Italbasket: un fiore nel deserto
Grazie alla vittoria di ieri contro la Georgia la Nazionale di Ettore Messina si è qualificata agli ottavi di Eurobasket 2017 come terza nel suo girone. Sabato sfida alla Finlandia del fenomeno Markkanen
L’Italbasket ha fatto quello che doveva: qualificarsi agli ottavi di finale degli Europei nel modo migliore possibile. E “modo migliore possibile” è stato: terzo posto nel girone al netto di tre vittorie e due sconfitte arrivate con due formazioni, più forti nel caso della Lituania, più moderne nel caso della Germania.
E da ora in poi è tutto di guadagnato: battere la Finlandia dopodomani vorrebbe dire fare un passo in più in un cammino molto più che soddisfacente ed onorare la caratura ed il carattere ed il cuore di chi questa nazionale la compone: uno su tutti, Ettore Messina.
La squadra scandinava, senza nascondersi dietro inutili retoriche è di certo la squadra migliore che si potesse sperare di trovare, Slovenia e Francia avrebbero fatto partire gli Azzurri senza ombra di dubbio uno se non due passi indietro.
Con la Finlandia sarà il classico “zero a zero e palla al centro”, almeno oggi: nei prossimi anni, per usare un discorso fatto da Massimo Tosatto su BasketInside nel suo “Eurobasket 2017 – Italia: Anatomia di un fallimento”, anche i ragazzi del freddo nord Europa saranno troppo “moderni” in relazione a quello che potrà offrire il basket del bel paese.
Ed allora se doveva essere vittoria, lo è stata, per tanti ed in diversi modi. Innanzitutto per Messina, criticato dal tribunale mediatico alla luce delle sue scelte e che così, a modo suo e senza alternative reali ha tirato fuori il meglio possibile da una squadra con carattere ed esperienza ma non con un altrettanto alto valore tecnico.
È come se Messina sapesse di essere un punto nella storia di questa nazionale e che dopo questa squadra, volente o no, sarà necessario un cambiamento ed un confronto con quello che in questi anni si è costruito e seminato, nel bene e nel male. E non bisogna storcere il naso sentirsi offesi nel considerare vittoria un semplice accesso agli ottavi di finale, perché sta anche nella presa di coscienza del proprio limite il primo grande passo verso una ricostruzione forte e robusta, ma bisogna volerlo.
È anche la vittoria di Marco Belinelli. Perché il ragazzo di San Giovanni in Persiceto non ha mai detto “no” alla maglia azzurra e con il carattere ed un atteggiamento vincente l’ha sempre onorata. Come anche Gigi Datome, che ha risposto in maniera roboante alle critiche che precedevano l’inizio di questa competizione e con lui Nicolò Melli.
Poi ci sono quelli che con la classe operaia il paradiso se lo sono sempre guadagnato, facendo troppo spesso e sicuramente malvolentieri i parafulmini di un movimento che forse aveva bisogno di altri colpevoli: Marco Cusin, Ariel Filloy e Paul Biligha ad esempio, rispondono presenti a questo appello e con professionalità e dedizione hanno insegnato quanto splendidi possano essere dei limiti in determinati casi.
Una squadra che doveva vivere di difesa e perfette esecuzioni, capace di vincere con chi era al suo livello con le sue armi, in grado di stupire chi è più forte ed accettare la sconfitta nel senso sano del termine. Così è stato se non con la Germania, con cui sconfitta è stata a seguito di una partita sbagliata come nello sport ce ne sono state e ce ne saranno.
Non sarà un problema perdere con la Finlandia, o perdere ai quarti, od in semifinale od in finale. Sarebbe bellissimo vincere con la Finlandia, ai quarti, od in semifinale od in finale. Aldilà di ciò che potrebbe essere bello o brutto, piacevole o no, è necessario pensare al dopo alla luce di quanto visto sui campi di questo Eurobasket.
Porzingis, Markkanen, Hernangomez, Schroeder, Saric, Osman, Doncic hanno riempito i video di highlights che hanno intasato le bacheche di mezzo mondo. Perché? Sono forti, talentuosi da fare schifo, atletici, moderni ed hanno tutti esperienza europea o internazionale e giocano in nazionali che seppur non supportate in alcuni casi dal blasone, hanno giocatori con dimensione europea che giocano in movimenti e campionati che con investimenti e programmazione hanno gettato le basi anni fa ed ora vedono i primi frutti per poi tra qualche anno ammirare le foreste.
Cosa che non farà l’Italia: almeno che non si dia ai giovani la possibilità di esserlo con i loro errori, almeno che non si diano ai giovani minuti, muscoli e coppe, fino a che non si abbandoni il blasone per ricostruirne uno nuovo, uno moderno. In questo momento il campionato italiano è un circolo chiuso che non offre ciò e i ragazzi che oggi vestono la maglia dell’Italia hanno fatto più di quello che in molti casi il loro curriculum recitasse.
Eccezioni: Marco Belinelli, Luigi Datome, Daniel Hackett e Nicolò Melli. Il primo ha vinto prima con se stesso e poi sul campo, mettendosi in discussione ed un suo addio lascerebbe un vuoto più buio di quanto si possa pensare; Datome ed Hackett hanno fatto una scelta ben precisa e Melli è il nostro unico faro di modernità. Non per merito del movimento che lo stava perdendo a Milano sulla panchina per far giocare un Kleiza sovrappeso e svogliato ma perché Andrea Trinchieri, che di modernità ed aggiornamento ne sa qualcosa, ha impostato su di lui una programmazione che oggi lo porta alla corte di Obradovic, dopo tre anni in Germania, altro movimento che di modernità e programmazione ne sa qualcosa.
L’attualità dice che sabato alle 17.45 ci sarà la sfida contro la Finlandia e dice che in un movimento in fase di desertificazione, Ettore Messina e la sua squadra hanno fatto crescere un fiore. Dobbiamo solo tifarlo e quando tutto sarà finito (speriamo il più tardi possibile), lasciarlo seccare sperando che dalla sabbia qualcosa possa rinascere.