“La Vegetariana” di Han Kang
“La Vegetariana” di Han Kang – scrittrice e poetessa sudcoreana vincitrice dell’International Man Booker Prize 2016 – avrebbe potuto essere un’ascia kafkiana, un dirompente fiume in piena che rompe gli argini e fa straripare i calici dei sogni di inquietudine e genialità. Avrebbe potuto, ma non è stato così
di Margherita Ingoglia
su Twitter @MargheritaIngog
Kafka diceva che un buon libro, per essere tale, deve funzionare come un’accetta che rompe, sconquassa le certezze, lascia dentro le maree agitate e non fa dormire la notte. Ma quando questo vien meno, allora stiamo leggendo solo un libro. Non un buon libro.
“La Vegetariana” di Han Kang – scrittrice e poetessa sudcoreana vincitrice dell’International Man Booker Prize 2016 – è uno di quei romanzi nel quale il pubblico, fomentato dal passaparola, dalla pubblicità e dal titolo che indubbiamente attira l’attenzione, riversa troppe aspettative che però vengono soddisfatte solo in parte.
È uno di quei libri che, come direbbero le nostre maestre ” si impegna, ma potrebbe fare di più“: una tra le frasi top ten dei ricordi scolastici. Una massima che, anche in questo caso, rende bene l’idea. È una storia truce e commuovente, ma non riesce a galvanizzare appieno le aspettative”.
La Vegetariana” potenzialmente avrebbe potuto essere un’ascia kafkiana, un dirompente fiume in piena che rompe gli argini e fa straripare i calici dei sogni di inquietudine e genialità. Avrebbe potuto, ma non è stato così, forse per la costruzione del romanzo, o forse per la poca enfasi con cui sono costruiti i tre macro capitoli, o forse perché, nella traduzione, il libro perde parte del suo trasporto.
Il libro resta monco, come se non riuscisse a scandagliare completamente la linfa di quel dolore; vi sono interessanti particolari che però non si rivelano, alla fine, indizi preziosi. Manca il climax della narrazione. La costruzione del romanzo non si focalizza su nessun particolare momento. La narrazione scivola leggera, semplicemente narrando.
I personaggi maschili ne vengono fuori veramente spappolati per la loro mancanza di coraggio, aggressività e smania sessuale. I personaggi femminili risultano invece forti e vulnerabili al contempo, subiscono e nel profondo reagiscono.
Yeong – Hye è una donna tranquilla e di poche parole. È sposata con un anonimo impiegato di una grande azienda e, a Seul, nella Corea del Sud, conducono una vita ordinaria e senza troppe pretese.
Caratterialmente è una donna accondiscendente, si occupa della pulizia della casa, della cucina e trascorre la maggior parte del suo tempo in solitaria, a leggere; unica trasgressione è quella di non indossare mai il reggiseno, neppure nelle occasioni che ne richiederebbero l’utilizzo.
Questa loro vita tranquilla si interrompe una notte quando il marito trova la donna in cucina intenta a raccattare dal freezer tutte le provviste di selvaggina per destinarle all’ immondizia, perché aveva deciso che voleva diventare vegetariana; decisione presa in seguito ad uno strano sogno che l’aveva particolarmente turbata. Il marito pensa che si tratti di una bizzarria momentanea, e inizialmente non presta molta attenzione all’accaduto.
Tuttavia, la metamorfosi della loro vita avrà inizio proprio quella notte. I mesi trascorrono e Yeong-Hye dimagrisce a vista d’occhio, il marito, impotente a quella situazione, decide di allarmare i suoceri e i cognati.
La famiglia decide di organizzare un pranzo nella loro casa, per cercare di far rinsavire la figlia, ma dinanzi quella ferma ostinazione di rifiutare il cibo, il padre di Yeong -Hye si infuria e le molla uno schiaffone – (immagine che ricorda lo schiaffo descritto nel libro “La Coscienza di Zeno” di Italo Svevo, in cui il padre di Zeno, sul letto di morte, dà uno schiaffo al figlio per farlo rinsavire e scuoterlo dall’inettitudine. In genere infatti, gli eroi sveviani hanno sempre una figura paterna, antagonista, che rappresentano il contrario della loro inettitudine).
A quell’azione, inaspettatamente, la figlia reagisce compiendo un gesto estremo che la porterà dritta in un ospedale psichiatrico.
La seconda parte del libro ha come titolo “La macchia mongolica“ – (una particolare voglia congenita tipica dei paesi asiatici di colore bluastro che solitamente compare alla nascita o
nei primi mesi di vita per scomparire di norma dai tre ai cinque anni dopo la nascita.) Yeong – Hye è uscita dall’ospedale psichiatrico ed è tornata a casa, ha ripreso a mangiare, sebbene abbia mantenuto la sua dieta vegetariana.
Il coraggiosissimo marito è scappato a gambe levate, abbandonandola, poiché quella partner servizievole e obbediente, apparentemente docile e priva di soggettività che un tempo aveva scelto come moglie era diventata una creatura pensante, ingombrante e diversa. Anche i genitori, ormai anziani, non hanno sufficienti forze per seguirla come meriterebbe; di lei si occuperà la sorella maggiore In-hye e il cognato (altro fenomeno), un video-artista di scarso successo che le offre una finta salvezza.
E come tutti sappiamo nessuno dà niente senza ricevere nulla in cambio.
Coinvolge la cognata in un esperimento artistico e la farà posare nuda per lui; già da tempo faceva pensieri lussuriosi su quella donna esile e problematica, e farà di tutto per riuscire a farla sua. Quando la moglie, nonché sorella di Yeong-Hye scopre quello che il marito ha fatto alla sorella, farà internare entrambi.
Solo nella terza parte del libro, dal titolo “Fiamme Verdi”, si scoprirà il passato duro di Yeong- Hye la sua vita vissuta in una famiglia patriarcale che rivela tutti gli arbitrii e le violenze di cui può essere capace quando il padrone, l’uomo, considera le persone, oggetti di esclusiva proprietà, da manipolare e brutalizzare a piacere.
Una violenza consumata nell’intimo del focolare domestico, e si intuisce il motivo per cui il sangue e la carne facciano così tanto ribrezzo alla donna, e il perché di quella decisione di diventare vegetariana – poi vegana – poi digiunante fino a credersi alla pari di un vegetale -scelta che diventa, presumibilmente, l’unica difesa possibile dinanzi alla violenza maschile.
Una decisione che esula dall’etica, dalla ragione salutista o estetica. Il rifiuto di mangiare carne dà alla protagonista l’illusione di potersi sottrarre a quel ritmo di macellazione, di cui, in qualche modo, anche lei ne ha fatto parte.
<< Anch’io faccio dei sogni, sai? Dei sogni… in cui potrei dissolvermi, lasciare che abbiano il sopravvento su di me… Ma non esiste solo il sogno, no? Dobbiamo svegliarci a un certo punto, non è così?>>
“La vegetariana“, di Han Kang
Editore Adelphi, 2007
179 pagine
traduzione di Milena Zemira Ciccimarra