Il reato di tortura è legge. Ma non è come sembra
Mercoledì 5 luglio la Camera dei Deputati con 195 voti favorevoli, 35 contrari e 104 astenuti ha dato il via libera definitivo alla legge che istituisce nel nostro ordinamento il reato di tortura. Ma non è come sembra
di Silvia de Maglie
su Twitter @sildema24
Dopo ben 29 anni dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, quattro anni fa il senatore Luigi Manconi del Partito Democratico aveva presentato il disegno di legge di iniziativa parlamentare con l’obiettivo di adeguare il nostro Codice Penale rendendo punibile sotto il termine «tortura» “qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso [..] o per qualunque altro motivo […]qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale”. Il testo approvato dal Parlamento ha avuto un iter travagliato, il seguirsi di veti, emendamenti e compromessi ha svuotato il senso della norma al punto tale che lo stesso Manconi non ha votato il testo ed ha pubblicamente affermato che il contenuto normativo è peggio che mediocre non conservando quasi nulla della Convenzione del 1984.
Criticità. Secondo la nuova norma, si verifica tortura quando “Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico […]se il fatto è commesso mediante più condotte”. In evidenza le prime criticità: l’utilizzo dei termini al plurale seguiti dal presupposto espresso della ripetitività delle condotte per l’identificazione del reato di fatto alleggerisce – potendo addirittura rendere impunibili – quegli atti di violenza singoli e non reiterati, ma – a buon grado – pur sempre atti di crudeltà. Inoltre, a differenza della convenzione di New York, il nostro Legislatore ha specificato che il trauma psichico cagionato deve essere “verificabile” e, ovviamente, si intende una verifica in sede di giudizio, ma, dato che i processi per questo tipo di reati per loro complessità sono celebrati dopo molti anni, come si può verificare un trauma avvenuto tanto tempo prima? Si chiede Manconi.
Probabilmente, come afferma Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, il tentativo è quello di ridurre l’area della possibile applicabilità. Al secondo comma dell’aggiunto art. 613 bis si individua un aggravante della pena se i fatti sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio. Pur sembrando a prima vista una corretta ed anzi più vigorosa individuazione di responsabilità, in realtà questa formulazione muta il carattere dell’atto di tortura da “reato proprio” a “reato comune”, ossia in capo a qualunque cittadino. Questo significa che: A) gli atti di violenza punibili con questo reato sono anche quelli di tipo privato, tra singoli, ma questo tipo di fattispecie sono già regolamentare dal nostro ordinamento e una tale formulazione, sostengono i critici, può addirittura inficiare la norma di incostituzionalità; B) il reato di tortura è stato normato a livello internazionale per maggior tutela del soggetto debole – il cittadino comune – dinanzi al soggetto forte, ossia colui che detiene ed esercita il potere, sia esso rappresentante delle forze di polizia o no, garantendo equità.
Nota positiva. La legge sul reato di tortura introduce un’importante novità, ossia il divieto di respingimento o l’espulsione o l’estradizione di un cittadino straniero quando questi, per l’esistenza di fondati motivi, può correre il rischio di essere vittima di tortura nel suo Paese d’origine.
Appare evidente che non ci si può affatto ritenere soddisfatti del lavoro del Parlamento che poteva, e doveva, fare di più. La nostra storia recente racconta di episodi dall’assoluta crudeltà, dalla morte di Stefano Cucchi, giovane pestato brutalmente durante una custodia cautelare, ai fatti del G8 di Genova del 2001 e alle violenze perpetrate nella scuola Diaz. Proprio con riferimento a quest’ultima pagina nera, il pubblico ministero del processo per i fatti della Diaz, il dottor Enrico Zucca, ha evidenziato che la maggior parte di quelle violenze e di quegli abusi con questa norma sarebbero non sarebbero definiti tortura. Anche Amnesty International, che sempre ha lottato per l’introduzione di questo reato, non si ritiene affatto soddisfatta e il suo presidente Antonio Marchesi senza mezzi termini afferma che non è una buona legge. Per coloro che vogliono comunque individuare un barlume di riuscita, si potrebbe dire che un passo in avanti è stato fatto, ma è talmente piccolo e sconnesso che spetterà sempre ai giudici fare la parte del Legislatore nella speranza che le Camere, un giorno, possano legiferare nel modo corretto e sganciato dalle pressioni degli apparati di polizia.