“Duet”: a Roma in scena il dramma (comico) della coppia
Lo spazio Carrozzerie N.O.T. ha ospitato “Duet”, terza parte dei Drammi Fecali di Werner Schwab. Diretto da Dante Antonelli con l’aiuto di Domenico Casamassima, la piéce parla di una coppia, generica e particolare, che è tutte le coppie insieme. Il teatro che esplora le strade intricate dell’essere in due e del fare, non senza drammi, questa scelta ogni giorno
di Gloria Frezza
su Twitter @lavanagloria
Un uomo, una donna, un amore. Un duetto di voci e punti di vista, di osservazioni e grida. Un marito e una moglie che si scagliano l’una conto l’altro per ricordare di essersi amati almeno un giorno, e che rincorrono quel giorno disperatamente per riuscire almeno a guardarsi di nuovo con una volontà positiva.
Di questo e di molte altre cose parla “Duet”, terzo ed ultimo atto della riscrittura dei Drammi Fecali, operata dalla penna del Collettivo SCHLAB e dalla regia di Dante Antonelli. Lo scorso 12 gennaio ha debuttato nello spazio indipendente Carrozzerie N.O.T. riunendo un vasto e variegato pubblico e coinvolgendolo nella grande ricerca della risposta. A quale domanda, vi chiederete. “Quanti siamo davvero quando siamo noi due?”. Sottotitolo e chiave di volta dello spettacolo, a volte urlata a volte mormorata sommessamente dai due protagonisti, è una richiesta catartica ed impegnativa che catalizza gli spettatori. Insomma: cosa siamo, quanti pensieri diversi abbiamo dell’altro, fin quando è possibile una vera convivenza tra odio e amore.
Duet comincia con una lite semplice. Due amanti si accusano vicendevolmente di ogni errore della specie umana, storico e naturale. Opposti per natura, Lui e Lei (interpretati da Valentina Beotti ed Enrico Roccaforte) vedono dietro il manto fitto dell’amore tutte le differenze che li rendono due sconosciuti. I rimbrotti salgono di volume e violenza, si allargano come un peccato originale fino a coprire tutti i campi dell’esistenza. In un momento di incredibile profondità, Lei comincia a dare a lui la colpa della situazione in Europa. La descrive con minuzia e struggimento, una civiltà della cultura che è diventata una macchina di morte. Poi però la colpa diventa troppo grande ed è evidente che non possa essere di Lui solo, allora guarda il pubblico fisso negli occhi e litiga con tutti. Ricordando l’antico adagio: chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Non fraintendetemi, Duet fa anche ridere. Molte delle scene, anche nella lite, hanno un ritmo ed un energia comica particolari. Inoltre è innegabile quanto sia divertente veder bisticciare due persone che si amano. Il riso è un esorcismo potente all’enormità del gesto di donarsi a qualcun altro e permettergli, volontariamente, di farti del male. Perciò si susseguono improbabili duetti canori e insulti fantasiosi, collegamenti rocamboleschi e viaggi mentali, e lo spettatore ride di gusto, come si dovrebbe.
Lui e Lei ci accompagnano per un’ora, lungo il limite vago della loro relazione. Tentativi più o meno riusciti di risalire la china della loro storia ci portano al confronto finale. Molti silenzi, di modo che ognuno si ponga le domande giuste. Nonostante la convinzione biblica che “le cose si sistemeranno”, allo scoccare dell’ora non se ne è più così certi. I protagonisti, in piedi di fronte a noi, ci ricordano che di qualsiasi cosa l’amore è più difficile. Una congiunzione di corpi, sguardi lenti ed una frase: “cosa vuoi per cena?”.
Duet è una spedizione nello scosceso territorio delle relazioni a due, dell’amore collaudato, anche del matrimonio in senso lato perché no. Un piccola conferma che sono gli individui a delineare l’andamento dei propri affetti, ogni giorno e con ogni scelta. Due attori di sapiente esperienza tengono il palco meravigliosamente ed il pubblico, avido ed incauto, freme per avere la sua lezione sul più grande segreto di tutti i tempi. Come siamo davvero quando siamo noi due?