“Uomo Donna”, il secondo album di Andrea Laszlo De Simone
La recensione del secondo lavoro dell’artista torinese Andrea Laszlo De Simone, uscito lo scorso 9 giugno. La nostra intervista
“Uomo Donna” è questo il titolo dell’album di Andrea Laszlo De Simone, uscito lo scorso 9 giugno per 42 Records. Abbiamo avuto modo di intervistare l’artista torinese classe 1986, che torna sulle scene a 5 anni di distanza dall’uscita del primo disco “Ecce Homo”.
Già nella musica indipendente dagli inizi del 2000, l’artista muove i suoi primi passi nel panorama musicale come primo batterista dei Nadar Solo e fonda poi il duo Anthony Laszlo insieme all’amico Anthony Sasso con cui pubblica nel 2013 il primo album “F.D.T.” per INRI. Nel 2012 arriva il debutto come solista, con un disco autoprodotto e registrato in casa. La tradizione musicale italiana si sente tutta, irrompendo nel panorama indipendente italiano con originalità e richiami ad un passato musicale a volte dimenticato.
“Uomo donna” è un album che parla d’amore, in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue fasi riuscendo a calcarne anche i momenti più intimi con armonie e testi amalgamati alla perfezione. Un viaggio di quasi un’ora e venti, da fare tutto d’un fiato per comprenderlo e immergersi completamente nelle melodie e nelle parole.
Limitarsi a parlare di amore però è poco, perché in “Uomo Donna” c’è anche altro: la volontà di parlare di quella che è la relazione tra i due generi, non scendendo mai nel banale ma dipingendo l’uomo, inteso come essere umano, in tutte le sue forme e relazioni e l’amore ne è probabilmente il vero filo conduttore.
Il miglior modo per raccontarlo però è affidarsi alle parole dell’artista, questa la nostra intervista.
“Uomo Donna” arriva 5 anni dopo “Ecce homo” e come si dice il secondo album è sempre il più difficile. È cambiato il tuo modo di scrivere in questi anni? E quanto invece di artisticamente di “Ecce Homo” rimane nel nuovo lavoro?
Beh, ne sono successe di cose in questi cinque anni. Ho traslocato tre volte, ho lavorato, sono diventato padre, e il caso ha voluto che mettessi su una band. Non ho mai smesso di scrivere, ma non ho mai pensato di fare il musicista e esattamente com’è andata per il primo disco, non avevo intenzione di fare un disco. Sono cose che capitano. Per farla breve ho registrato in casa circa 400 canzoni, ho incontrato altri cinque musicisti, ho incontrato un fonico di Bologna (Giuseppe Lo Bue) e per tre giorni ci siamo occupati di registrare la base di alcune canzoni che avevo selezionato e lo abbiamo fatto in presa diretta. Poi il grosso del lavoro è venuto dopo…ho continuato ad arrangiare e registrare per un paio di anni part-time con il supporto di Giuseppe.
Il modo di scrivere non è cambiato molto, ma sono cambiati i mezzi e quindi gli arrangiamenti. “Ecce homo” l’ho registrato in casa usando solo una tastiera Bontempi da bimbi e oggetti di fortuna. Per “Uomo Donna” ho avuto a disposizione una band, un fonico elastico e preparato e mezzi molto superiori. Pur avendo comunque registrato in casa, ho avuto possibilità maggiori e tutto ciò mi ha svincolato dall’obbligo di adeguare gli arrangiamenti ad un linguaggio naif.
Le prime due canzoni del disco “Uomo Donna” e “Sogno l’amore” le ho registrate da solo in casa ed abbiamo ri-registrato solo le batterie per avere un suono coerente al resto del disco ed anche per “Gli uomini hanno fame” ho tenuto quasi solo la batteria della presa diretta registrandoci sopra tutto il resto. In altre canzoni invece come ad esempio “Vieni a salvarmi” ho tenuto quasi tutto della presa diretta, limitandomi ad aggiungere cori, tastiere e sinth. In sostanza ogni canzone di questo disco ha una storia un po’ diversa.
L’ispirazione alla tradizione musicale italiana si sente, quali sono gli artisti che musicalmente ti hanno più ispirato nella scrittura?
Questa domanda è frequente. Il fatto è che sarà difficile crederci, ma io ascolto pochissima musica, non si può dire che io sia un appassionato e per giunta ho una memoria davvero pessima. In vita mia non ho mai imparato a suonare una canzone che non fosse mia, anzi a dire il vero non ho mai neanche imparato a suonare. È una cosa che faccio istintivamente e che non faccio neanche molto bene appunto.
Credo che la tendenza ad associare questo disco alla tradizione dipenda dal fatto che mi rapporto con la musica in modo empirico e privato e forse queste sono caratteristiche che si ritrovano in alcuni dischi del passato, quando le sovrastrutture e i linguaggi pubblicitari non avevano ancora raffreddato gli animi e sterilizzato i volti.
Sicuramente mi sono rimaste dentro le cose che ascoltavano i miei genitori, la musica classica che ascoltava mia madre o il jazz che ascoltava mio padre, Modugno, Battisti, Tenco, Battiato che ancora scrive capolavori e fa concerti. Ecco, loro mi emozionano davvero perché sono sinceri, talmente sinceri che sembra di invaderli ascoltando una loro canzone, sembra quasi di spiarli. Forse è da quest’atteggiamento che inconsciamente ho imparato qualcosa.
A me la musica sembra musica solo quando non cerca di convincermi che è bella, quando è fatta con sincerità, con umiltà, con sensibilità. Quando mi fa quest’effetto. “Che cosa sono le nuvole” di Modugno e Pasolini è un capolavoro assoluto. Nel contemporaneo gli unici che mi hanno davvero colpito sono i Radiohead da Kid A in poi. Straordinari.
Nell’album l’amore è uno dei temi centrali affiancato al confronto di genere tra uomo e donna. In che modo hai voluto mettere in relazione i due argomenti?
Sono due argomenti che si mettono in relazione da soli. L’uomo è la donna si mettono in relazione da soli. E per giunta quella fra uomo e donna e la relazione più fruttifera, quella che letteralmente origina l’umanità. Alcune sono canzoni mascherate da canzoni d’amore, altre lo sono veramente, altre ancora parlano del rapporto dell’essere umano con la realtà che lo circonda. Uomo e donna sono due generi a confronto, si, ma sono anche le due metà dell’umanità intera.
L’album suona come fosse un’unica traccia di quasi un’ora e mezza, i pezzi sono collegati tra loro da effetti, violini o registrazioni. Ci spieghi questa scelta?
Questa era l’idea fin dall’inizio, l’unica cosa che avevo già deciso in partenza. Volevo fare in modo che ogni canzone uscisse fuori da dove doveva uscire fuori. Il contesto cambia il significato ed essendo questo il mio disco era mio compito veicolare l’ascolto. Te la spiego in un altro modo: immagina dei bambini in una scuola materna che cantano “giro giro tondo” e ti verrà subito un po’ di tenerezza; ora immaginati di sentire la stessa nenia nella notte nel tuo monolocale e probabilmente ti farà venire brividi.
Le stesse parole o le stesse canzoni cambiano di significato in ogni bocca e in ogni contesto. Sentire Hitler dire “vi libererò dal male” sicuramente non fa lo stesso effetto che sentirlo dire dal dottore. Ecco diciamo che unire tutte le canzoni fra di loro ha ridotto di molto la possibilità di fraintendimento e mi ha dato la possibilità di dare ad ogni canzone il ruolo che sentivo che dovesse avere all’interno del discorso. Le canzoni di questo disco sono tutte in relazione. E poi anche le cose nella vita sono tutte così, senza soluzione di continuità.
Prima “Uomo Donna”, poi “Vieni a Salvarmi” ed ultimo “La guerra dei Baci”, ispirato a Kiss di Andy Warhol, la sensazione sembra essere quella di voler creare una forma d’arte legata alla tua musica. Come sono nati i video dei 3 brani?
L’idea iniziale è quella di fornire una chiave di lettura, un immaginario che, esattamente come l’idea di unire le canzoni, sia in grado di dare un contesto a quello che si ascolta. Il primo video “uomo donna” nasce da un gioco in collina con un mio grande amico, Gabriele Pavese.
Come puoi facilmente immaginare giocavamo con lo zoom. L’idea è semplice, didascalica ed essenziale e rispetta la simmetria con cui la canzone proporziona l’uomo e la donna. Ci ho lavorato un paio di giorni, poi dopo una prima stesura parlandone con i ragazzi della band, Damir (chitarrista) ebbe l’ardire di proporre l’inserimento di animali che simboleggiassero i due sessi. Ottima idea. Ho pescato tori e mucche ed ho iniziato a divertirmi.
“Vieni a salvarmi” invece è un’idea più complessa che mette insieme due idee diverse: l’idea di un naufrago avuta da Gabriele Ottino e la mia idea di una soggettiva interiore che non corrispondesse con la realtà. Abbiamo lavorato alcuni giorni alla stesura ed è diventata un’unica idea più completa che abbiamo poi realizzato insieme a Paolo Bertino, con l’aiuto di Irene Carbone e il provvidenziale supporto di Serena Abrignani che è stata in grado di recuperare una zattera di salvataggio nel giro di un giorno ed io ancora mi chiedo come ci sia riuscita.
“La guerra dei baci” invece non è esattamente un video. È un idea di Emiliano Colasanti, un omaggio, una citazione esplicita. Idea azzeccatissima, semplice e che ho accolto con entusiasmo. D’altronde non capita tutti i giorni di dare per lavoro un lunghissimo bacio alla propria ragazza.
Ne “Gli uomini hanno fame” il tema sembra più scostarsi dall’immagine dell’amore, il disegno dell’uomo e della sua “fame” di successo (?) si imprime forte grazie ai primi 5 minuti di registrazioni usate, che immagine hai voluto far emergere dell’uomo?
Fame di successo? No, non intendevo affatto quello. La canzone parla del rapporto dell’uomo con l’esistenza, con le proprie paure, con le illusioni, con il senso di colpa. L’allusione alla fame è legata all’idea che l’uomo deve pur mangiare, e che molti errori e molte rinunce nella vita fanno capo a questo vincolo naturale necessario. Vuole suonare come una blanda e quasi ironica giustificazione per un mondo in cui gli ideali durano poco e la pancia piange.
Dall’album si passa al palco. Un disco articolato e complesso curato nei minimi dettagli come questo come vedrà la sua rappresentazione dal vivo?
Guarda, siamo una band di 6 persone e non abbiamo avuto molto tempo per prepararci, ma abbiamo lavorato intorno agli arrangiamenti del disco con elasticità. Un album e un live non sono due cose paragonabili…il live non è la rappresentazione di un disco a mio avviso, sono due cose che hanno un codice alla base completamente diverso. Il disco è una foto, qualcosa che passa ai posteri, qualcosa per cui ci si pettina. Sono certo che ogni concerto sarà diverso, perché il disco lo fanno i musicisti, ma il concerto si fa con il pubblico.
In ogni caso questo tour per me sarà una prima esperienza e non ho la più pallida idea di quello che mi aspetta. L’unica cosa di cui sono certo è che sono felice di vivere tutto questo insieme alla mia band perchè sono i miei più cari amici, ma non so ancora che tipo di emozioni prevarranno e se sarò felice o sconvolto, se perderò la voce, se mi mancherà troppo mio figlio…l’ultima cosa che avrei pensato in vita mia è che alla fine avrei fatto il musicista, ma la vita è strana ed eccomi qui. Per ora l’unica vera certezza è che tutto quello che verrà lo scopriremo insieme.
Siamo sicuri che Andrea Laszlo De Simone farà parlare molto di sé e vi consigliamo di seguirlo se possibile nelle prossime tappe live:
28 luglio 2017 Vasto (CH) – Siren Festival
29 luglio 2017 Artena (RM) – Live Artena Festival Delle Arti
30 luglio 2017 Abano Terme (PD) – So Fresh So Good#2
13 agosto 2017 Noci (BA) – BucoBum
27 agosto 2017 Torino – TOdays festival