L’Ilva di Taranto e l’eterno ricatto “lavoro o vita”

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Lunedì sera il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha firmato il decreto con il quale il Governo assegna l’Ilva a nuovi proprietari. Al momento di certo vi sono i dati degli esuberi previsti, ma le informazioni sul piano industriale sono confuse, mentre sulle decisioni sul fronte ambientale tutto tace

di Silvia de Maglie
su Twitter @sildema24

L’Ilva di Taranto (fonte immagine: Agenzia DIRE)

Giovanni, Antonio, Gregorio e anche Mimmo giovedì 1° giugno hanno deciso di non lavorare: sono dipendenti dell’Ilva di Taranto da molti anni e per quattro ore hanno tenuto le braccia conserte in segno di protesta contro gli annunciati esuberi. Le conosco personalmente queste “tute blu”, quella sovrumana cattedrale grigia la vivo da oltre 26 anni: in questo lungo periodo io sono cambiata, crescendo si migliora, dicono, lei però non è mai cambiata e nemmeno migliorata. E infatti ci risiamo. O, forse, ora qualcosa cambierà veramente.

Il Governo, dopo il giudizio positivo dei tre commissari straordinari – Enrico Laghi, Piero Gnudi e Corrado Carrubba, ha venduto l’Ilva alla cordata privata Am Investco, composta da Arcelor Mittal, Marcegaglia e Intesa SanPaolo, ma la partita per l’acquisizione del siderurgico è stata giocata anche da AcciaItalia, gruppo che ha riunito Arvedi, Jindal, Cdp e DelFin di Del Vecchio. Alcuni dati principali.

La proposta di acquisizione e rilancio presentata da Am Investco prevede di portare nel breve periodo, ovvero entro il 2018, la produzione a 6 milioni di tonnellate e nel lungo periodo, considerato il 2024, sino a 8 milioni e tutto tramite inizialmente agli altiforni 1, 2 ,4 sino a riportare poi in funzione anche il 5; il progetto comporterà un investimento tecnico di 1,2 miliardi di euro e ambientale di 1,1 più un prezzo per l’acquisizione pari a 1,8 miliardi. Vero costo dell’operazione, però, è da calcolare in termini di esuberi: come comunicato dai sindacati, il colosso mondiale dell’acciaio ha previsto di lasciare a casa da subito 4.800 dipendenti dei 14.200 attuali.

È inaccettabile” avevano dichiarato con voce unanime i rappresentanti di CGIL, CISL e UIL a margine della riunione dello scorso 1° giugno presso il Ministero dello Sviluppo Economico e durante la quale erano stati loro mostrati i dettagli di acquisto e rilancio delle due codate ed in cui il responsabile del dicastero Carlo Calenda aveva ribadito l’impossibilità di condurre trattative sindacali previa assegnazione ufficiale.

All’indomani del tavolo al MiSe, AcciaItalia aveva proposto un rilancio della propria offerta sul capitolo esclusivo della spesa economica, ma ricevendo un secco no dall’Avvocatura dello Stato, sabato 3 marzo aveva presentato un piano ex novo. Pur non guadagnando l’adesione di Cassa Depositi e Prestiti e Arvedi, che sin da subito si erano sfilati dal rilancio, la nuova offerta proponeva l’innalzamento del prezzo d’acquisto a 1,85 miliardi di euro e l’assunzione di 9.800 dipendenti; erano previsti inoltre 3,1 miliardi di euro di investimenti, di cui: circa 1 miliardo a favore dell’ambiente e 1,1 per il rifacimento degli impianti in loco inclusa la riattivazione dell’altoforno 5.

Stante i numeri quest’ultimo piano avrebbe potuto nuovamente giocarsi la partita, ma una fonte vicina al dossier aveva dato notizia che la nuova offerta non era conforme a procedura “in quanto presentata da due soli soggetti e non da tutta la cordata che si era iscritta alla gara” ed il ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno Claudio De Vincenti aveva aggiunto all’Adnkronos che “il futuro dell’Ilva è cosa troppo seria perché possa essere oggetto di improvvisazioni giunte fuori tempo massimo”. Lo stesso ministro Calenda, inoltre, aveva chiuso a qualunque riapertura della gara perché “le procedure come si fa in un Paese serio, non si cambiano in corsa o peggio ex post” la nuova proposta, pertanto, era stata formalmente rigettata.

Nonostante le rassicurazioni di Calenda sull’assorbimento degli esuberi tramite Cassa Integrazione e la ricollocazione degli eccedenti la misura nel processo di riqualificazione ambientale del sito, i sindacati navigano in evidente agitazione. La leader CGIL Susanna Camusso, al termine dell’Assemblea annuale di Bankitalia, si è detta infatti “preoccupata per Taranto e per il Mezzogiorno, per gli effetti che si avrebbero su territori già duramente colpiti sul terreno dell’occupazione”.

Lavoratori dell’Ilva di Genova in corteo ieri (fonte immagine: genovatoday.it)

E come in ogni bel copione servito freddo negli anni, al lato opposto a quello della salvaguardia dei posti di lavoro, tessuto economico e sociale, vi è quello ambientale che, si veda bene, da prius passa sempre ad essere ombra. La città è avvolta da nubi grigie persistenti e coperta da polveri che infestano parchi giochi per bambini e orti domestici. E quando il vento spira si propagano aloni tossici per distanze d’oltre 30 chilometri.

Non si conoscono i Piani Ambientali presentati dalle due cordate interessate all’acquisto: non si conoscono, quindi, le misure concrete e i relativi tempi di attuazione con cui dovrebbero essere affrontati l’impatto ambientale dello stabilimento e i possibili riflessi sulla salute di cittadini e lavoratori delle sue attività”, afferma Lunetta Franco, presidente di Legambiente Taranto preoccupata per una procedura di vendita definita “opaca”. Secondo quanto stabilito dalla gara, infatti, solamente dopo l’avvenuta aggiudicazione, la cordata proprietaria potrà presentare domanda per i nuovi interventi e per la modifica del piano ambientale. Pertanto, ad oggi non sappiamo quando si darà avvio ai nuovi interventi per l’abbattimento delle emissioni, quando verranno coperti i parchi minerari, quando benzoapirene e tutto ciò che fuoriesce dalle cokerie verrà messo sotto controllo.

Giovanni, Antonio, Gregorio e anche Mimmo sono molto preoccupati. Come loro, moltissimi dipendenti Ilva alcuni hanno figli cui dover garantire un futuro, hanno un mutuo da pagare o l’affitto da onorare. Tra di essi moltissimi – o forse dovrei dire tutti, tutti noi -hanno in famiglia un fratello, uno zio, un caro amico malato di cancro. E sono stanchi, preoccupati e stanchi. Da anni in terra tarantina si combatte contro l’assurdo ricatto “lavoro o vita”, è talmente assurdo che ci si chiede: ma ancora a questo pensiamo? Si, perché la speranza riposta nella possibilità che in futuro cambiasse in “lavoro e vita” non ha mai abbandonato la città. Ho assistito al consiglio di una madre al proprio figlio diplomatosi all’istituto tecnico e senza lavoro: “Ora ci sono i commissari straordinari del Governo e qualcosa cambierà sicuramente, intanto manda la candidatura, anche se qualcuno lo licenziano, magari i giovani li assumono” e avrei voluto dire al figlio di non farlo perché in tutti questi anni l’Ilva non è stata la panacea di tutti i mali, anzi. Ma sono altrettanto convinta che deve continuare a lavorare: è impensabile che l’acciaieria più grande d’Europa fermi la sua attività perché negli anni del progresso tecnologico non siamo stati in grado di minimizzare l’impatto ambientale del lavoro salvaguardando la salute!

I sindacati sono sul piede di guerra e sin dalla riunione indetta per il prossimo 9 giugno a Palazzo Chigi faranno di tutto per trattare con la nuova proprietà ed il Governo negoziando il minore impatto occupazionale. Entro 30 giorni AmInvestco dovrà presentare la domanda per il rilascio della una nuova Aia che si basi sui criteri ambientali definiti dal decreto. E, forse, ora qualcosa cambierà veramente.

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