Il Museo Universale: Roma ritrova i valori sopiti
Alle Scuderie del Quirinale fino al 12 marzo 2017 in mostra il “Museo Universale”, una raccolta di capolavori dei più grandi talenti italici: da Canova a Tiziano, da Raffaello a Tintoretto. Riuniti in una cornice elegante, perseguendo il sogno che portò Napoleone a requisirne alcuni per il suo Louvre. Un’Italia che solo guardandosi dentro, può ritrovare se stessa
di Gloria Frezza
su Twitter @lavanagloria
Era il 1816 ed il Congresso di Vienna era terminato da qualche mese. L’Italia, dopo anni di richieste avanzate invano, riusciva finalmente a riottenere un buon numero di quelle cinquecento opere d’arte sottratte da Napoleone Bonaparte tra il 1796 e il 1814. Il Condottiero, che merita di certo la maiuscola, nel corso delle sue innumerevoli campagne militari, non aveva mai mancato di assicurarsi un elemento artistico da riportare in Francia come trofeo. Il terreno italico, sempre fertile di nuova e magnifica arte, che era stato per lungo tempo uno scrigno per Napoleone, tornava nel 1816 in possesso dei suoi valori.
A sentirne parlare adesso quella punta di orgoglio non si cancella, per una battaglia vinta tanto tempo fa. Tra i corridoi delle Scuderie del Quirinale, dal 16 dicembre, è ora possibile sperimentarla di nuovo en plein air. La mostra si intitola “Il Museo Universale”, riprendendo la definizione che Napoleone progettava per il suo Louvre, la cui collezione doveva essere fornita di opere d’arte provenienti da ogni dove. Il sottotitolo “Dal sogno di Napoleone a Canova” invece, vuole ricordare che di fronte al visitatore si prefigura un percorso cronologico ed utopico che parte e torna in Italia.
Le sale, perfettamente ornate di porpora, ospitano le leggiadre sculture di Canova, i colori decisi del Tintoretto e l’ombreggiatura sapiente del Correggio. Piccole effigi di splendide dame ed immense tavole alte quanto una parete si dividono armonicamente lo spazio. La strage degli innocenti di Guido Reni colpisce così, di sorpresa. Nascosta dietro i muri della sala 2, immensa ed imperiosa quanto il monito dell’artista, la tela è tinta di un rosso vivo, sanguigno.
Il rivolo di sangue percorre le vesti delle madri agonizzanti, alcune delle espressioni per nulla dissimili dalle immagini che ogni giorno abbiamo visto arrivare da Aleppo. Dolore, reso da ogni muscolo corporeo, ignorato dal cielo perfettamente sereno e amplificato invece dalla terra, sudario arido dei bambini colpiti. Reni, sapiente misuratore di luce, conosce il colore della morte. Non si può non rabbrividire di fronte a tale rappresentazione, senza sbavature.
Di fronte, una figura distoglie lo sguardo, come gli mancasse il coraggio di guardare. È il Ritratto di papa Leone X, immortalato dalla tavolozza di Raffaello Sanzio. Forse il più prezioso dei lasciti napoleonici, questo Pio X assiso evita lo sguardo dello spettatore, tra le mani una Bibbia e una campanella minuziosamente rappresentate. Pare che l’artista esorti a concentrarsi sui dettagli del ritratto, evitando un’indagine sulla figura papale. Un gesto coraggioso nel 1516. Come tutte le scelte artistiche di Raffaello, pittore di delicatezza e tenacia, che inseriva messaggi cifrati anche nelle sue commissioni.
Contemplando Caracci, Veronese ed una formidabile Assunzione della Vergine di Tiziano, si giunge all’ultima sala della mostra, la più superba. Al centro troneggia la Venere Italica di Canova, un figura pudica e ferita, che si erge tuttavia orgogliosa e sfuggente. La scultura fu un regalo dell’artista all’Italia derubata dal generale francese, che aveva portato con sé la Venere Capitolina dalla chiesa di San Vitale. Il popolo italiano ne fu talmente grato da giudicarla addirittura di bellezza superiore a quella datata II secolo d.C. Un simbolo di un paese che non muore, non si piega alle prepotenze e produce ancora e meglio, senza perdere il suo primato.
Ad osservarla con benevolenza i busti di tutti gli autori delle opere appena visionate, volti pacifici impressi nel marmo, familiari come se fossero appena scomparsi. Nella parete opposta sta invece una fanciulla ferita, con una forza intensa nello sguardo. È La Meditazione, di Francesco Hayez. Completata nel 1851, è un volto che sfida la storia. Hayez la dedicò all’Italia dopo i fatti del ’48, sul libro che tiene tra le mani infatti, si possono leggere le date delle Cinque Giornate di Milano, tentativo fallito di ritrovare la libertà. La fanciulla, sebbene scoperta e fragile, è fiera e forte. Non si può che rimanere ipnotizzati di fronte al suo orgoglio e alla sua voglia di rinascere. Nessuno esce dalla mostra senza fermarsi su Hayez almeno qualche minuto. “Rinascerà” sembra dire il dipinto, e chi sa come è andata non può che sorridere di soddisfazione.
Il Museo Universale è un’ode alla resistenza, di chi ha creduto in una Patria prima che essa ci fosse, di chi ha sentito un’identità nazionale mentre ne veniva continuamente privato. Ma è anche un monito per chi ha dimenticato i valori del paese che abita, per chi si chiude nel nazionalismo bieco, cieco alla verità di inclusione. Perchè è Italia la cultura, l’annessione, la bellezza ma, sopratutto, la pace.
Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova
Roma, Scuderie del Quirinale
16 dicembre 2016 – 12 marzo 2017