La Quadriennale si risveglia policentrica
Dopo l’edizione saltata nel 2012, la rassegna torna a Roma: 11 curatori, 99 artisti e 150 opere per raccontare la frammentarietà dell’arte contemporanea in Italia
di Federica Salzano
su Twitter @Federica Salzano
La Rotonda del Palazzo delle Esposizioni è vuota. Durante la sedicesima Quadriennale d’arte di Roma, il centro non è più centro. E quel grande spazio su cui si affacciano le sale espositive – che nel corso della rassegna ospita di tanto in tanto varie iniziative, ma per il resto del tempo resta libero – ne è un simbolo.
La Quadriennale – visitabile fino all’8 gennaio 2017 – torna dopo aver saltato l’edizione 2012 e si presenta come una grande esposizione pluricentrica, una costellazione di sensibilità e di espressioni. Intorno alla Rotonda si aprono 10 percorsi espositivi ideati da 11 curatori con 99 artisti e 150 opere. E, metaforicamente intorno al Palazzo delle Esposizioni, a sua volta si sviluppa il Fuori Quadriennale, un progetto che vede la partecipazione di altri attori dell’arte contemporanea a Roma come musei, fondazioni e gallerie allo scopo di coinvolgere la città intera e creare un momento di grande fermento.
CENTO CAMPANILI. ANCHE NELL’ARTE
All’origine di tutto c’è un tema di riflessione che si concentra nel titolo Altri tempi, altri miti, ispirato al lavoro di Pier Vittorio Tondelli Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta. Il libro consiste in una narrazione per frammenti dell’Italia e la Quadriennale intende perseguire proprio lo scopo di offrire una mappatura delle produzioni artistiche e culturali italiane di oggi.
“Non volevamo dare una visione unica, volevamo narrare la complessità e dar conto della vivacità e molteplicità del panorama italiano” spiega il presidente della Fondazione La Quadriennale di Roma, Franco Barnabè in un’intervista a Flash Art, “non è possibile dare una visione unitaria del nostro Paese perché, semplicemente, questa visione unitaria non esiste”.
Per questo, le 10 sezioni sono completamente indipendenti l’una dall’altra e si possono visitare senza dover seguire un ordine particolare. Ad accomunare il lavoro dei curatori c’è principalmente la volontà di raccontare il presente con le sue diversità, alterità ed evoluzioni, passando attraverso un confronto con il passato.
IL SARCOFAGO DI LANA E IL FOGLIO BIANCO
E così Denis Viva con Periferiche vuole offrire uno sguardo sulla tradizione del policentrismo scegliendo artisti che per la loro poetica hanno deciso di vivere in periferia. Tra le opere ci sono i rettangoli di cartone grezzo che Carlo Guaita trasforma in quadri di un’intrinseca profondità o la coperta di lana lavorata e coloratissima che con il tocco di Giulia Piscitelli prende la forma di un contenitore/sarcofago. Più avanti I would prefer not to di Simone Ciglia e Luigia Lonardelli racconta la frammentarietà dell’arte di oggi che, nel tentativo di liberarsi da paradigmi storici, prende la forma di un sottrarsi. Sono presenti lavori mutevoli, fragili o al limite dell’invisibilità, come Left Page, Right Page di Massimo Bartolini – due fogli bianchi appena individuabili sulla parete – o Lieto fine di un martire con cui Nicola Samorì sembra voler scarnificare un dipinto classico e mostrarne ciò che resta. Cristiana Perrella con La seconda volta invita gli artisti a cimentarsi con il riutilizzo di materiali che hanno già una propria storia, come le tele trovate ai mercatini da Lara Favaretto e ricoperte con fili di lana che le vestono di nuovo ma non ne celano le sagome sottostanti.
Una ricca raccolta di opere – impossibile da raccontare in poche righe – che offre un quadro complesso e articolato, a tratti piuttosto elaborato concettualmente e non sempre di facile interpretazione. E in questo senso non danno molto aiuto la disposizione e l’essenzialità delle didascalie e in certi casi l’affollamento delle sale. Il rischio è che possa prevalere talvolta la validità concettuale dei singoli progetti curatoriali su quello che dovrebbe essere invece un contatto immediato ed emotivo tra lo spettatore e il lavoro dell’artista.
Le tecniche in mostra sono numerose. Moltissimi i video, a volte di natura più documentaristica, molto testo scritto, numerose installazioni e utilizzo di inserti tecnologici. Caratteristiche queste che possono in parte disorientare, seppur nella consapevolezza che al giorno d’oggi sono tante le forme di comunicazione con cui l’arte si deve confrontare, sperimentando modalità sempre nuove.
I THE JACKAL E LA “VIDEOSFIDA”
Il budget di questa edizione della Quadriennale – 2 milioni di euro – è stato sostenuto per il 50% dal MIBACT e per l’altra metà con apporti propri dei partner promotori – Fondazione La Quadriennale e Azienda Speciale Palaexpo – e dagli sponsor. Da questo punto di vista è molto interessante la forma di una vera e propria relazione progettuale che ha assunto la sponsorizzazione.
In particolare colpisce l’iniziativa di Eni “Vivilpresente” che, tra le altre attività, invita i giovani dai 16 ai 25 anni a prendere parte a una gara e creare un video ispirato ad una delle opere in mostra. Il premio è la partecipazione a un lavoro dei The Jackal, collettivo di youtuber diventato fenomeno di costume e ben conosciuto nella fascia d’età in questione. Si tratta di un modo per avvicinare all’arte contemporanea il pubblico più giovane con l’escamotage della gamification, e di coinvolgerlo attivamente nel “vivere” le emozioni che l’esperienza artistica può provocare. A giudicare dai lavori presentati, l’iniziativa sembra aver raggiunto il risultato. Forse una tra le note più emozionanti di questa Quadriennale.