Noriega, come gli Stati Uniti governavano l’America Latina
È morto l’ex dittatore di Panama. La sua storia è il caso esemplare di come gli USA amministravano il proprio “cortile di casa” durante la Guerra fredda
di Guglielmo Sano
su Twitter @guglielmosano
Manuel Antonio Noriega è morto in seguito a delle complicazioni sopraggiunte durante un intervento chirurgico per rimuovere un tumore al cervello. Aveva 83 anni. Ritrarre l’ex dittatore di Panama non significa soltanto ripercorrere le tappe di una vicenda individuale. Raccontando la sua vita emerge anche la storia di un continente, di un’intera epoca. Come quella di Augusto Pinochet e quella di Fidel Castro, la biografia di Noriega è fortemente collegata agli Stati Uniti. Tutti e tre hanno avuto rapporti complicati con la vicina superpotenza, anche se in modi diversi: il primo come “alleato” dichiarato, il secondo come “nemico” giurato; Noriega è stato entrambe le cose.
Per molto tempo, Noriega ha rappresentato il tipico esempio dell’ingerenza americana in America Latina. Spregiudicata, cinica, violenta. L’esercito conquista il potere a Panama nel 1968, grazie a un colpo di stato. Sarà il Generale Omar Torrijos a prendere il controllo della situazione. Quest’ultimo, come lo stesso Noriega, aveva frequentato la US Army School of Americas. Nell’accademia militare sita a Fort Benning, Georgia, si addestravano i militari latino-americani al contrasto della guerriglia comunista in patria. Torrijos si rivelò ben presto un leader difficile da controllare in un’area “chiave” per un motivo su tutti, il Canale di Panama.
D’altronde, la piccola Repubblica è nata proprio per tutelare lo sfruttamento statunitense del passaggio tra Atlantico e Pacifico. Una presenza “conveniente” quanto ingombrante quella americana sull’istmo. Nel 1977, il Presidente Jimmy Carter si accordò con Torrijos sul graduale ritorno della sovranità ai panamensi – una decisione che fu sempre indigesta agli ambienti conservatori. Torrijos morì nel 1981, vittima di un “sospetto” incidente aereo. Venne sostituito da Noriega due anni dopo. L’ex Capo dei servizi segreti militari era al soldo della CIA già dal 1971.
Nel 1984, Noriega tentò di fornire al suo regime un’apparenza di democrazia. Vennero indette delle elezioni presidenziali, le prime a Panama sin dal 1972. Dei brogli indirizzarono pesantemente il risultato. Vinse l’economista Nicolas Ardito Barletta, uomo “fidato” di Noriega, molto gradito anche dagli Usa. Solo un anno dopo, Barletta fu sostituito dal vicepresidente Eric Arturo Delvalle. Aveva promesso delle indagini sul cruento omicidio di Hugo Spatafora, un rivoluzionario italo-panamense colpevole di aver criticato troppo esplicitamente Noriega.
L’ascesa del dittatore subì una decisiva battuta d’arresto nel 1986, quando dalle colonne del New York Times il famoso giornalista investigativo Seymur Hersh lo accusò di riciclaggio di denaro e traffico di droga. Secondo alcune ricostruzioni, queste ed altre attività illecite – come ad esempio la vendita di passaporti falsi ad agenti del blocco sovietico, in particolare cubani – fruttarono a “El Man” la bellezza di 772 milioni di dollari.
Nel 1988, il Senato statunitense non esitava a definire Noriega “uno dei più grandi errori della politica estera USA”. Chiudendo gli occhi sulle aberrazioni del suo regime, in cambio del contrasto alla crescita dell’influenza sovietica in Centroamerica (sostegno alla guerriglia nicaraguense e salvadoregna), gli Stati Uniti avevano permesso che Panama si trasformasse in una “Narcocleptocrazia”, un sistema di governo basato su fedeltà al leader, corruzione e narcotraffico. Successivamente, il Dipartimento di Giustizia americano formalizzò l’accusa di traffico di droga nei confronti di Noriega, poco dopo quello del Tesoro varò delle sanzioni contro di lui.
Tra l’altro si era da poco insediato alla Casa Bianca George H.W. Bush che, in quanto ex Capo della CIA, non poteva non avere una conoscenza approfondita delle relazioni tra Noriega e gli agenti dell’intelligence americana – come il “controverso” Tenente Colonnello Oliver North. Insomma, la posizione di quella che era stata una fondamentale “pedina” americana nella declinazione regionale della Guerra fredda diventò insostenibile.
Dopo che ben due tentativi di golpe fallirono e una sconfitta alle presidenziali del maggio 1989 non arrecò alcun danno al dittatore panamense, gli Usa decisero di intervenire direttamente per deporlo. Nel dicembre dello stesso anno – solo un mese prima cadeva il Muro di Berlino – circa 28mila soldati statunitensi invasero Panama nel quadro dell’operazione “Just Cause”. Un dispiegamento di forze che non si vedeva dai tempi del Vietnam, in cui sono stati pedissequamente osservati i dettami della “dottrina del dominio rapido” altrimenti detta, senza eufemismi, “Shock and awe”, “colpisci e terrorizza”. Come riportano alcune inchieste, nelle prime 12 ore di bombardamento i sismografi hanno registrato 442 esplosioni, una ogni due minuti. Una sola notte di combattimenti causò 100 volte le vittime di 21 anni di dittatura militare e 100 volte i prigionieri politici di 5 anni sotto Noriega.