta di popolo, nessuna manifestazione spontanea, a Goro non c’era l’Italia, a Goro non c’era l’Emilia-Romagna, a Goro non c’era nemmeno Goro. Gli abitanti della cittadina erano davvero pochi se rapportati ai noti esponenti di formazioni xenofobe giunti da tutto il territorio ferrarese a dar manforte contro l’«invasione». Tema caro ai giornali che titolano “Bastardi islamici”, se non altro perché è solo l’«invasione» che ancora gli permette di sopravvivere, gli stessi giornali che vengono comprati quotidianamente dal ceto medio, almeno da quella parte di ceto medio che cerca una risposta semplice alla propria crisi morale, un capro espiatorio a cui addossare la perdita della propria stabilità economica. Proprio quel “ceto medio” era a Goro, non i poveracci. I poveracci, i deboli, stavano sull’autobus, non dietro le “barricate”.
Continua sui “patrioti” Langone: «Mi ricordano un poco anche Davide e Golia: l’Italia minima contro l’Africa immensa». Lasciamo da parte, il razzismo che si può leggere tra le righe, d’altronde, l’autore non è nuovo a simili uscite, l’Italia sarà pure “minima” rispetto all’Africa ma è un paese di circa 60 milioni di persone e tra le 10 più grandi economie mondiali: il fenomeno migratorio sta assumendo delle proporzioni che non si possono sottovalutare ma, è ovvio, che non collasseremo nell’accogliere 153mila persone letteralmente disperate. Senza considerare che per la nostra storia e per la nostra legge rimane un dovere accogliere e, ancor di più, indagare le “reali” cause della cosiddetta “emergenza” migratoria.
Ritornando a Langone, il delirio è ormai totale: «Gli insulti scagliati dai vari prefetti e ministri contro i patrioti di Goro mi ricordano inoltre Francia 1940, Ungheria 1956, Cecoslovacchia 1968, e non aggiungo dettagli perché ho già tre querele (credo però mi sia consentito dire che l’idea di patria espressa a Goro è quella di Karl Jaspers: “La patria è là dove capisco e sono capito”)». Non c’è bisogno delle parole di Alfano – al Viminale si pensasse a migliorare la comunicazione con il territorio e a far rispettare le decisioni dell’esecutivo: le forze dell’ordine possono intervenire solo se le “barricate” le fanno studenti e lavoratori? – per capire quanto gli autori della protesta di Goro siano stati incivili e meschini, altro che “patrioti”.
Ma se la loro ignoranza sarà sempre possibile giustificarla, purtroppo, come sarà possibile continuare a giustificare la malafede di “professionisti” della “mistificazione” come Langone? Infatti, per la “Patria” di cui parla, il sostegno economico e demografico fornito dagli “immigrati” è diventato ormai fondamentale. Secondo il Dossier Statistico Immigrazione 2016, realizzato dal Centro studi IDOS in collaborazione con la rivista Confronti e l’UNAR, in Italia ci sono 5 milioni e 498mila cittadini stranieri – per la prima volta dopo molti anni ci sono più italiani residenti all’estero – ai quali si aggiungono 1 milione e 150mila persone che hanno acquisito la cittadinanza italiana nel corso degli anni. La regione con la maggiore incidenza di cittadini immigrati è proprio l’Emilia-Romagna: sono il 12% della popolazione.
Provengono in maggioranza da Romania (22,9%), Albania (9,3%), Marocco (8,7%), Cina (5,4%), Ucraina (4,6%). Dal rapporto emerge chiaramente che il loro apporto non è solo “funzionale dal punto di vista demografico” vista la lenta ma inesorabile diminuzione della popolazione italiana ma anche dal punto di vista strettamente erariale. La presenza degli immigrati, specialmente per quanto riguarda le pensioni per invalidità, vecchiaia e superstiti (Ivs), fornisce un gettito contributivo di 10,9 miliardi di euro (2015). I non comunitari titolari di pensione per Ivs gravano solo per lo 0,3% sul totale delle pensioni (39.340 su 14.299.048), in pratica, il bilancio costi-benefici dell’immigrazione per le cassi statali sarebbe pari a +2,2 miliardi di euro.