Elezioni amministrative: (stra)vince Berlusconi, Renzi vacilla
Dopo 25 anni a sinistra, il centrodestra conquista sonoramente la superba Genova. Anche la “Stalingrado d’Italia”, Sesto San Giovanni, perde il ruolo storico di roccaforte rossa. Sotto shock il Partito Democratico dell’Aquila costretto dopo dieci anni a ritirare il vessillo. Sono solo alcune istantanee di una sconfitta senza precedenti per il centrosinistra guidato dall’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che alla prova dei seggi locali delude registrando perdite dal non sottovalutabile spessore politico
di Silvia de Maglie
su Twitter @sildema24
Riepilogo risultati. Dati alla mano, dei 25 capoluoghi al ballottaggio – quattro di Regione e 21 di Provincia – il fronte Forza Italia-Lega Nord-Fratelli d’Italia si afferma in 16: Alessandria, Asti, Frosinone, Rieti, Como, Gorizia, La Spezia, Lodi, Genova, Monza, Oristano, Piacenza, Pistoia, Verona, Catanzaro, l’Aquila. Il centrosinistra invece ne guadagna in totale 6: Padova, Belluno, Lecce, Lucca, Taranto, Cuneo. A Parma si riconferma sindaco Federico Pizzarotti. La città di Trapani viene commissariata in quanto non è stato raggiunto il quorum necessario per validare l’elezione dell’unico candidato sindaco, Piero Savona, dopo il ritiro dell’avversario. Il M5S perde ad Asti, unico grande centro in cui era in lizza.
A destra. La vera notizia di queste elezioni amministrative è la rinascita del centrodestra. Dopo la profonda crisi in cui l’intero fronte era scivolato all’indomani delle dimissioni del governo Berlusconi nel 2011, domenica un clamoroso ribaltone ha riacceso tutti gli animi, da quelli di Raffaele Fitto a quelli di Matteo Salvini passando per Giorgia Meloni. Ognuno a più riprese si intestato il merito delle vittorie, ma – e a ben vedere – è la ridiscesa in campo di Silvio Berlusconi che ha fatto la differenza. Sotto la sua guida, infatti, l’elettore ritrova e riconosce una coalizione compatta, una realtà ormai lontana dai tanti attriti personali, una sorta di nuovo “Popolo delle Libertà”. L’effetto “1994” sembra non essersi affatto esaurito, Berlusconi appare in piena forma e si dice pronto a battersi sino a quando potrà per un’Italia a destra e, pertanto, non arretra né lascia la leadership. Ma è necessario chiedersi: poi che succederà? Restando sull’analisi del voto, occorre rilevare come importante figura nella galassia di destra quella del governatore della Liguria Giovanni Toti il quale due anni fa ha strappato la Regione alla sinistra ed ora ha colorato di blu tutti i suoi capoluoghi. Toti non si sbilancia su un suo possibile ruolo di guida, ma esalta quale vincente il suo modello, ossia candidati scelti con serietà, possibilmente non provenienti dalla vita politica e riuniti sollo l’egida del “nuovo” Berlusconi. Determinante, infine, è stato il traino della Lega Nord che, superati gli scetticismi iniziali e coalizzatasi con Forza Italia, ha saputo imporsi in tutto il Paese al punto che il segretario Salvini chiede a gran voce che il vincente schema locale venga riproposto a livello nazionale ed invoca le immediate dimissioni del premier Paolo Gentiloni
A sinistra. “Poteva andare meglio” scrive laconico il segretario del PD Matteo Renzi su Facebook commentando i risultati del ballottaggio: “Il risultato complessivo non è granché”. Perde il Partito Democratico. Perde molte città simbolo e perde anche di validità complessiva. Perde proprio nel confronto con il centrodestra. Mentre a livello nazionale i sondaggi registrano un testa-a-testa con il Movimento 5 Stelle, nei Comuni è ricomparso il vecchio antagonista liberale capace di imporsi nelle grandi città. Di due dei sei capoluoghi vinti, tuttavia, il PD può andare fiero: Padova, dove il neo eletto sindaco Sergio Giordani ha ribaltato il risultato del primo turno battendo l’uscente Massimo Bitonci, e Lecce che per la prima volta nella sua storia ha un sindaco di sinistra. Sempre in Puglia rimane al PD anche Taranto con evidente esultanza del Governatore Michele Emiliano. Ettore Rosato, capogruppo PD alla Camera, riconosce la sconfitta e invita a non iscriversi tra i vincitori; Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e delegato per enti locali, individua nella Lega il vero nemico e chiede di non politicizzare il risultato; Maurizio Martina, vicesegretario, invita tutti a riflettere e afferma che ciò che conta sono i contenuti e non le formule. Sommessamente e con evidente delusione i vertici ammettono la disfatta aggravata ancor più dalla quasi totale assenza di candidati grillini ai grandi ballottaggi.
Ad esclusione di Asti, dove comunque l’avversario del M5S apparteneva a lista civica appoggiata dalla destra, i democratici hanno perso laddove, probabilmente, più corposa è stata la migrazione a destra delle preferenze dei pentastellati. Pur non avendo fornito pubbliche indicazioni di voto, è condivisibile l’analisi di Paolo Mieli (Corriere della Sera) il quale ha affermato che percependo il PD come partito di Governo, gli elettori Cinque stelle hanno riversato i loro voti nella coalizione Berlusconi-Salvini e non si dimentichi, aggiungo, una tendenziale vicinanza di questo elettorato a “idee” di destra (come precedentemente analizzato). Forse presagendo la disfatta, Matteo Renzi è stato il grande assente di questa tornata elettorale, nessuna comparsa pubblica né in tv né in loco, il perché e il se sono dubbi cui ognuno può divertirsi a cercare adeguata risposta.
M5S. Il Movimento di Beppe Grillo si afferma in 8 città su 10, perde Asti, il solo capoluogo di provincia con accesso al ballottaggio, e conquista Carrara quale unico centro medio-grande. Luigi Di Maio parla di un M5S in “inesorabile crescita”, ma realtà vuole che sia rimasto fondamentalmente fuori da tutte le più importanti sfide. A bruciare è la riconferma di Federico Pizzarotti alla guida di Parma, una vittoria non solo personale, in quanto presentatosi con lista propria, ma anche nei confronti di Beppe Grillo che all’indomani della sua uscita dal Movimento gli augurò di godersi i suoi 15 minuti di celebrità. Pizzarotti ricordando l’episodio fa presente che quei 15 minuti si sono trasformati in 5 anni di Governo cui ora ne seguiranno altri 5, aggiungendo: “Probabilmente qualcuno si starà mangiando le mani”.
Le elezioni amministrative appena concluse non hanno certo mancato di colpi di scena. La sofferente destra si è riscoperta competitiva; il partito di Governo ha subito una vigorosa battuta d’arresto e il M5S, a dispetto di quanto si voglia far emergere, non riesce a sfondare. Vincitori e vinti si contendono la possibilità di trasporre i risultati ottenuti in proiezioni di future elezioni politiche che, a dir la verità, non sono così lontane. Ma la storia elettorale ci insegna che il voto locale non è paragonabile al voto nazionale e, scendendo nel dettaglio, come Silvio Berlusconi manifesta resistenze ad un Governo condiviso con Matteo Salvini, così Matteo Renzi ha chiuso le porte per un futuro Esecutivo ai fuoriusciti di Articolo1-MDP. Stanti queste precisazioni, quindi, appare di difficile replica una trasposizione nazionale. Assordante è, tuttavia, la sconfitta del centrosinistra che paga le tante divisioni interne ed esterne ed un leader che, nonostante la plebiscitaria recente riconferma al vertice della segreteria, non riesce a fare squadra. Che Renzi manchi di idee o di fatti o semplicemente di umiltà possono essere chiavi di lettura interessanti, ma che occorra mettersi subito a lavoro per una riconquista di affezione e credibilità è senza dubbio una certezza.
Una risposta
[…] non era proprio Matteo Renzi a sottolineare il fatto che, ad ogni tornata elettorale in Italia, nessuno perde e tutti sono soddisfatti? Ma allora come interpretare quel grafico, […]