Reinserire i detenuti nella società: il primo progetto italiano di social impact bond
Qual è lo stato dell’arte della condizione dei detenuti in Italia? Quanti di loro riescono effettivamente ad avere una seconda possibilità? Dai dati del XIII Rapporto Antigone al progetto dei Social Impact Bond, presentato a Torino alla presenza del ministro della Giustizia Andrea Orlando, promosso da Fondazione Sviluppo e Crescita CRT e Human Foundation: che i “pay for success bond” siano la giusta strada da intraprendere?
Articolo 27, comma 3 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Questo dovrebbe essere il principio cardine a cui appellarsi ma, dati alla mano, forniti dal XIII Rapporto Antigone (di cui abbiamo parlato su Ghigliottina a fine maggio) sulle carceri italiane, non sembra essere così: il 90,1% del personale è di custodia, contro il 68,6% della media europea.
Inoltre, dopo un miglioramento di alcuni indicatori (numero dei detenuti con pena inferiore a un anno, iscritti a un corso scolastico, con un lavoro, etc.), e un calo della popolazione carceraria nell’arco del quinquennio 2010/2015, è stato rilevato un aumento del tasso di affollamento, che ha raggiunto, in data 30/4/2017, un +112,8%: “Diminuiva la componente dei detenuti stranieri, che generalmente sono tra i gruppi più fragili sia fuori che dentro il carcere, dove spesso sono detenuti per fatti meno gravi e più a lungo rispetto agli italiani […] Mentre aumentava la percentuale di quanti tra i detenuti lavoravano o studiavano. E diminuiva infine anche il tasso dei suicidi”. Ma soprattutto: “Quando si manda meno gente in galera, il carcere assomiglia di più a ciò che dovrebbe essere”.
Tra le motivazioni di questa momentanea (si spera) inversione di tendenza, una diminuzione di attenzione pubblica al tema del sovraffollamento, l’avvio di una campagna politica basata sui dati arbitrari della percezione dell’insicurezza dei cittadini, la scadenza della misura straordinaria a tempo della liberazione anticipata speciale.
Veniamo al nocciolo della questione: quanto è efficace il carcere italiano nell’ottemperare alla sua funzione primaria, osservare, trattare, educare, ossia, in sintesi, puntare a una sempre maggiore riduzione del tasso di recidiva? Secondo Antigone, che ha raccolto i dati forniti dall’Osservatorio delle misure Alternative del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (DAP), il tasso di recidivi nel 2007 era pari al 68,45%, nel caso di coloro che avevano scontato una pena in carcere, mentre nel caso di coloro che avevano pagato con una pena alternativa, la percentuale scendeva drasticamente al 19%.
Non dimentichiamo i costi: se si prendono in considerazione le Spese del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria Previste per il 2017, il costo complessivo giornaliero diviso per numero di detenuti è pari a 132 euro mentre, sebbene non sia possibile effettuare un calcolo esatto di quanto effettivamente viene destinato al reinserimento nella società, per una non univoca ripartizione delle risorse, sommando le voci destinate al finanziamento delle attività ricreative, sportive, educative, “è possibile dire che soltanto poco più del 6% delle risorse del DAP è effettivamente destinato allo scopo di dare al detenuto degli strumenti per reinserirsi all’interno della società”.
Occorre dunque adoperarsi per un cambio di rotta e un tentativo, quantomeno pragmatico, è stato intrapreso con il progetto promosso da Fondazione Sviluppo e Crescita CRT e Human Foundation, presentato a Torino lo scorso 12 giugno in Fondazione CRT, alla presenza del ministro della Giustizia Andrea Orlando e della Presidente di Human Foundation Giovanna Melandri (anche presidente del MAXXI di Roma).
L’iniziativa, che coinvolgerà la casa circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino, pone come obiettivo la riduzione del tasso di recidiva dei detenuti attraverso l’utilizzo, per la prima volta in Italia, dei Social Impact Bond: si tratta di strumenti finanziari Pay by Result attraverso cui il settore pubblico raccoglie investimenti privati per pagare chi gli fornisce servizi di welfare.
La remunerazione del capitale investito è strettamente collegata al raggiungimento di un certo risultato sociale, che si traduce in una diminuzione dei costi per l’intera società. In questo caso specifico, la Pubblica Amministrazione e la collettività beneficeranno del mancato rientro nel circuito penitenziario del detenuto, sia in termini di costi diretti (dai pasti da erogare al mantenimento delle condizioni di sicurezza nell’istituto) a quelli indiretti, con un abbassamento del tassi di criminalità.
Il progetto nasce sulla base di uno studio di fattibilità dettagliato che parte da un’analisi del contesto generale, quindi dalle altre esperienze di PbR alla situazione delle carceri italiane, a un focus sulla casa circondariale di Torino con studi sull’applicabilità nel sistema giuridico italiano fino al reperimento delle fonti di finanziamento.
Questo modello evoluto di finanza sociale nasce in Gran Bretagna e ha avuto una buona diffusione con ottimi riscontri in buona parte dei paesi anglosassoni, stando a costi di investimento proporzionalmente irrisori. Da sottolineare il coinvolgimento di quattro attori: una pubblica amministrazione interessata a ottenere un risultato sociale che non determini costi eccessivi di spesa, enti e organizzazioni del Terzo settore, soggetti finanziari con le giuste competenze per raccogliere fondi e denari da investitori privati interessati a scommettere non sul mero guadagno ma sulla capacità della società di autorigenerarsi.
Concludiamo con le parole della Presidente della Human Foundation, Giovanna Melandri: “Si tratta del primo caso in Italia, e siamo convinti che quest’esperienza possa contribuire alla diffusione degli schemi PbR, che favoriscono sia l’erogazione di risorse pubbliche ‘collegate ai risultati’, che la partecipazione dei privati alle politiche sociali. Solo così con innovazioni profonde e sperimentazioni coraggiose possiamo difendere lo Stato Sociale e fare meglio con le risorse date”.
Nessuno può prevedere i risultati di questo esperimento sociale ma, in fin dei conti, la sola concertazione di varie forze, ognuna con il suo peso specifico e le proprie caratteristiche, nel miglioramento delle condizioni di vita di un uomo e, consequenzialmente, di un’intera collettività, appare già come un successo.