Venezuela, è l’inizio del dopo Maduro?
Una grave crisi politico-istituzionale sconvolge il Paese, già afflitto da problemi economici. Il chavismo accentra i poteri ma il MUD chiede un nuovo corso
di Sara Gullace
La tensione politica e sociale in Venezuela non accenna a diminuire: anzi, dopo mesi di scontri che sono costati la vita a decine di persone, minaccia di diventare ancora più aspra. Forze politiche in guerra tra loro, da una parte, e società civile suddivisa tra sostenitori del governo di Nicolás Maduro e oppositori, dall’altra.
Realtà che si sfidano e affrontano praticamente ogni giorno da Aprile, in sommosse e rappresaglie violente in tutto il Paese. Solo una settimana fa un gruppo di 100 chavisti ha assaltato il Parlamento, tenendo in ostaggio per oltre 9 ore circa 350 persone tra deputati, funzionari e giornalisti. Un assalto armato, portato a capo con armi da fuoco, lacrimogeni e spranghe che ha fatto 5 feriti. Il tutto sotto gli occhi e con la facilitazione delle polizia ufficiale, la Guardia Nazionale Bolivariana. L’aggressione è stata firmata, in seguito, da Osvaldo Rivero, giornalista televisivo filo-governativo. E non che ci fosse necessità di una rivendicazione.
Il sequestro del Parlamento è l’apice di una guerriglia politica che dura da mesi. Lo scorso Marzo, il Presidente Maduro ha conferito alla Corte Suprema anche i poteri in capo al Parlamento, costituito da una maggioranza di opposizione, il MUD (Tavolo di Unione Democratica). Da quel momento sono stati rari i giorni in cui il Paese non sia stato scenario di proteste e sommosse in strada, soprattutto nella capitale Caracas. Manifestazioni dai numeri tragici: ad oggi si contano quasi 90 morti, centinaia di feriti e oltre 3.000 arresti definiti illegittimi dall’opposizione. Sicuramente la peggiore primavera del dopo Chavez, con un’estate che non si preannuncia migliore.
Luglio sarà di fuoco in ogni senso: per il giorno 30, infatti, è previsto il plebiscito indetto da Maduro per eleggere una nuova Assemblea Nazionale Costituente. Nei piani del Presidente, che in patria è il “Supremo”, rientra la ristrutturazione dei poteri pubblici: una nuova giurisdizione, nuovi ministeri e la possibilità per i deputati di emanare leggi, di immediata attuazione, per fermare organizzatori di manifestazioni pubbliche e quanti interferiscano sulle politiche dei prezzi locali. Il MUD si oppone, denunciando la nuova Costituente come un ulteriore accentramento del potere nelle mani di Maduro e della Corte Suprema. Per questo, la settimana scorsa, ha rilanciato convocando un referendum per chiedere ai cittadini se, innanzitutto, sentano davvero la necessità di una nuova Costituzione.
La nuova interrogazione si svolgerà questo fine settimana, il 16 Luglio e porrebbe altre due questioni al popolo: una relativa l’impiego delle Forze Armate ed un’altra sulla volontà di rinnovo dei poteri pubblici. Lo strumento referendario in Venezuela è regolarmente previsto dall’articolo 71 dell’attuale Costituzione. Ma a Nicolás Maduro – che giusto pochi giorni prima aveva promesso di ricostituire il Parlamento con le buone (il successo alle urne) o le cattive (leggasi “con le armi”) – questa possibilità non è sembrata un’ opzione percorribile. All’indomani dell’assalto, comunque, si è prodigato in parole di critica ed estraneazione: “Condanno ogni atto di violenza, di cui non sarò mai complice. Solamente pace – si è affrettato a dichiarare – è quello che vogliamo per il Venezuela”. Mentre per Julio Borges, presidente dell’Assemblea Nazionale, è evidente il mandante dell’aggressione: “Si tratta solo di un piccolo esempio di quella che è la Costituente di Maduro. Ma noi – ha continuato – siamo qui per difendere 14 milioni di persone che ci votarono”.
L’origine della crisi è datata al post Chavez e si lega a ragioni economiche e politiche. Il programma socialista di Chavez e del PSUV (Partito Socialista Unito) si reggeva per il 95% sui ricavi del petrolio: una volta precipitati i prezzi, Maduro ha tagliato diversi fondi allo stato sociale. Il vuoto di assistenza statale non ha accresciuto la sua popolarità. Ma le difficoltà non risiedono solo all’esterno. Attualmente il sistema politico vive una forte contrapposizione tra la corrente chavista e governativa, che fa riferimento al PSUV in carica dal 1999, e l’opposizione, riunita nel MUD, che auspica un nuovo corso politico.
Presidente e chavisti identificano le forze contrarie con un potere liberista e filo-statunitense diretto, presentandole al popolo come l’origine della sua stessa povertà. L’accusa più importante che gli oppositori, invece, muovono a Maduro, è quella di avere indebolito le istituzioni democratiche: prova recente l’esautorazione del Parlamento a favore della Corte, di cui abbiamo detto, ma, anche e soprattutto, il continuo rinvio delle presidenziali, procrastinate dal 2016 al 2018. Una delle richieste mosse al Governo è proprio l’indizione di elezioni entro il 2017. Ma l’opposizione si batte da mesi anche per il ripristino delle funzioni parlamentari, la possibilità di importare materiali medici e medicamenti, razionati nel Paese, nonché per il rilascio di quelli che hanno definito “prigionieri politici” (433, secondo il Foro Penale).
Proprio in questi giorni, la Corte ha concesso gli arresti domiciliari a Leopoldo Lopez, leader di Volontà Popolare e tra i volti più famosi dell’opposizione, in prigione dal 2014 con una condanna a 14 anni ed in isolamento da mesi. In vista dell’interrogazione popolare di domenica, è arrivata l’apertura di un “gesto umanitario”, come lo ha definito lo stesso Maduro. L’opposizione, del resto, ha grandi aspettative verso per l’imminente consultazione. Sostenuta da migliaia di persone che continuano l’ondata di scioperi e manifestazioni, si aspetta “l’ora zero, la fine della dittatura di Maduro”, così è stata presentata da Freddy Guevara, Vicepresidente dell’Assemblea Nazionale.