La Sforbiciata | Il portiere illuminato dalla “Luz” di Lisbona
Torna “La Sforbiciata”, la nostra rubrica dedicata al mondo del calcio, ovviamente targata Ghigliottina. In questo appuntamento vi raccontiamo la storia di Ricardo, il portiere portoghese che fermò con le proprie mani l’Inghilterra ai quarti di finale di Euro 2004
di Sergio Basilio
su Twitter @TagoSergio23
Tutti noi abbiamo le cosiddette “serate della vita”, quei momenti in cui ci sentiamo invincibili e in grado di poter realizzare l’impossibile; restringendo il campo possiamo dire che i portieri nel calcio ne hanno una o due di serata così in tutta la carriera: Francesco Toldo lo sa bene, si ricorda ancora i cinque rigori respinti su sei nella semifinale degli Europei in Olanda e Belgio nel 2000, ad Amsterdam contro i padroni di casa. Qualcosa di simile, se non di più incredibile, è successo quattro anni più tardi, a un portiere portoghese che quando stava attraversando il tunnel che conduceva al campo dello stadio Da Luz di Lisbona quella sera, non immaginava minimamente cosa il destino aveva in serbo per lui. Stiamo parlando di Ricardo, estremo difensore del Portogallo.
Facendo un passo indietro cerchiamo di capire chi è Ricardo Alexandre Martins Soares Pereira, nato fisiologicamente a Montijo in Portogallo l’11 febbraio 1976 e professionalmente nel 1996 con il Boavista, dove vincerà il suo primo titolo nel 2001, che combacia anche con il primo campionato della storia per il club di Oporto. Ricardo si guadagnerà personalmente la nazionale (partecipando anche al disastroso Mondiale del 2002 in Corea e Giappone come vice del mito nazionale Vitor Baìa) e nella stagione 2002/2003 segnerà anche un gol, gesto di cui ne farà tesoro qualche tempo dopo.
Il top della carriera lo raggiunge nei suoi cinque anni con lo Sporting Lisbona, dove sfiora con i suoi compagni la conquista della Coppa EUFA 2005, giocata proprio a Lisbona e persa per 3-1 contro il CSKA Mosca. Le sue armi migliori sono la reattività tra i pali, una sana incoscienza che si trova innata nel sangue dei portieri e quel soprannome di “pararigori” che si è conquistato negli anni. Passa in seguito prima al Betis Siviglia e poi al Leicester City, che non saranno grandi avventure da ricordare. Giocherà anche con il Vitoria Setùbal, prima di chiudere a trentotto anni con l’Olhanense.
Ma come spesso accade per certi calciatori, è in nazionale che mostrano il vero talento, una perfetta simbiosi con quella maglia che sembra stare addosso come una seconda pelle. L’orgoglio di rappresentare il proprio paese, l’inno nazionale cantato tutti insieme, l’opportunità rara di poter giocare un Europeo o un Mondiale magari in casa e quell’indescrivibile senso di appartenenza a un gruppo che si crea solo a ridosso di (o durante) un grande torneo in quel mese di Giugno.
È il 25 giugno 2004, quarti di finale degli Europei di Portogallo; finora è stato un torneo bellissimo, che ha visto qualche eliminazione nobile al primo turno (Spagna, Italia, Germania) e tante belle partite (Olanda-Repubblica Ceca su tutte). I tifosi che vanno verso l’Estadio Da Luz di Lisbona sanno di andare a vedere una delle più belle ed emozionanti partite che il salotto d’Europa può regalare: Portogallo-Inghilterra.
Finora nel torneo, passato lo shock iniziale per la partita d’esordio persa a sorpresa contro la modestissima e operaria Grecia (non sanno ancora cosa li attenderà in finale), i lusitani hanno acquistato coraggio minuto dopo minuto battendo la Russia nella seconda partita e poi togliendosi la soddisfazione di buttare fuori i cugini spagnoli capitanati da Raul e Casillas. La squadra è equilibrata: Ricardo tra i pali ha salvato più di un’occasione, la difesa è guidata dal leader Ricardo Carvalho, il centrocampo è talento puro al servizio della squadra con Maniche, il brasiliano Deco, il diciottenne astro nascente Cristiano Ronaldo, il simbolo Rui Costa e il capitano Figo, mentre il terminale offensivo è Nuno Gomes. Hanno un gioco ben delineato, orchestrato da un brasiliano amatissimo da tutti di nome Luis Felipe Scolari, un tasso tecnico elevatissimo ed è probabilmente la migliore selezione portoghese di sempre, può ripetere finalmente i fasti degli anni ’60 quando a guidare la squadra c’era Sua Maestà Eusebio (in tribuna per il quarto di finale ovviamente).
Dall’altra parte abbiamo invece la più forte nazionale inglese dai tempi di Lineker e Shilton. Sven Goran Eriksson, un inglese mancato venuto dalla lontana Svezia, ha dato un po’ d’ordine e qualità agli inventori di questo sport facendo girare tutto attorno al centrocampo più forte di quegli anni. Nessuna squadra poteva permettersi quattro titolari come Gerrard, Lampard, Beckham, Joe Cole e Paul Scholes; con difesa agli ordini di John Terry e attacco niente male col Wonder Boy Michael Owen e un altro appena diciottenne dal futuro roseo di nome Wayne Rooney.
La partita è bellissima: segna Owen dopo appena tre minuti con una girata innaturale del corpo e per i successivi ottanta minuti assistiamo a un vero e proprio assalto alla porta difesa da David “Calamity” James, mentre sugli spalti cresce la paura per una prematura eliminazione per il pubblico di casa. Il pareggio meritatissimo arriva al 83° minuto grazie all’uomo della panchina, Helder Postiga: uno a uno, si va ai supplementari.
Nei supplementari del 2004 vigeva una regola bizzarra chiamata Silver Goal, chi segnava in uno dei due tempi supplementari al fischio finale dei quindici minuti (primo o secondo tempo che sia) vinceva (e l’Italia quattro anni prima conobbe tutta l’assurdità di questa norma). Una regola abolita subito dopo per tornare ai classici due tempi da 15 minuti ciascuno. Al 110’ con una cavalcata trionfale spinto da tutto un Paese Manuel Rui Costa siglava un 2 a 1 che sembrava definitivo, ma cinque minuti più tardi sempre con una girata rapidissima, Frank Lampard ristabiliva la parità, nessuno voleva andare a casa quella sera.
Rigori: una roulette russa che santifica dei comuni mortali e spedisce all’inferno i fenomeni acclamati. Batte Beckham per primo e la spedisce quasi fuori dallo stadio; altra vittima illustre Rui Costa, tradito al quarto tiro dalla troppa emozione, gli altri segnano tutti, si va a oltranza ed è qui che il nostro protagonista finora fuori dai riflettori entra in scena.
Ricardo Pereira finora non ha azzeccato nemmeno un angolo giusto sui rigori inglesi e prima di andare a posizionarsi per tentare di parare l’ennesimo rigore, si avvicina a Eusebio (che nel frattempo era sceso dalla tribuna per stare insieme alla delegazione portoghese a bordo campo) che gli sussurra qualcosa all’orecchio: molti pensano gli abbia consigliato quale angolo battezzare sul tiro di Darius Vassell, ma in realtà quello che probabilmente avrà detto è che per meritare la gloria degli dei del calcio bisogna sempre fare qualche sacrificio, ecco che allora Ricardo Pereira da Montijo si toglie i guanti prima di posizionarsi tra i pali, non molti si accorgono subito della cosa ma gettandosi sulla sua sinistra indovina l’angolo dell’attaccante inglese e respinge il tiro.
Tutto lo stadio colorato di rosso e verde esulta come in una festa di vittoria, come se avessero vinto la Coppa del Mondo, ma c’è ancora il rigore di casa da calciare e nell’eccitazione del momento sugli spalti non tutti si accorgono che a calciare l’ultimo decisivo rigore per i portoghesi è proprio il portiere Ricardo preso dalla SUA interiore adrenalina della parata precedente e illuminato da un invisibile raggio di luce dello stadio chiamato “Da Luz” (“luce”, in portoghese). Senza nemmeno pensarci calcia fortissimo su un angolo dove il portiere inglese non può far niente e porta il Portogallo a una semifinale degli Europei.
Mai nessun portiere aveva (doppiamente) inciso così tanto nel risultato ai calci di rigore: il Paese in festa lo soprannominerà “pararigori” e lo ringrazierà sempre anche se il finale di quegli Europei rimarrà amarissimo per tutti i portoghesi che sognavano di vincere il titolo in casa. Due anni più tardi, al Mondiale di Germania 2006, sempre ai quarti di finale, sempre contro l’Inghilterra e sempre dagli undici metri vincerà ancora lui, siglando un altro record personale perché nessun portiere aveva mai parato ben tre rigori in una singola partita di un Mondiale. Batterà ancora una volta gli inglesi in una corsa che porterà i lusitani a guadagnarsi il quarto posto di quella manifestazione, questa volta con i guanti, da comunissimo umano perché di vittorie ai calci di rigore possono essercene tante in carriera, ma di notti da ricordare per tutta la vita, poche.