Aborto: fermate gli obiettori di coscienza
L’applicazione della legge 194 diventa sempre più difficile per la quantità di medici che si rifiutano di praticare l’aborto. Come eliminare tale minaccia “costituzionale”?
di Guglielmo Sano
su Twitter @GuglielmoSano
In Italia, l’aborto terapeutico e l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) sono regolate dalla Legge 22 Maggio 1978 n.194. Più nota come “la 194”. Essa prevede la possibilità di interrompere la gravidanza fino al terzo mese dal concepimento. In caso di “pericolo di vita”, anche oltre il quarto mese. L’articolo 9 della 194, inoltre, dà ai medici e al personale sanitario la possibilità di dichiararsi “obiettore di coscienza”. In pratica, previa comunicazione al direttore sanitario, gli obiettori vengono esonerati dal partecipare alle procedure di Igv, anche se sono tenuti a prestare servizio nel caso in cui “il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.
Secondo una statistica diffusa dal ministero della Salute qualche anno fa (quindi, potrebbe essere più alta), oltre il 70% dei ginecologi italiani si dichiara obiettore di coscienza. Al Sud 8 medici su 10 non praticano l’aborto. In Molise, solo il 6,7% dei medici dichiara la propria disponibilità ad applicare la legge. Su 94 ospedali con un reparto di Ostetricia e Ginecologia solo 62 effettuano interventi di Ivg. Il 65,5% del totale. Stando ai dati disponibili, nelle provincie di Isernia, Benevento, Crotone, Carbonia-Iglesias, Fermo è impossibile abortire. Per l’Istat, nel 2012, 21mila donne su 100mila si sono dovute rivolgere alle strutture di un’altra provincia, il 40% di queste è stata costretta a cambiare regione.
Statistiche “fredde” ma che permettono di capire perché, giusto qualche mese fa, l’Ospedale San Camillo di Roma abbia indetto un bando per “blindare” due posti in organico con medici disposti a garantire il servizio. Una goccia nell’oceano. L’obiezione di coscienza, allo stato dei fatti, è una minaccia a livello “costituzionale”. Così la pensano anche al Consiglio d’Europa. L’11 aprile 2016 l’organo comunitario denunciava le difficoltà incontrate dalle donne italiane nell’accedere al servizio sanitario cui avrebbero diritto per legge. Non si tratta solo di una restrizione alla propria libertà di coscienza, insomma.
La portata delle percentuali non può essere giustificata esclusivamente in base a motivazioni etiche. Neanche il “peso psicologico”, ovviamente connesso alla pratica, le rende più comprensibili. La spiegazione, allora, è una sola. In Italia ci sono moltissimi obiettori “di comodo”. In realtà, la questione potrebbe essere più complessa. Anche se la scelta permette di evitare fastidiose scartoffie e un carico non indifferente di lavoro in eccesso, questo sicuramente.
Molti raccontano di un certo “disprezzo” dell’ambiente nei confronti dei medici che praticano l’aborto. In più, gli obiettori avrebbero maggiori possibilità di carriera. Non solo perché lo stesso meccanismo delle assunzioni li favorirebbe ma anche perché, qui il solito tocco di “spiralità” all’italiana, ci sono così pochi medici non obiettori che chi si dichiara disponibile a praticare l’Ivg finisce per fare solo questo genere di interventi. Ciò determina una scarsa possibilità di crescita professionale, oltre una mole di lavoro immane con conseguente innalzamento dei rischi per le pazienti. Anche per questo “paradosso” si diventa obiettori.
La legge parla chiaro, però, bisogna rendere disponibile del personale non obiettore. Risultato dell’equazione? Un Sistema Sanitario sempre più in affanno a gestire la corretta applicazione della 194. Soprattutto, dal punto di vista economico. Infatti, come ha recentemente inquadrato la situazione Giovanni Boniolo, ordinario di Medical Humanities all’Università di Ferrara: “Fare obiezione al servizio militare non costava nulla alla collettività, mentre i medici obiettori costano eccome. Perché se la struttura in cui lavorano vuole garantire comunque il servizio, deve pagare qualcun altro che lo faccia al posto loro (che intanto mantengono pieno stipendio). E se non vuole farlo, limita l’accesso a un diritto”.
Offrire la libertà di coscienza ma penalizzando economicamente la scelta dell’obiezione di coscienza? Potrebbe essere una possibilità. In paesi come Svezia e Finlandia, per esempio, la possibilità di rifiutarsi – semplicemente – non è contemplata dall’ordinamento. Ancora più a breve termine, si potrebbe istituire una quota obbligatoria di non-obiettori per ogni struttura. Forse già questo basterebbe a garantire un diritto alla salute troppo spesso nascosto dietro una fin troppo “opaca” questione morale.
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