La depressione dei ricchi
Quando la melanconia non era uguale per tutti i ceti sociali
Dall’Inghilterra, considerata allora, patria per eccellenza di melanconici, ci vengono numerose testimonianze sulla depressione dei nostri antenati.
Particolarmente utili per la conoscenza di questa patologia, ci risultano i quasi sessanta registri di Richard Napier, medico e pastore protestante, nei quali dal 1597 al 1634, annotò i fatti relativi alla sua pratica medica. La fama di Napier era tale che nei suoi anni di attività fece circa 60mila visite, più di 2mila l’anno.
Poco meno del 5% dei suoi pazienti, per la precisione 2039, era rappresentato da individui con turbe mentali e psichiche.
Richard Napier: medico, pastore e astrologo
Napier non si formò da subito come medico; si laureò dapprima in teologia nel 1584 e successivamente, nel 1586, conseguì un master. Ricevette la licenza alla pratica medica solo in seguito, nel 1604, da Erasmus Webb, arcidiacono di Buckingham anche se era già attivo come medico dal 1597, anno in cui conobbe il suo mentore. Napier venne fortemente influenzato dall’incontro con Forman, un personaggio sinistro, esperto di astrologia e necromanzia che esercitò spesso la professione medica senza avere la licenza per farlo.
La depressione dei ricchi e dei poveri
Ma il particolare più curioso che si rileva dallo studio dei registri del dottor Napier è la denominazione differenziata, a seconda della classe sociale del malato, data a sintomatologie pressoché identiche con cui si attribuisce essenzialmente il termine aulico melachonic alle classi più elevate lasciando il più misero mopish alle classi inferiori. Basti pensare che all’interno delle classi elevate l’80% dei pazienti è denominato melanchonic mentre nelle classi sociali inferiori solo il 47% raggiunge tale posizione. Ciò si spiega ricordando come a quei tempi lo status di melanconico fosse considerato un segno di distinzione e ciò riecheggiava una tesi attribuita ad Aristotele ripresa poi da filosofi rinascimentali quali il nostro Ficino, secondo cui una leggera prevalenza di quell’umore atrabiliare, responsabile della melanconia, sarebbe stato il segno distintivo di poeti, artisti e di grandi uomini.
Una turbativa simile, ma con connotati sociali peggiorativi e senza quest’aura di distinzione, era la mopishness. L’uso comune del termine mopish, che aveva già i suoi echi nelle opere di Shakespeare oltre che negli appunti di Napier, può essere meglio compreso in termini di psicologia contemporanea. La condizione viene descritta come un disturbo delle capacità sensoriali oltre che della ragione. La mopishness era d’altro canto meno grave delle malattie mentali degenerative, come la madness e la lunacy.
Si può quindi pensare che considerando un lusso la melancholy, per i ceti meno elevati si fosse più portati a usare il termine mopish attribuendo al soggetto una locuzione che noi saremmo tentati di tradurre, con un misto di “sbagliarsi, ingannarsi” ed “essere giù di umore”. Nella lingua inglese di oggi invece rimane solo il significato di abbattuto, depresso, ecc.
Lo stesso Napier, a detta di un suo biografo contemporaneo, soffriva di “mopish melancholy“, proprio per questo dovette assumere sostituti per i suoi sermoni, che ormai non riusciva più a pronunciare in pubblico.
Le cause del disturbo
Gli appunti di Napier comunque ci permettono anche di fare un raffronto tra cause della malattia riportate nelle diagnosi da lui effettuate e teorie allora in auge come quelle che vedevano principali responsabili della melanconia le passioni eccessive come amore, gioia, paura e dolore. Molti erano poi convinti che quelli che noi chiameremmo stress emozionali fossero causa sia di malattie fisiche che di disturbi mentali, e che persistenti malattie del corpo potessero portare alla perdita della ragione.
Il perché della diffusione proprio in Inghilterra ci viene da George Cheyne, medico inglese del Settecento che aveva attribuito all’Inghilterra questo triste primato a causa del clima (soprattutto per il tasso di umidità e per il suo cambiamento continuo), dell’alimentazione grassa, delle condizioni igieniche in cui vertevano le città. C’è inoltre da dire che quel periodo fu piuttosto instabile politicamente e socialmente a causa dei conflitti tra Corona e Parlamento, tra Chiesa e dissidenti, tra Irlanda e Scozia, per non parlare della terribile epidemia di peste che sconvolse Londra nel 1665 e il Grande Incendio dell’anno successivo.
Bibliografia
- MacDonald Michael, “Mystical Bedlam: Madness, Anxiety, and Healing in Seventeenth-Century England“, New York, Oxford University Press, 1981
- Aristotele, La “melanconia” dell’uomo di genio, il Melangolo, Genova 1988.
- Ficino Marsilio, (1433-1499), De vita, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 1991.
- Cheyne George, “The English Malady: or, a treatise of nervous diseases of all kinds, as spleen, vapours, lowness of spirits, hypochondriacal, and hysterical distempers, etc“, London, Strahan, 1733
Federica Albano e Gerardo Gatti