Elezioni Olanda: Wilders perde ma lascia il segno
Il partito di Geert Wilders avanza ma non sfonda. Prima battuta d’arresto dell’onda populista, in attesa di vedere cosa succederà in Francia e Germania
di Guglielmo Sano
su Twitter @GuglielmoSano
Le elezioni nei Paesi Bassi potrebbero essere considerate un po’ come i “quarti di finale” contro il populismo. Per le “semifinali” bisognerà aspettare il ballottaggio francese di maggio che, con tutta probabilità, vedrà Marine Le Pen in corsa per l’Eliseo. La “finale”, invece, si svolgerà a settembre, quando il voto in Germania potrebbe portare l’estrema destra rappresentata da AfD all’interno dell’arco costituzionale tedesco. La metafora sportiva è stata utilizzata dal primo ministro olandese Mark Rutte, prima dell’atteso voto di mercoledì 15 marzo. “I Paesi Bassi hanno la possibilità di fermare l’effetto domino del populismo”, ha poi proseguito nella sua “chiamata alle armi” il leader del Partito Popolare.
Alla fine Geert Wilders, esponente di spicco del Partito della Libertà (PVV), noto per le posizioni estreme su Islam e Ue, non ha vinto. Di certo, si tratta di una battuta d’arresto importante per l’«onda populista» che sta prendendo piede sotto l’insegna, per farla semplice, di redivive istanze sovraniste e malcontento anti-establishment. D’altro canto, anche se la narrazione mediatica del risultato farebbe pensare altrimenti, non ha vinto neanche Il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD) di Rutte – tanto meno ha vinto l’attuale classe politica olandese.
Alla tornata elettorale del 2012, il VVD aveva conquistato ben 41 seggi su 150 totali. Subito dietro i popolari era arrivato il PvdA, la maggiore forza olandese di centro-sinistra, con 38. Il PVV di Wilders, invece, non andò oltre quota 15 seggi. Alla luce di questo risultato, si formò un governo di “larghe intese”. Dopo 5 anni, il verdetto delle urne ha decisamente ridimensionato i maggiori partiti “tradizionali”. Il Partito Popolare ha perso ben 8 seggi (fermandosi a quota 33). I socialdemocratici hanno eletto solo 9 deputati (ne hanno persi ben 29).
Da parte sua, il Partito della Libertà ha guadagnato 5 scranni, un risultato ben al di sotto delle aspettative. Inoltre, grazie a un Parlamento “scheggiato” in 13 partiti – mai stati così tanti alla Tweede Kamer – non sarà difficile escludere Wilders dal governo. Detto ciò, ci vorranno mesi per formare il nuovo esecutivo, come da consuetudine olandese. In ogni caso, un accordo tra VVD, CDA (Cristiano-democratici) e D66 (liberali pro-europeisti) con l’appoggio dei Verdi (i veri “vincitori” di queste elezioni: hanno guadagnato 10 seggi, ne occuperanno in tutto 14) e dei Laburisti e dei partiti cristiani minori, sembra essere l’evenienza più probabile al momento.
Allarme rientrato? Il “populismo” comincia a perdere terreno? Calma. Dato il sistema elettorale olandese, che assegna i seggi direttamente in base al numero di voti ottenuti da un partito (proporzionale), era irrealistico pensare che il PVV potesse conquistare la maggioranza necessaria per governare. Sì, ma il Partito della Libertà non è risultato neanche il più votato. È vero, ma questo non implica che la tendenza generale stia arretrando – si parla di “onda populista” non a caso. Proprio come un‘onda il fenomeno del “populismo” ha un andamento fatto di alti e bassi. Come mostrano le ricerche degli studiosi Ronald Inglehart e Pippa Norris, le forze europee riconducibili a questa area crescono costantemente ma “a singhiozzo” sin dall’inizio degli anni 60.
Al di là di quanto detto, resta il fatto che Wilders non ha “sfondato”. Tuttavia, la sua affermazione può essere considerata l’«ombra lunga» di alcuni cambiamenti epocali che i Paesi Bassi sembrano destinati ad affrontare, come tante altre democrazie liberali. Innanzitutto, il “crollo” della tradizionale polarità democristiani/socialdemocratici, centrodestra/centrosinistra. In secondo luogo, la sempre maggiore irrilevanza dell’idea di “democrazia sociale” che tale bipolarismo, almeno teoricamente, dovrebbe comportare.
Infatti, mentre il Partito del Lavoro (PvdA) si avvicinava sempre più alla peggiore disfatta della sua storia (punito principalmente per l’appoggio alle politiche d’austerity), i centristi conservatori hanno scelto di irrigidire le proprie posizioni sull’immigrazione per non concedere troppo “a destra”. Nel frattempo, Rutte svestiva i panni del “moderato” per indossare quelli dell’«uomo forte» in uno scontro a distanza con Erdogan in cerca di consensi tra i turchi che vivono nei Paesi bassi in vista del prossimo referendum costituzionale.
Entrambe le cose non hanno mancato di pagare a livello elettorale, segno che le problematiche legate all’«immigrazione» e all’«interesse nazionale», fulcro del programma PVV, sono in cima alle priorità dell’elettorato. Per questo motivo, nonostante la crescita sostanziale delle forze pro-Ue nel panorama politico olandese e la netta preferenza espressa dal paese per un centro-destra “esperto”, Rutte potrebbe scegliere di approssimarsi ulteriormente ai contenuti di Wilders. Così da non esporre quello che potrebbe essere l’esecutivo più “fragile” della storia olandese ai prevedibili “colpi bassi“ del leader PVV che, già una volta, nel 2010, ha fatto cadere un governo guidato dal centrodestra.