Partito personale sì o partito personale no: questo è il dilemma
Dopo più di vent’anni e diversi colori politici, il modello del Partito personale sembra destinato ad andare in pensione. Al suo posto, la tanto elogiata democrazia partecipata e rappresentativa. Il fascino per l’Uomo forte al comando, però, sembra intramontabile
di Mattia Bagnato
su Twitter @bagnato_mattia
“O Capitano! Mio Capitano”, tuonavano gli studenti dall’alto di loro banchi nel famoso film di Peter Weir, L’attimo fuggente. Il professor John Keating, interpretato da Robin Williams, replicava di coglierlo quell’attimo proprio perché fugace. Come il Capitano di Walt Whitman anche il nostro, o meglio i nostri Capitani, sembrano essere giunti alla fine del “tremendo viaggio”. Ripudiati, o forse no, dagli stessi elettori che in precedenza ne avevano fatto le fortune. Di sicuro, però, in molti casi sono stati proprio i “compagni” di Partito a metterli alla porta. Si sa, dell’insofferenza di nei confronti dei Capi(tani) ne è piena la politica italiana. Ma è effettivamente così? La storia politica attuale sta davvero palesando la fine dei leader carismatici e dei loro Partiti personali?
Morto un capitano se ne fa un altro – Secondo molti osservatori politici[1] sembra di sì. Il declino, lento e inesorabile, sembra infatti arrivato. Il più illustre tra i Capitani è stato Berlusconi. Prima di lui, però, era toccato a Umberto Bossi lasciare lo scettro del comando. Rimpiazzato, a suon di scandali, da Matteo Salvini. Uno che se Capitano non lo è, ci si atteggia comunque molto. L’ultimo tra i nobili decaduti, invece, è stato Matteo Renzi. Tradito dal suo ego smisurato. Il risultato, un Pd allo sbaraglio e in balia di non si sa più quante correnti interne. Bersaniani, Dalemiani, e chi più ne ha più metta. Un capitolo a parte, invece, se lo merita Beppe Grillo. Il Capitano dei Capitani.
Non è tutto oro quel che luccica – A vederla così, la politica italiana sembra in procinto di vivere un nuova fase. Messi in tacere i vecchi “padri padroni”, staremmo assistendo alla consacrazione di un modello a metà tra democrazia partecipata e rappresentativa. Uno scenario idilliaco, dove l’agenda politica non sarebbe più influenzata da interessi personali e logiche politiche. Il Segretario di Partito, nient’altro che un portavoce delle istanze dell’elettorato. Una rivisitazione 3.0, a questo punto, del Partito di massa di berlingueriana memoria. Dove la base conta più della testa. Blog vari, voto online e “leopoldici” tavoli tematici ne sarebbero l’espressione più autentica e genuina.
Chi senza peccato scagli la prima pietra – Gli italiani avrebbero, quindi, abbandonato le antiche pulsioni per il carisma e il pragmatismo. Solo i suoi più alti “rappresentanti” politici ne sarebbero ancora infatuati, allora. Vista e considerata l’indistruttibile tendenza, dei politici italiani, a proporsi come Uomini forti al comando. Figura che confonde il carisma del leader con il populismo nudo e crudo. Ma questo è solo un giudizio personale. La verità vera è che grazie a questa distorsione, insita in chi detiene il potere[2], si ottengono una caterva di voti. Giusto per usare un tecnicismo. Ne sa qualcosa Renzi, che “andando dritto per la sua strada” ha portato il Partito al 40%.
Chi mi ama mi segua – L’ha scoperto da poco anche Grillo. Uomo tanto solo quanto al comando. Fa e disfà come meglio crede Beppe. Guai, però, a fargli notare che il suo Movimento sta prendendo una deriva, vagamente, autoritaria. Da “padre padrone”, appunto. Che tratta i suoi “figli” come degli sprovveduti. Bambini appena nati, che non sanno far fronte ai pericoli del mondo esterno. Come è accaduto a Genova, tanto per intenderci, o a Roma a più riprese. “Chi non si fida di me si faccia un proprio partito”, sbottava solo pochi giorni fa. Forte del fatto che, al netto di firme false (vedi Palermo) e polizze varie, gli analisti parlano di un M5S mai così in alto nei sondaggi[3]. #allafacciadichicevolemale.
La coperta che copre la tesa e lascia scoperti i piedi – È tutto qui il nocciolo della questione. Chi sarebbero i più insofferenti verso quei Partiti personali che, da più di vent’anni, hanno caratterizzato il sistema politico italiano? A vederla con i numeri, quelli che a detta di molti lasciano il tempo che trovano, non certo i cittadini. Ammaliati più che mai dai loro “Capitani coraggiosi”. In Italia, così come in giro per il mondo, il fascino del “Leader che non devo mai chiedere” sembra intramontabile. Alimentato dalla necessità di un esecutivo capace di svincolarsi dai tentacoli delle logiche di Partito. Chi vi si oppone, infatti, sembra poter contare su un indiscusso consenso popolare. Salvo, poi, scoprire non è sempre così. La Roma pentastellata docet.
Si stava meglio quando si stava peggio – Nel dubbio, poi, basterebbe chiederlo a forzisti della prima ora per rendersene conto. Nostalgici di un era in cui non c’era altro Capitano che l’ex Cavaliere. Grande timoniere di una barca che ha traghettato il paese per circa un ventennio. Il Potere è meglio del sesso dicevano una volta, ovviamente ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale. Il potere, però, quando è troppo ed incondizionato rende soli ed indifesi. Vulnerabili rispetto a chi è costretto a subirlo. Ma anche in questo caso, i pericoli sembrano arrivare tutti dall’interno.
Impara l’arte e mettila da parte – Un messaggio per Beppe Grillo, sul cui futuro sembra aleggiare l’ombra della congiura. Sarà stata l’influenza dell’aula intitolata a Giulio Cesare, il più celebre tra gli Imperatori romani, ma il leader pentastellato sembra accecato da una mania di onniscienza che rischia di sfuggirgli di mano. Il Movimento, però, ha i suoi anticorpi a quanto pare. Fatti di contratti e relative ammende per i dissidenti. Possono dormire sonni tranquilli i grillini. Dall’olimpo degli Dei Beppe potrebbe non scendere mai. I principi, quelli all’apparenza traditi, sono un’altra questione. Questi sì che lasciano il tempo che trovano, soprattutto quando ostacolano i progetti del leader.
O con me o contro di me, il grido si leva alto e potente. Da destra a sinistra, infatti, la musica sembra sempre la stessa. L’incarnazione del verbo è ancora salda nelle mani di chi tiene le redine di Partiti e Movimenti. Così, se da un lato si critica l’avversario perché aver trasformato il Partito in una “cosa sua”. Dall’altro si seguono le stesse orme. Come in un campo minato, dove ogni passo falso può costare. Ci viene il dubbio, legittimo, che la democrazia partecipata e la rappresentatività diretta, non siano altro che altisonanti paroloni vuoti di senso pratica.
Certo, gli elettori sono stanchi di sotterfugi e giochi di palazzo. È altrettanto vero, però, che gli italiani rimangono tuttora affezionati all’idea di un leader che sappia prendere in mano la situazione. Facendosi carico dei loro destini. Da quando è stato eletto, Donald Trump ha raccolto i favori di molti esponenti politici italiani. “La politica internazionale ha bisogno di uomini forti come loro”, dichiarava Grillo. La domanda nasce spontanea, quindi, è la politica internazionale o quella italiana ad aver bisogno di uomini forti. Mi nonna diceva sempre che alla fine il troppo stroppia. A buon intenditor poche parole.
[1] http://www.unita.tv/opinioni/partito-personale-addio/
[2] http://www.repubblica.it/politica/2017/01/24/news/la_voglia_dell_uomo_forte_il_leader_solo_al_comando_piace_a_otto_italiani_su_dieci-156725748/
[3] http://www.huffingtonpost.it/2017/03/21/movimento-5-stelle-sondaggio_n_15508880.html