Lo “Snowden” di Oliver Stone arriva in Italia
Il regista statunitense Oliver Stone ci racconta il “Grande Fratello” dei nostri tempi. Nelle sale italiane ecco “Snowden”, con protagonista Joseph Gordon-Levitt nei panni di Edward Snowden, il tecnico informatico ex dipendente della CIA responsabile della rivelazione di informazioni segrete governative tra cui il programma di intercettazioni telefoniche
di Federica Albano
su Twitter @Federica Albano
Il campo di battaglia oggi è il web. Potrebbe essere questo il mantra di “Snowden”, ultima fatica di Oliver Stone. Edward Snowden (nel film Joseph Gordon-Levitt) è senz’altro uno dei personaggi più controversi del nostro tempo. La storia non può che iniziare nel 2013 quando l’ex tecnico informatico, chiuso nella sua camera d’albergo a Hong Kong, racconta alla documentarista Laura Poitras (Melissa Leo) e al giornalista del Guardian Glenn Greenwald (Zachary Quinto) tutti gli elementi di quello che in seguito è stato definito il Datagate. Snowden è poco meno che trentenne, con un passato da ex marine (tratto comune con il regista Stone) ma soprattutto da ex tecnico della Cia e consulente informatico all’Nsa.
Dichiara alla stampa che il governo statunitense monitora tutte le comunicazioni digitali dell’intero globo. Non si parla più di minaccia terrorista, ma di pura egemonia nel controllo mondiale perché non sono i sospettati di terrorismo ad essere spiati, ma tutti noi. Non è un caso che uno dei registi più scomodi d’America si sia interessato ad una storia simile.
La narrazione è esaustiva e coinvolgente, per un attimo si dimentica che i fatti narrati siano realmente accaduti e ci si immedesima in una spy-story a tutti gli effetti. Anche per questo il film merita di essere visto; d’altro canto la biografia è un genere congeniale a Stone. Altra nota positiva è sicuramente il montaggio nonostante le ultime sequenze in cui Joseph Gordon-Levitt viene sostituito dal vero Snowden sembrano un po’ una forzatura, una sorta di celebrazione forzata soprattutto nel voler attribuire al protagonista un candore morale che forse non gli spetta completamente.
Il film comunque non risulta minimamente compromesso perché riesce a mantenere il fuoco sul reale oggetto della narrazione. Gordon-Levitt sembra essere l’ingrediente fondamentale della pellicola: aggiungendo spessore, espressione ed umanità al suo ruolo sostenendolo senza fatica. Una storia che sembra non avere fine, che mantiene spiragli aperti perché realtà in divenire; che lascia l’amaro in bocca perché descrive i sintomi ma non la cura, che sembra consigliarci di oscurare le nostre webcam con un cerotto o chiudere i nostri cellulari nel microonde piuttosto che sperare che le cose cambino davvero.