Lo statuto del lavoro autonomo è legge. Novità e prospettive
Dall’ampliamento della tutela della maternità all’estensione dell’indennità di disoccupazione a dottorandi ed assegnisti: il lavoro autonomo acquisisce dignità
di Silvia De Maglie
su Twitter @sildema24
“Con l’approvazione dello Statuto del lavoro autonomo festeggiamo un altro importante successo per i freelance […]. Un successo che dobbiamo ad un lungo lavoro di confronto tra le associazioni e con il Governo”. Con queste parole Anna Soru, presidente di ACTA – la prima associazione costituita in Italia per dare voce ai professionisti indipendenti che operano al di fuori di Ordini e Albi professionali – dalle pagine del Corriere della Sera, saluta l’entrata in vigore della nuova legge sul lavoro autonomo, ribattezzata “Jobs Act delle partite IVA”.
Lo scorso mercoledì 10 maggio, infatti, dopo quasi due anni dall’avvio dell’iter legislativo, il seguirsi di due Governi ed un ritardo pressoché atavico, l’emiciclo del Senato con 158 voti a favore, 9 contrari e 45 astenuti (M5s, Lega e Misto-Si) ha finalmente riconosciuto ai lavoratori autonomi i diritti loro spettanti. “La discussione al Senato”, continua la Soru, “ha evidenziato sia un grande consenso trasversale ai diversi partiti, sia l’orientamento a dover proseguire lungo il percorso cui lo Statuto è solo il primo passo”.
Vediamo quali novità introduce il nuovo provvedimento per le circa due milioni di Partite IVA attive in Italia.
Innanzitutto, all’art.1 si riconoscono quali destinatari del provvedimento tutti i lavoratori autonomi, laddove quel “tutti” evidenzia il superamento delle distinzioni sinora esistenti tra professioni ordinisti e non ordinisti, ossia non aventi un ordine professionale di riferimento, con particolare riguardo ai trattamenti d’assistenza e previdenza.
Agli art. 2 e 3 si normano gli aspetti relativi al pagamento delle prestazioni ed alle clausole abusive nei contratti. Si stabilisce che il committente deve provvedere al pagamento della prestazione del professionista entro un tempo massimo di 60 giorni dal suo svolgimento; dunque, quei contratti che riportano un tempo superiore sono da considerare nulli. Qualora nel contratto non vi fosse indicazione del termine ultimo per il compenso, esso è da intendersi in entro e non oltre i 30 giorni dell’emissione della fattura. L’ACTA ha espresso dubbi sull’efficacia di questo combinato di articoli, poiché già un decreto legislativo del 2002 ed un successivo del 2012 – di recepimento direttive UE –avevano inserito disposizioni per arginare il fenomeno, ma senza registrare grossi risultati. Oltre ad essere legislativo, il problema è anche culturale.
È legge la piena deducibilità della formazione professionale, da intendersi quale frequenza a master, corsi di formazione o partecipazione a convegni, entro il limite di 10.000 euro annui. Entro i 5000 euro invece è deducibile la spesa sostenuta per l’orientamento e la certificazione delle competenze.
Capitolo molto importante e dalla grande risonanza è quello relativo alla maternità e sua tutela: le lavoratrici autonome potranno accedere all’indennità di maternità pur continuando a lavorare e non, come accadeva prima, a fronte di un’astensione dal lavoro di cinque mesi. È aumentato a sei mesi il periodo del congedo parentale entro i primi tre anni di vita del bambino: non più solo la mamma e per un massimo di tre mesi, ma dall’entrata in vigore della legge anche il papà può chiedere il congedo anche quando egli appartenga ad una diversa cassa previdenziale diversa. “Una novità importante” commenta il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, “considerando che un numero consistente di lavoratrici autonome abbandona la professione a seguito di una gravidanza”.
Altra forma di tutela introdotta stabilisce che, nei casi di malattia grave, la degenza domiciliare è equiparata a quella ospedaliera e, superati i sessanta giorni, il pagamento dei contributi è sospeso.
Estesa ad assegnisti e dottorandi di ricerca con borsa la cosiddetta DIS-COLL, ossia l’indennità di disoccupazione per titolari di contratti di collaborazione. In un comunicato ufficiale l’ADI –Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani – parla di “grandissima vittoria per tutte le ricercatrici e i ricercatori precari che da anni reclamano il riconoscimento della dignità del proprio lavoro”. Due anni fa, infatti, ADI e FLC-CGIL davano il via alla campagna #perchènoino? petizione che con le sue circa 10 mila adesioni chiedeva proprio l’estensione di questo diritto; nel febbraio 2017, a seguito delle parole del ministro del Lavoro sull’attività di ricerca, è stata inaugurata una nuova raccolta firme #ricercaèlavoro che in pochi giorni ha raccolto 16 mila firme ed animato iniziative e manifestazioni. Si parla di 700-900 al mese a favore dei dottorandi il cui contratto termini dopo il 30/06/2017, esclusi tutti coloro che hanno iniziato il proprio percorso nel 2014.
Il testo prevede inoltre un sostegno attivo alla professione attraverso la creazione presso tutti i Centri per l’impiego dislocati sul territorio nazionale di sportelli specifici per le professioni autonome in cui raccogliere domande ed offerte di lavoro e prestare servizi di orientamento.
La seconda parte della legge, infine, presta attenzione al cosiddetto “smart working”, o “lavoro agile”, fattispecie sempre più diffusa in Italia e che conta oggi circa 250 mila lavoratori; questi svolgono parte del lavoro all’interno dei locali dell’azienda e parte all’esterno, anche da casa, ma sempre nella durata massima dell’orario di lavoro. La norma stabilisce che la sua retribuzione non deve essere inferiore a quella percepita da un omologo che svolge l’attività solo in azienda.
Per far fronte alle necessità finanziarie che il sistema di tutele così ripartito necessita, il Governo ha messo a disposizione 50 milioni di euro solo per il 2017.
Questo percorso di riconoscimento dei diritti, tuttavia, non finisce qui. All’art. 6 co. 2 sono state inserite una serie di deleghe al Governo, che dovrà affrontare entro 12 mesi e che potranno permettere di operare nuovi cambiamenti nella tutela della maternità, ma anche prevedere delle forme di sostegno delle casse previdenziali ordinistiche a favore dei propri iscritti in periodi di difficoltà economica. Non solo, con l’art. 11 si individua quale oggetto di futura normazione in capo all’Esecutivo il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori negli studi professionali.
Il nuovo Statuto, pertanto, accoglie molte richieste avanzate negli anni dai tanti professionisti che si battono per il riconoscimento dei propri diritti e l’equiparazione del proprio lavoro indipendente alla stregua del lavoro dipendente. Dai più questa norma è stata accolta con grande entusiasmo, come un risveglio della politica dopo un lungo sonno costernato da problematiche sociali e culturali, ma tanto, sicuramente, ancora c’è da fare e da migliorare. Accanto al sempiterno problema del non sostenibile peso del fisco sulle Partite Iva, cui vi è senza dubbio da migliorare, nella sezione “fare” vi inseriamo il capitolo sull’equo compenso.
La legge 248/2006 ha sancito l’abolizione delle tariffe professionali scatenando una guerra al ribasso dei prezzi tra gli stessi professionisti che negli anni hanno perso molto in termini di introiti tornando a redditi in linea con quelli dei vecchi anni ’80. Di equo compenso la nuova legge non parla e dinanzi a questo silenzio lo scorso sabato 13 maggio 140 ordini, rappresentanti di quasi tutte le categorie professionali italiane, sono scesi in piazza a Roma per chiedere a gran voce un nuovo sistema tariffario regolamentato e una chiara definizione delle competenze professionali. Dentisti, giornalisti, ricercatori, medici e architetti pur soddisfatti delle battaglie vinte certamente non si fermeranno e continueranno a mobilitarsi sino a quando al loro lavoro verrà riconosciuta la dignità che spetta. Da tutti, e per tal ragioni, con evidente favore è stato accolta l’istituzione presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di un tavolo tecnico permanente, luogo di confronto e discussione tra gli attori in campo per la crescita dell’intero Paese.