Libera la parola! …verso il secondo Festival dei Diritti Umani
In occasione della seconda edizione del “Festival dei Diritti Umani” (Milano, 2-7 maggio 2017) è stato lanciato un concorso giornalistico dedicato alle scuole. Nella nostra intervista al direttore del festival, Danilo De Biasio, abbiamo approfondito il tema della libertà di espressione
di Graziano Rossi
su Twitter @grazianorossi
Tra circa due mesi torna il Festival dei Diritti Umani, manifestazione organizzata dall’associazione non-profit Reset-Diritti Umani con un nobile obiettivo, sensibilizzare le persone su una questione tanto importante come la libertà d’espressione, tema sul quale si focalizzerà quest’anno il festival (il claim è “Parole e silenzi. Libertà e limiti.”). Sulla strada che porta alla seconda edizione, in programma dal 2 al 7 maggio alla Triennale di Milano, un concorso giornalistico per le scuole, in collaborazione con la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e il Ministero dell’Istruzione: ed è proprio la libertà di espressione l’argomento del contest (la cui scadenza per l’invio dei contenuti è fissata per il 15 marzo), del quale abbiamo parlato in un’intervista con Danilo De Biasio, direttore del Festival dei Diritti Umani.
Studenti oggi, reporter domani: per la seconda edizione del Festival dei Diritti Umani è stato lanciato un concorso giornalistico dedicato alle scuole superiori di secondo grado, in collaborazione con Ministero dell’Istruzione e Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Qual è l’obiettivo del contest ideato per i giovani studenti del nostro Paese?
La libertà d’espressione è possibile quando si hanno i mezzi per esercitarla. Un quadro sociale, economico, politico, culturale di libertà è la precondizione, poi occorre avere anche gli strumenti per farsi comprendere. Un ragazzo si può esprimere con una scritta su un muro, vestendosi in un certo modo: è successo a tutti noi. E a tutti noi sarà capitato di stupirsi di non essere compresi dagli adulti. Come Festival dei Diritti Umani abbiamo pensato che fosse giusto farsi anche queste domande, proporre anche queste chiavi di lettura. Chiacchierando – nel vero senso della parola – con il Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Beppe Giulietti abbiamo realizzato che il “pezzo” giornalistico può essere una chiave per incuriosire gli studenti alla comunicazione, per invogliarli a trovare dei canali di dialogo comprensibili. Da qui è nata l’idea di un concorso che ha trovato subito l’adesione del Ministero dell’Istruzione. Il “pezzo” giornalistico, in poche parole, può essere un modo per comunicare meglio. Forse così non ci saranno più 600 docenti universitari che si lamenteranno dell’incapacità degli studenti di scrivere in italiano. O perlomeno ci speriamo.
Negli ultimi anni la “libertà d’espressione” è messa a dura prova. L’Italia dei media è continuamente sotto attacco se pensiamo ai tanti reporter che ogni giorno cercano di fare il proprio lavoro senza riuscirci e con tremende difficoltà di vario genere, mentre dall’altra parte esiste, purtroppo, anche la questione “fake news”. Il Festival come si pone rispetto a questo delicato momento, pensando anche al tema dell’edizione 2017 della manifestazione, incentrato proprio sulla libertà d’espressione e sui limiti che spesso la rendono difficile (come ad esempio lo hate speech)?
“Libertà e limiti” è esattamente il focus del nostro festival. Affrontare il tema della libertà d’espressione senza segnalare che il giovane giornalista precario ha meno autonomia professionale rispetto a chi è entrato in redazione 30 anni fa non è utile. Sostenere che la libertà d’opinione non prevede la libertà d’odio rischia di essere solo uno slogan se non proviamo a stabilire anche qual è il confine. Il giornalismo non è una scienza esatta ma non è (non dovrebbe) essere consentito di scrivere bugie. Attenzione: questi ragionamenti sono importanti per le nazioni in cima o a metà classifica dell’indice della libertà d’espressione. Da metà classifica in giù il lavoro da giornalista diventa un rischio: reporter arrestati, redazioni chiuse, se non addirittura giornalisti ammazzati. Dobbiamo tenere conto di entrambi gli scenari.
Direttore, al termine della prima edizione del Festival dei Diritti Umani lei ha dichiarato che “la gioventù non è apatica”, che ragazze e ragazzi “vogliono essere coinvolti”. Con quale spirito affrontate quest’anno il percorso di avvicinamento alla manifestazione?
Confermo parola per parola questo concetto: abbiamo incontrato studenti (ma anche docenti) che hanno voglia di discutere, conoscere, imparare, basta che abbiano un’occasione per farlo. Faccio un esempio: noi avevamo pensato di dedicare ogni giornata del Festival ad un argomento specifico, ma abbiamo colto che c’era una gran voglia di discutere del cyberbullismo. Abbiamo pensato che bisognava raccogliere questo input e stiamo quindi provando a dedicare al tema due giornate invece che una. Ci siamo anche domandati perché. La risposta non è facile, ma forse sta proprio in quella dicotomia libertà/limiti: a pensarci bene prendere di mira una persona significa abusare di una libertà d’espressione. Ma è altrettanto vero che se la reazione a questo problema è solo la repressione si cade nell’eccesso opposto, si abusa dei limiti. I ragazzi e le ragazze, chiedendo spazio per parlare di questo tema, hanno ancora una volta dimostrato di non essere apatici, ma solo esclusi. E il Festival dei Diritti Umani vuole invece riportarli protagonisti.