Di Finals. Di Durant. Di LeBron. Di Haters.
Ha vinto la squadra più forte del mondo (Golden State Warriors), che in estate ha aggiunto (probabilmente) il secondo giocatore più forte del mondo (Kevin Durant), in una finale contro il più forte del mondo (LeBron James) giocata a livelli e ritmi alieni
di Edoardo Caianiello
su Twitter @edoardocaia
I Golden State Warriors. Chi vince ha sempre ragione, soprattutto quando la ragione non è una accidente benevolo ma una ragione costruita: nello scegliere Stephen Curry, nello scegliere Klay Thompson, nello scegliere Draymond Green, Andre Iguodala e Shaun Livingston, nell’affidare le sue sorti a Steve Kerr.
Avere un’idea e percorrerla, cercarla e ricercarla in maniera ossessiva e persistente nella convinzione che quella sia la strada giusta per la vittoria finale. E così è stato. Un successo (il secondo negli ultimi tre anni, il quinto per la franchigia) arrivato sui binari dell’abbattimento delle statistiche individuali e di quelle di squadra, soprattutto le seconde. Una regular season pazzesca, una sola sconfitta nei playoff, elementi che non crescono sotto gli alberi ma che hanno radici profonde nel lavoro e nella programmazione, nell’affidamento ad un sistema.
Fondamentale, Steve Kerr. Che ha lottato (e lotterà) con i dolori alla schiena ma che è persino riuscito a programmare quelli, scegliendo un secondo come Mike Brown, importante poi al netto dei fatti e soprattutto nella gestione tecnico/umana di una dinamite come Draymond Green.
È cosa nota che edificare una squadra, in un sistema come quello NBA, non sia cosa semplice né tantomeno avvicinabile al classico mercato delle squadre europee, nella logica del chi più ha, meglio compra (tutto da vedere poi). No, chi meglio amministra, meglio sceglie ed allora vince (versione molto semplificata). Ed è così che i Warriors si sono potuti permettere la firma di Kevin Durant, si sono creati una possibilità e l’hanno sfruttata al loro massimo livello.
Poi c’è il Trust the System: avere un’idea, costruirla ed applicarla scegliendo gli interpreti giusti e portarla sul campo senza mai abbandonarla, in caso di vittoria o di sconfitta. E Steve Kerr ha studiato alla corte di Phil Jackson e di Gregg Popovich, due che, in modi totalmente diversi hanno segnato (Popovich continua a farlo a dire il vero), a suon di vittorie e con immensi interpreti, la storia della Nba. E tutto questo non è un caso, e non lo sarà nemmeno nei prossimi anni.
Kevin Durant. Credo che a Kevin Durant poco importi dell’opinione del resto del mondo in merito al fatto se abbia fatto “bene” o “male” a scegliere i Warriors la scorsa estate. Vincere, ecco cosa conta, soprattutto in un sistema come quello “super” professionistico in cui sono giocatori come lui ed altri tre o quattro in questo mondo.
Kevin Durant è campione NBA, è l’MVP delle Finals e se lo merita non perché abbia scelto o meno i Warriors ad inizio anno (e sarebbe stupido negare che giocare con Curry, Thompson e tutti gli altri abbia aiutato e non poco a portare a casa l’anello), ma perché è un giocatore fuori da ogni logica umana, fisica e tecnica. Se ne attacca l’umanità, lo si giudica come persona ma la grandezza del giocatore (come accadde per LeBron quando passò a Miami, e questo non vuol dire che sia la stessa cosa) sta nel silenziare, con il proprio gioco, il ronzio di critiche senza senso. Sarebbe stata sicuramente una storia più “romantica” vederlo vincere con la maglia dei Thunder (e forse avrebbe battuto i Warriors stessi ad Ovest, non Cleveland), ma le regole glielo hanno consentito e lui ha scelto di darsi la migliore possibilità per conquistare l’anello.
Ancora una volta i “confronti” a farla da padrone. Si è scomodata “The Decision” di LeBron James: un’epoca diversa, situazione totalmente non paragonabile, un basket differente.
La vittoria, la grande debolezza e la grande umanità di alieni in canotta da gioco, un peso mediatico che solo i giganti sarebbero in grado di sopportare. Complimenti a Kevin Durant, complimenti ad uno dei giocatori più forti della storia del gioco.
LeBron James. Golden State non avrebbe mai vinto senza Kevin Durant, non contro un LeBron James così. Nessuno potrebbe vincere contro un LeBron James così: il miglior giocatore di pallacanestro al mondo.
I paragoni con Jordan? Ma perché? È giusto godersi il più forte giocatore del pianeta, e basta. Il più dominante, e basta. Il più competitivo, e basta. Il più completo. Accettare che James ha cambiato e sta cambiando il senso ed il gioco stesso, l’approccio fisico a questo sport è un dato imprescindibile, davanti a cui anche l’opinione più fantasiosa e l’ignoranza più becera devono arrendersi. Ma poi i paragoni hanno un senso?
Ed è questa la sua grande forza: quella di aver dato, allo stesso tempo, voce agli stupidi, ed allo stesso modo, nello stesso momento, averla levata a quegli stessi ignoranti che si fregiano del titolo di “Haters”, proprio loro, quei fantasiosi opinionisti. “Piagnone”, “Omuncolo”, “Senza Palle”, “LeFlop”: così lo chiamano, in una grande e magnifica analisi antropologica che non fa altro che denotare un’esigenza forte di riflessione, ma sull’umanità di loro stessi.
Nessuno a livello individuale è più forte di lui. Nessuno è capace di innalzare ad un livello superiore chi gli sta intorno, più di lui. È il simbolo di una regione, lui è Cleveland, lui è l’Ohio. Lui è, ad oggi, il basket.
Ma pur sempre un umano, con dei limiti altrettanto forti. Come quella di non saper e voler accettare un ruolo forte in panchina che forse innalzerebbe il suo gioco (ancora di più) e quello della sua squadra.
The Conclusions. Un livello di attenzione tattica, di impatto fisico così alto, raramente si era mai visto. Una squadra così forte non si era mai vista, degli avversari così forti non si erano mai visti (la prova in gara-4 è totalmente irreale), un LeBron James così non si era mai visto. Non si era nemmeno mai visto uno come Klay Thompson essere uno di “contorno”: difensore sublime, attaccante superbo, fondamentali accademici.
Sarà ancora così nei prossimi anni? La stagione regolare perderà sempre di più di attenzione? Si aspetteranno solo le finali per avere la massima competizione? La Lega ha sbagliato qualcosa? Riflessioni che hanno un base solida di preoccupazione.
JaVale McGee ha vinto un titolo ed aldilà delle rispettabili opinioni di tutti, un “grazie” a Kevin Durant ed a LeBron James lo direi.