Il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google: sicuri di voler sapere?
Da Platone agli algoritmi di Google, tirando dentro Kant, Nolan e Il trono di spade, Sgobba spodesta la connotazione negativa dell’ignoranza
Parto sempre dall’ignoranza nell’avvicinarmi a un libro da recensire. È quasi una forma di tutela del mio pensiero, dell’opinione che andrà a formarsi nella mia mente andando avanti nella lettura.
Stando all’introduzione di Antonio Sgobba nel suo “? – Il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google” (ilSaggiatore, 2017), il mio può essere considerato un approccio assolutamente nella norma:
“Non vogliamo sapere che regalo riceveremo, come finisce un film, un libro o una serie tv, forse non vogliamo nemmeno conoscere il sesso di nostro figlio prima della nascita.”
Nel caso di questo saggio, poi, non ho approfondito nemmeno l’argomentazione prima di sceglierlo e di iniziare a leggerlo: mi è bastato il sottotitolo “Il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google” per lasciarmi cogliere dalla voglia di saperne di più.
Ed eccoci arrivati alla nota dolente: saperne di più, uscire da “non sapere” e quindi da una parte di ignoranza.
L’analisi di Sgobba è dettagliata e viene dispiegata come una grande rete che abbraccia la filosofia ma anche la scienza, l’attualità e allo stesso tempo la storia, il mondo di Internet e quello del mito di Edipo, il microcosmo del giornalismo e l’universo incompleto di Game of Thrones.
“Da Socrate a Google” la dice lunga, infatti, e se mi ha colpita non si è trattato solamente di sete di conoscenza ma di curiosità per la vastità dei campi che si prospettavano in questo libro.
Quello dell’autore è un lavoro metodico e cesellato suddiviso in cinque parti, ognuna delle quali rappresenta una sfumatura diversa del tema trattato, così da procedere gradualmente.
Sgobba inizia facendoci bagnare la punta delle dita di un piede in quello che più avanti verrà definito “l’oceano dell’ignoto”, indagando l’etimologia della parola, facendoci prendere confidenza con la menzione di “paese più ignorante del 2014” secondo l’Index of Ignorance della Ipsos Mori (società britannica che si occupa di sondaggi e ricerche di mercato) e comparando le definizioni di diversi dizionari (italiani, francesi, inglesi) alla voce «Ignoranza».
Non conoscere, mancanza di istruzione, scortesia: sono questi, in sintesi, i tre significati principali.
Ora siamo con un piede nell’acqua e proviamo a tirarci dietro anche l’altro, prendendo atto del fatto che si parli di ignoranza quasi sempre in riferimento al secondo significato: la mancanza di istruzione.
Non è esattamente così, però, non sempre “ignorare” può essere sintetizzato con la mancanza di istruzione. Ma come si fa a tracciare una mappa dell’ignoranza, per conoscerla meglio? Non è una strada percorribile, considerando che l’ignoranza è infinita.
Appare dunque “insensato contrapporre ignoranza e conoscenza, pensare di combattere l’una con l’altra. Sono due variabili dipendenti, una è funzione dell’altra. Per ottenere l’obiettivo ignoranza zero, dovremmo annullare anche la conoscenza. Forse non ne vale la pena.”
A questo punto si può soltanto cercare di distinguere alcune tipologie di ignoranza, a partire da se stessi: pensiamoci bene, nessuno potrebbe affermare di conoscere realmente, fino in fondo, se stesso. Ne abbiamo sicuramente l’illusione, eppure la nostra interiorità non è poi tanto più chiara del contesto sociale che ci fa sentire ignoranti.
Saremmo davvero in grado di affermare di conoscere a fondo il nostro carattere? E le nostre emozioni più recondite, quelle che ci sorprendono facendoci vacillare o che magari ci fanno improvvisamente dubitare della nostra razionalità? Sappiamo esattamente cosa ci rende felici e cosa invece non ha la possibilità di scalfire minimamente le nostre convinzioni?
Personalmente no, sono ignorante su me stessa, confesso. Si ha magari la percezione di conoscere tutto di sé ma non sempre ciò che si crede corrisponde alla reale conoscenza.
Stiamo finalmente camminando tra le molecole dell’oceano dell’ignoto, guidati dalla rete di informazioni che ci fornisce Sgobba, capitolo dopo capitolo. Ma allora come ci siamo arrivati a un simile livello di ignoranza, a non conoscere la mente e il corpo che abitiamo e tantomeno le menti, i corpi, le emozioni e le nozioni che riguardano il nostro background?Tutta colpa di Internet, dei social network, delle nuove tecnologie, di Google, giusto? Negativo.
Si tratta il più delle volte di stereotipi che ci rendono – questi sì, altro che Internet – ancora più ignoranti.
“L’obiettivo dichiarato di Google è passare dai Big Data al Big Knowledge, cioè far sì che l’enorme quantità di informazioni che abbiamo a disposizione si trasformi finalmente in conoscenza.”
In realtà Internet rema verso l’incremento della conoscenza, con l’inconveniente però di aumentare l’ignoranza: non nel senso comunemente sostenuto, bensì in relazione a un più generico principio filosofico per cui a un aumento della conoscenza corrisponde un incremento della percezione di ciò che non si conosce.
«Non so come appaio al mondo. A me stesso appaio come un bambino che gioca sulla spiaggia. Mi diverto a raccogliere qui e là un ciottolo più liscio degli altri, o una conchiglia più graziosa – mentre il grande oceano della verità si stende inesplorato dinanzi a me» [Isaac Newton]
Questo discorso vale in generale ma la peculiarità di Internet riguarda una divisione tra ‘un’élite in grado di padroneggiare la nuova tecnologia’ e ‘una fascia di esclusi, troppo poveri o troppo pigri per accedere alle nuove conoscenze disponibili.’
“Conoscenze disponibili” dunque: il problema non sembra essere nella fonte ma in coloro che ne usufruiscono, che possono reagire in modo attivo – come di fronte a un nuovo e interessante stimolo di crescita – o passivo – lasciandosene trasportare come da una lenta corrente oceanica che si muove a spirale.
Internet ha semplicemente reso titanico – e quindi più evidente e degno di nota – un fenomeno che ci ha sempre riguardati individualmente da molto vicino.
‘[…] l’asimmetria di conoscenza e potere tra noi e gli «imperi dei dati» rimane impressionante. Non sappiamo quali informazioni vengono raccolte su di noi. Non sappiamo, a meno di non essere degli esperti, quale uso verrà fatto dei dati che ci riguardano. Non sappiamo fino a che punto si estende il dominio di questi «imperi».’
È anche vero che, se provassimo a capovolgere la situazione, a immaginare il sapere contenuto in rete come qualcosa di universalmente apprendibile da chiunque ne venga a contatto, il risultato non sarebbe tanto diverso in fatto di impressionabilità.
“Immaginiamo […] un individuo che conoscesse ogni cosa: vivrebbe in un incubo.”
Sgobba ci parla di anosognosia, di effetto Dunning-Kruger, della sindrome dell’impostore, dell’agnotologia… Cosa sono, cosa c’entrano con la nostra ignoranza? Pensate di poterlo scoprire tra le pagine di “? – Il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google“?
Cominciate col domandarvi il significato della copertina della vostra copia. Il resto lo scoprirete durante la lettura. O forse no.
“? – Il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google”
di Antonio Sgobba
ilSaggiatore, 2017
Pp. 344, 20 €
*articolo aggiornato al 2 febbraio 2019