“La pazza della porta accanto”, struggente ritratto di Alda Merini firmato Alessandro Gassmann

Tempo di lettura 4 minuti

Sul palco del Teatro Ciro Menotti di Milano un’intensa Anna Foglietta nei panni della poetessa dei Navigli, negli anni duri del ricovero in manicomio

di Alessia Carlozzo
su Twitter @acarlozzo

Fotografie per la stampa La Pazza della porta accanto. Ombretta De Martini @2015

Fotografie per la stampa La Pazza della porta accanto. Ombretta De Martini @2015

Accartocciata come una foglia d’autunno Alda Merini, magistralmente interpretata da Anna Foglietta, racconta alcuni frammenti della sua permanenza nell’ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano.

È un atto d’amore, quello di Claudio Fava, autore del testo e di Alessandro Gassmann, regista de “La pazza della porta accanto”, nei confronti della poetessa dei Navigli amata, celebrata e soprattutto riscoperta mai come in questi ultimi anni. Ma è allo stesso tempo una denuncia verso quelle che erano le pratiche comuni e quotidiane alle quali dovevano sottostare i pazienti degli allora manicomi, prima che intervenisse la Riforma Basaglia nel 1978.

Ne nasce un atto unico straziante e sincero che racconta il dramma di una donna, prima ancora che una poetessa, che amava più di ogni altra cosa l’amore. Un concetto basilare e quasi banale se lo si immerge nella quotidianità di tutti, ma che diventa all’interno dell’istituto, che si muove in una sorta di dimensione parallela, un vero e proprio tabù. Così alla nascita quasi inverosimile di una amore tra Alda e un paziente, si contrappone il sistema di regole imposte da medici e infermiere e che impongono pesanti trattamenti ai propri pazienti, quale elettroshock e bagni in acqua gelida.

Cercavo una luce” tenta di giustificarsi il medico che ha in cura Alda. La stessa luce che Alda cerca in Pier, quella promessa di un amore mai davvero sbocciato fino in fondo. L’incapacità di lui di immaginare una vita al sicuro fuori da quell’edificio. La voglia di lei di tornare a tenersi semplicemente per mano. Colpisce la profondissima fragilità di questa Alda Merini, assetata di vita e di amore fino allo sfinimento. Le come unico contraltare alle sue compagne “di cella”, assuefatte a quella vita ormai anestetizzata da medicina e scariche elettriche.

Fotografie per la stampa La Pazza della porta accanto. Ombretta De Martini @2015

Fotografie per la stampa La Pazza della porta accanto. Ombretta De Martini @2015

Così come si rimane allo stesso modo quasi meravigliati dall’umanità dello stesso medico già citato, che appare affascinato dalle parole di Alda e la spinge a non fermarle, a lasciarle libere su carta stampata, spingendola a non smettere mai. Una richiesta che sa quasi di vaticinio considerata la futura e ingente produzione letteraria della poetessa milanese.

“La pazza della porta accanto” non a caso riprende il titolo di una delle raccolte di Alda Merini e riporta alla memoria del pubblico alcuni dei suoi versi più belli, regalati da Anna Foglietta alle compagne dell’istituto nel corso dello spettacolo. Sono l’ulteriore forza dello spettacolo, consentono di rafforzare la figura della stessa Alda e consegnarla nella sua interezza e integrità di artista. Fragile, malata, maledetta ma capace di non piegarsi mai. L’andatura della stessa Foglietta, incerta, curva, perennemente sul punto di cadere, consegna al pubblico l’immagine evocativa e metaforica di una canna di bambù capace di piegarsi ma non spezzarsi mai.

Che poi è la storia della Merini, rinchiusa per diversi anni in quell’ospedale “per matti” e rinata poeticamente ancora più forte di prima. Malgrado quello che lei stessa affermò: “Si va in manicomio per imparare a morire”. Perché è da questa stessa esperienza che nascerà qualche anno dopo “La Terra Santa”, considerato dalla critica il suo capolavoro e all’interno del quale racconterà in versi la terribile esperienza dell’internamento.

Fotografie per la stampa La Pazza della porta accanto. Ombretta De Martini @2015

Fotografie per la stampa La Pazza della porta accanto. Ombretta De Martini @2015

Lo spettacolo “La pazza della porta accanto” quindi funziona e convince. Funziona perché non cade mai nell’errore di “mitizzare” un personaggio, seppur della spessa caratura quale quella di Alda Merini, quanto di renderlo quanto più umano possibile. Anna Foglietta in questo regala un’interpretazione da brividi. Il controllo del corpo ma ancor di più della voce consentono di far acquisire una profondità rara a un’interpretazione teatrale.

L’allestimento scarno e rigido gioca un ruolo importante, gli ambienti cupi e grigi si contrappongono a quel giallo un tempo sgargiante delle vesti delle attrici. Un ambiente che rimane asettico e quasi primordiale, perfetto per la storia da contenere al suo interno. Una nota di merito per tutto il cast, che esce vincente dalla difficile sfida di non restare schiacciato da una simile interpretazione quale quella della Foglietta.

Alessandro Gassmann conferma una sensibilità rara nel saper gestire lo spazio del palcoscenico e nel valorizzare le sfumature del cast, dimostrando come sia il teatro, forse, l’ambiente a lui più caro e congeniale dove esprimersi.

“Ci sono notti che non accadono mai”, scriveva Alda Merini. Ci sono anche notti, come questa al Teatro Ciro Menotti, dove invece qualcosa ritorna. È quella malinconica solitudine che ci accompagna costantemente, anche in coppia magari, e la voglia di cercare quella leggerezza tanto cara ad Alda. Leggera come un palloncino scappato via.

La pazza della porta accanto 

di Claudio Fava
regia di Alessandro Gassmann
con Anna Foglietta

al Teatro Ciro Menotti – Milano
fino al 29 gennaio
Biglietti: platea 26,50€
teatromenotti.org

(immagini gentilmente concesse dall’ufficio stampa)

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