A teatro torna la ribelle “Casa di bambola” di Filippo Timi

Tempo di lettura 4 minuti

Sul palco del Teatro Franco Parenti di Milano la coppia Timi – Rocco continua a non deludere il pubblico e regala una diversa prospettiva della nota rappresentazione di Ibsen

di Alessia Carlozzo
su Twitter @acarlozzo

(fonte immagine: teatrofrancoparenti.it)

Uno sguardo diverso, quello di Andrée Ruth Shammah, regista di questo adattamento de Una casa di bambola, celebre pièce di Henrik Ibsen del 1879. Da sempre considerato come un manifesto del femminismo, una sorta di rivalsa della donna ingabbiata in un ruolo troppo stretto e non attuale coi Tempi di allora, oggi al Teatro Franco Parenti di Milano, rinomato punto di riferimento artistico della città, assistiamo a una totale diversa chiave di lettura del rapporto tra l’Avv. Torvald e l’arcinota Nora.

Quello che infatti appare sempre più ovvio, tanto più che la storia si dipana, è la maestria di Nora nel riuscire a manovrare abilmente come una sorta di burattinaia, le fila del suo matrimonio e del suo rapporto con tutti i protagonisti maschili. Nora non è la semplice bambola rinchiusa tra le mura di una splendida casa vittoriana, Nora è la donna capace di diventare a comando l’allodola tanto amata dal marito, quanto la ribelle in cerca del suo spazio.

Non è comandata suo malgrado dal marito, ma si presta coscientemente al farsi plasmare come egli vuole. E’ consapevole infatti di ciò che Torvald desidera e agisce di conseguenza. È questo il primo aspetto che colpisce della rappresentazione. Non esiste più una vittima e un carnefice ben definito, esiste una coppia che trova il proprio equilibrio nell’accettazione apparente da un lato e nella totale cecità dall’altro. Il “cieco” in questo è proprio Torvald, qui magistralmente interpretato da Filippo Timi, che si crogiola in un’esistenza ligia e retta, illudendosi di aver compreso totalmente la moglie e certo di ogni suo comportamento.

Ne nasce così una dinamica di coppia che conduce per forza di cose verso uno sconvolgimento dei ruoli, dove appare evidente che sia la donna l’elemento dominante, capace di piegare la controparte maschile facendola sprofondare in una crisi fino a prima del tutto ignota. È la crisi dell’uomo di fine Ottocento che culminerà nel Novecento con l’avvento della psicoanalisi e l’onda dirompente degli studi di Sigmund Freud.

A rimarcare questo scontro tra i sessi è la scelta di far interpretare i tre personaggi maschili, quindi non solo Torvald ma anche l’ironico dottor Rank e il “crudeleKrogstad allo stesso Timi, che detta con i suoi continui cambi d’abito il ritmo della rappresentazione. Senza mancare di strappare più di un sorriso, “uscendo dai ranghi” della rigidità che un simile personaggio come Torvald richiedeva, per regalare brevi sketch al pubblico, visti anche come necessari dallo stesso Timi, per tentare di sfogarsi e contenere allo stesso tempo il fiume in piena che solitamente è sulla scena.

(fonte immagine: teatrofrancoparenti.it)

Filippo Timi offre così una prova istrionica, convincente e profonda, rappresentando non tanto dei singoli personaggi, quanto tutto il sesso maschile con le sue apparenti certezze crollate come un castello di sabbia. Uno e trino si potrebbe quasi dire. Con quell’unico cambio d’abito direttamente in scena, accompagnato dalle note di “My funny Valentine”, che regala un brivido al pubblico, e la certezza che spesso gli uomini più che mai non riescono a sciogliere l’enigma che si cela dietro il volto di una donna.

Volto che qui ha le fattezze di un’eccellente Marina Rocco, bionda, biondissima, forse confusa, forse leggera, forse solo determinata a trovare se stessa. Una ricerca che l’aveva condotta ad accontentare prima il padre e poi il marito, o almeno così ci vuole far credere. Infine una ricerca che la porta ad uscire da quella gabbia dorata e spingersi al di là di quella porta, magari con in tasca un sacchetto di amaretti che le erano sempre stati vietati (ma che in fondo aveva sempre mangiato… che sia l’ennesima riprova della sua effettiva volontà di volersi solo apparentemente piegare ai desideri del marito?).

Nora fugge via, è cosa risaputa, ma cosa lascia effettivamente dietro di sé? Un uomo a pezzi, il crollo di un’istituzione quale il matrimonio e della visione patriarcale del nucleo familiare con la tanto decantata superiorità maschile e predominio di quest’ultimo. O almeno questo è quello che apparentemente da sempre ha voluto raccontare Ibsen.

Qui su questo palco invece, e forse forti una sensibilità diversa da quella dei tempi del drammaturgo norvegese, assistiamo al ribaltamento dei ruoli classici, con un uomo fragile e in crisi e una donna capace di riappropriarsi della sua vita. Resta una domanda a sipario calato: “Ma Nora era davvero una femminista ante litteram?”. O più semplicemente si era stancata della sua bambola Torvald? Ci piace pensare che comunque alla fine quell’allodola abbia in qualche modo spiccato il volo.

UNA CASA DI BAMBOLA
fino al 12 marzo al Teatro Franco Parenti di Milano
di Henrik Ibsen
traduzione, adattamento e regia di Andrée Ruth Shammah
con Filippo Timi
Marina Rocco nel ruolo di Nora
e con la partecipazione di Mariella Valentini
e con Andrea Soffiantini, Marco De Bella, Angelica Gavinelli, Paola Senatore
Tournée
14 – 19 marzo 2017 Teatro Morlacchi (Perugia)
21 marzo – 2 aprile 2017 Teatro Carignano (Torino)
4 – 9 aprile 2017 Teatro Stabile (Genova)

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