Pride Month: Pier Vittorio Tondelli, militante e militare in Pao Pao
Un libricino usato ed un incontro proficuo portano a questo piccolo omaggio a Pier Vittorio Tondelli e al suo bel diario intitolato Pao Pao. Nel mese dell’orgoglio gay, celebrato il 10 giugno a Roma, il ricordo indelebile di uno dei primi combattenti per il diritto alla normalità
di Gloria Frezza
su Twitter @gloria_frezza
Qualche mese fa, durante Più Libri Più Liberi a Roma, mi è capitato di partecipare ad un incontro agrodolce e malinconico con Mario Fortunato. Giornalista, critico e scrittore che non ha bisogno di presentazioni, Fortunato quel giorno era lì sopratutto in veste di amico. Presentava il suo libro “Noi Tre”, storia del suo fortissimo legame con Betto e Pier, con cui aveva intrecciato una vita di passioni, sogni infranti e libertà. Fu un talk di rara purezza, emozionante come lo è sempre sentir qualcuno parlare dei propri affetti. Mi rimase un senso di incompiuto e sofferto, come quando si assiste ad un’ingiustizia senza poter aiutare.
Questa lunga premessa serviva per raccontarvi come mi sono ricordata di Pier Vittorio Tondelli, che era uno di quei tre amici e brillava forte negli occhi di Fortunato durante ogni aneddoto. Dico “ricordata” perché su Tondelli è stata operata, da parte delle case editrici e del mondo culturale di quegli anni (1980), una delle più tristi damnatio memoriae italiane. Il perché non è lontano dagli occhi, Tondelli era omosessuale ed è per giunta morto di Aids a 36 anni.
Cos’altro era Pier? Era un ragazzo colto, un amante della musica e un esperto di teatro. Era un curioso dell’arte, un gran bevitore ed un’anima capace di amori infrangibili. Era, sopratutto, un valido scrittore. Di lui ci restano svariati ottimi libelli: “Altri libertini” (a suo tempo un cult giovanile), “Rimini”, “Camere separate”, “Dinner Party”. Tutti, nessuno escluso, hanno attraversato un lungo iter prima della pubblicazione e tutti, dopo la sua morte, sono raramente stati ripubblicati.
Tondelli scriveva di pancia, non nel senso che oggi ci rimanda alla politica di un certo elettorato, ma in quello di un racconto intimo, viscerale che più che comporre, sputava le parole una dietro l’altra come durante una seduta psichiatrica. In un momento più che mai di sotterfugio e vanagloria, Pier era onestamente ed orgogliosamente omosessuale. Quando l’orgoglio della componente LGBT era nemmeno ai suoi albori. Mi è sembrato giusto, allora, in questo Pride Month (che a Roma si celebra il 10 giugno), ricordare uno dei più attivi e sorridenti militanti. Un autore i cui libri non sono invecchiati di un giorno e che all’oscurantismo dei benpensanti risponde con una gioiosa normalità.
Ho comprato Pao Pao, il suo secondo romanzo (Feltrinelli, 1982), da un rivenditore di libri usati. L’ho divorato in due giorni e la sua onestà mi ha riempito di nostalgia ed entusiasmo insieme. È un diario di soldato (Picchetto Armato Ordinario, PAO), 180 paginette fitte d’un lungo lamento corale che racconta, in una, tutte le storie di chi partiva per la leva obbligatoria in quegli anni. Ragazzi giovanissimi, di istruzione, classe sociale e desideri completamente diversi. Volti ferini e caratteri sconclusionati, messi forzosamente a dividersi branda, pane e respiri per un anno intero.
Tondelli racconta il suo anno a cavallo tra Roma e Orvieto, spostato da un incarico all’altro e da un volto all’altro senza soluzione di continuità. Un flusso di coscienza ubriaco, potrebbe definirsi così il suo stile di scrittura: piccoli aneddoti caratterizzanti, personaggi soprannominati e soprannomi personalizzati, qualche vezzo lirico ed una sincerità inarrestabile e omicida. Almeno per il lettore, che quasi soffoca a cercare il filo tra le sue mille parole. Dentro c’è tutta la beat generation americana, trasformata per l’occasione in un crocevia di dialetti italici e burocrazia.
C’è dentro la storia scalmanata della sua amicizia con BeauJean, il legame strampalato con Compà Stani, l’amore non corrisposto per il bel Lele, quello corrisposto per Eric. Un vortice di colori e scene di vita vissuta, riflessioni terrorizzate sull’obbligo militare e tentativi di non pensarci. Al margine storie vere di chi quei ritmi li ha mantenuti solo con l’eroina, di chi ha perso la testa tra quelle mura e di chi c’è rimasto intrappolato dentro alla caserma.
E intanto Pier grida forte, al suo diritto di prendere per mano un ragazzo, di poter scambiare sguardi torvi per altri di accettazione che le cose, semplicemente, “così sono”. È il tumulto di una vita giovane, piena di fisicità ardente e pensieri uggiosi sul paradiso che forse la sua omosessualità non gli permetterà di esplorare e che nemmeno gli interessa. Un “Ecce homo” a mani aperte, personalissimo, che dice solamente la verità.
Non so se Tondelli sarebbe felice a guardare le conquiste fatte finora, a sapere che sotto quel Colosseo dietro il quale si nascondeva con Sorriso per qualche bacio di contrabbando, oggi sfila una lunga fiumana arcobaleno. Credo però che sarebbe orgoglioso, come in quei giorni tristi e insospettabili di PAO, e sicuro avrebbe detto con sarcasmo: “Era ora, non vi pare?”.
“E io allora al quarto litro di schifosissima e pisciatissima birra avrei come un pezzente vomitato giù dall’argine e avrei detto non mi piace come vanno le storie della gente, nemmeno la mia, è come se tutto fosse troppo piccolo e racchiuso quando invece sento il mio cervello partire e volare e alzarsi mio dio fin verso quell’oltre che non posso dire, non so, ma che ci sto a fare qui dove il Tempo m’insegue e mi bracca e non sono più io sempre diverso da un attimo all’altro e mi dimentico, mi dimentico le cose che cambiano, i muri, i cieli che s’illuminano qual è la nostra vera storia?” – Pier Vittorio Tondelli, Pao Pao.