ETA, il terrorismo che passa di moda
Svolta nell’organizzazione terroristica: i baschi rimangono legati all’idea di indipendenza ma da tempo non supportano più la lotta armata
di Guglielmo Sano
su Twitter @GuglielmoSano
Gli occhi dell’Europa erano ancora puntati sull’attentato di Stoccolma, al punto che la notizia è passata quasi inosservata: l’ETA ha scelto di disarmarsi, questa volta definitivamente. Dopo quasi 50 anni di lotta armata, circa 3.300 attentati e oltre 800 morti, l’8 aprile i separatisti baschi hanno consegnato alla polizia della città francese di Bayonne le 3 tonnellate e mezzo di armi, munizioni ed esplosivi che formavano il proprio arsenale.
L’ETA, acronimo di Euskadi Ta Askatasuna [“Paesi Baschi e Libertà”], è nata nel 1959 sull’onda della repressione condotta dalla dittatura di Francisco Franco contro le aspirazioni indipendentiste della comunità basca. Il primo omicidio firmato dal gruppo risale al 1968 – vittima prescelta, il capo della polizia politica della provincia di San Sebastian/Donostia.
Dal 1975 in poi, nonostante la morte del Generalissimo, l’inizio della transizione democratica e la concessione di un’amnistia ai suoi membri, la violenza dell’ETA non ha fatto che aumentare. Il 1980 l’anno più sanguinoso: secondo alcune ricostruzioni furono addirittura 118 le vittime dell’organizzazione. Sette anni dopo, l’attentato più grave. Per “errore” – si scusarono i vertici nell’immediatezza dei fatti – un ordigno venne fatto esplodere in un centro commerciale di Barcellona causando la morte di 21 persone.
Non passarono nemmeno sei mesi prima che un’autobomba uccidesse altre 11 persone a Saragozza. È sempre stata controversa la storia degli abertzale, dei “patrioti” baschi. Più del 90% delle vittime dell’ETA è stato ucciso dopo la fine della dittatura franchista. Di attentato in attentato, il consenso che l’organizzazione aveva creato attorno a sé – non solo nei Paesi Baschi – durante i decenni del regime che ha contribuito a destituire (Operazione Ogro), si è lentamente quanto inesorabilmente dissolto.
Neanche la scoperta della Guerra Sucia – della “guerra sporca” – condotta da Madrid ha invertito questa tendenza. Tra il 1983 e il 1987, infatti, alte personalità del governo spagnolo hanno finanziato illegalmente i GAL (Grupos Antiterroristas de Liberación), squadroni della morte formati da mercenari con il solo compito di uccidere gli indipendentisti baschi – uno dei momenti più bui della storia recente del paese iberico. Allo stesso modo, la condanna generalizzata non è stata scalfita dalle pesanti accuse di tortura gravanti sulle autorità spagnole. Secondo uno studio commissionato dal governo dei Paesi Baschi, tra il 1960 e il 2013 sono stati 4.009 i detenuti appartenenti all’ETA a essere stati torturati.
Eppure, la lotta dell’ETA ha trovato a lungo un seguito consistente. D’altronde, è il destino dei paesi che escono da un lungo periodo di crudeltà e terrore: nessuno è veramente “innocente”. Questo legame, spesso silenzioso, tra indipendentisti baschi e società spagnola si incrinò irreparabilmente nel 1997. Il 10 luglio di quell’anno, un commando dell’organizzazione rapì Miguel Angel Blanco, giovane consigliere comunale del Partito Popolare di Ermua, cittadina della provincia basca di Biscaglia. Si chiedeva la liberazione dei detenuti dell’ETA entro 48 ore. Al rifiuto del primo governo presieduto da Aznar seguì l’esecuzione di Blanco. Tutta la società spagnola, anche una parte di quella basca, per la prima volta, riconobbe nei combattenti baschi degli “assassini”.
La repressione poliziesca, i boicottaggi politici, la pressione mediatica, l’avanzata del nazionalismo istituzionale, sono tutti fattori che hanno contribuito a dichiarare la fine delle “azioni offensive” già nel 2010. Ma un elemento su tutti ha reso obbligatorio il disarmo: lo scollamento dell’organizzazione dall’opinione comune, decisamente più evidente per quello che riguarda i “mezzi” utilizzati, più che i “fini”. Secondo l’ultimo Euskobarometro – rilevazione statistica semestrale condotta dai sociologi della Universidad del País Vasco – il 59% dei cittadini baschi sarebbe favorevole a indire un referendum sull’indipendenza. Tuttavia, con il 39%, lo vincerebbero i contrari (favorevoli fermi al 31%). Parallelamente, il 63% afferma di rifiutare totalmente l’organizzazione, l’82% dei baschi giudica negativamente il percorso compiuto dall’ETA negli ultimi 40 anni.