Thomas Willis e la nascita della neurologia, da Ippocrate a oggi
Dalla medicina umorale alla neurologia cercando di far pace con l’anima
I medici greci della scuola di Ippocrate (460 a.C. circa – 377 a.C. circa), facevano dipendere lo stato di benessere dell’individuo dall’equilibrio di quattro fluidi, detti umori: sangue, bile gialla, bile nera o atrabile e flegma. Essi attribuivano i mali dell’anima ad un eccesso di atrabile e per questo motivo adottarono il termine melanconia (di cui si è parlato sempre su Ghigliottina pochi giorni fa), derivandolo da due parole della loro lingua: mélaina (nera) e cholé (bile).
Si sviluppò ben presto la teoria atrabiliare che, sebbene con alcune varianti, attribuì l’origine dei disturbi psichici nella bile nera, motivo per cui la malattia psichiatrica per come noi oggi la intendiamo non era altro che un’affezione di origine fisica. La dottrina atrabiliare dominò il sapere medico per molti secoli fino alla comparsa degli studi neurologici del medico inglese Thomas Willis (1621-1675).
Un medico di grande prestigio
Willis fu una vera e propria celebrità nell’ambiente scientifico del suo tempo. A lui si devono l’identificazione di alcune malattie come l’asma e il diabete mellito; quest’ultimo scoperto tramite analisi delle urine: assaggiò infatti le urine di un suo paziente e scoprì che erano “straordinariamente dolci“. Fu inoltre un vero pioniere dell’anatomia cerebrale: sue sono infatti le scoperte del Poligono che porta il suo nome, un circolo anastomotico alla base del cranio che rappresenta la confluenza dell’arteria basilare e delle due carotidi interne.
Oltre a coniare il termine neurologia, classificò accuratamente i nervi cranici dal I al X, aggiungendo in seguito l’accessorio spinale (Accessorius Willii). Egli più di altri si avvicinò all’identificazione della sede delle malattie psichiatriche nel cervello. L’azione nervosa era per lui dovuta alla circolazione degli spiriti animali, particelle distillate dal cervello nel sangue. Nettamente in anticipo rispetto ai suoi contemporanei, che pensavano all’azione nervosa come ad un fluido che scorreva dal cervello in tubi cavi, Willis capì che i nervi erano solidi e gli spiriti erano semplicemente intermediari tra mente e corpo.
Già solo con la sua opera Cerebri Anatome del 1664 Willis costituì quello che per il suo tempo era il più completo e innovativo studio del cervello e della fisiologia nervosa. Tale studio portò alla teoria secondo la quale il centro funzionale della corteccia si trova nel cervello.
L’effetto dirompente in campo neurologico della teoria di Willis derivò dal trasferimento di questa causa al mal funzionamento del sistema nervoso (nervous stock). In questo modo egli scagionò l’isteria fino ad allora attribuita, sin da Ippocrate, ad una sorta di vagabondaggio dell’utero all’interno del corpo femminile. Il contributo di Willis fu quindi di portata grandiosa soprattutto se pensiamo a come i predecessori trattavano di neurologia.
La neurologia nell’antichità
I medici ippocratici indicavano come nervi (la parola greca è neuron) sia i nervi veri e propri che i tendini, di cui confondevano le funzioni. Un passo avanti fu compiuto nel periodo ellenistico con la distinzione in due classi: i nervi responsabili del movimento volontario, chiamati proairetikà (decisionali) e quelli sensori, aisthetikà.
I nervi motori continuavano ad essere raggruppati assieme ai tendini ed ai legamenti in un sistema nervoso-tendineo, considerato come qualcosa di solido ed elastico e, perciò, adatto alla trasmissione del movimento senza l’ausilio di alcun vettore fluido al loro interno. I nervi sensori erano invece considerati tubi cavi, al cui interno il pneuma aveva la funzione di trasmettere il messaggio.
L’analisi anatomica dell’uomo però fece domandare quale fosse il ruolo dell’anima, già affrontato da Cartesio. Willis mediò questa urgenza dividendo tra un’anima corporea e una razionale e spirituale. Solo in questo modo poté portare avanti i suoi studi in maniera totalmente laicizzata.
La questione dell’anima
Nel De anima brutorum, uno dei suoi trattati neurologici più ambiziosi, Willis descrisse l’anima come l’elemento comune tra uomini e bestie, cioè quello che spinge entrambe le specie alla ricerca di cibo, di protezione o di un compagno. Willis però mentre da un lato espose i suoi studi fisiologici fornendo un contributo scientifico di grande rilevanza, dall’altro dovette cercare di far convivere la sua attività di anatomista con quella di credente.
Nella prima parte dell’opera Willis separò un’anima corporea da una immateriale che egli stesso definì anima razionale. La corporea è comune a uomini e bestie, è mortale, materiale, guida le funzionalità biologiche necessarie alla sopravvivenza e alcune funzioni psichiche come l’immaginazione. Anche gli animali infatti, secondo Willis, mostrano di possedere memoria, ragione e altri tratti comuni con gli uomini. Egli ipotizzò l’anima razionale per salvare l’esistenza di un’anima immortale, ma ciò è di fatto superfluo in termini di conoscenza biologica.
Si potrebbe dire che l’anima razionale venga definita per “sottrazione”: se uomini e bestie hanno caratteristiche comuni, vuol dire che tutto ciò che è puramente umano e non simile ai Bruti è da attribuire all’anima razionale. L’intelletto è dunque facoltà dell’anima razionale perché è infatti solo grazie ad esso che si può astrarre il pensiero e oltrepassare la dimensione fisica delle cose.
Bibliografia:
1) Jean Starobinski, Storia del trattamento della malinconia dalle origini al 1900, Guerini e associati, Milano 1990; p. 28
2) Gerardo Gatti, Sotto il segno di Saturno, Sapere, dicembre 2000
3) Mirko D. Grmek (a cura di), Storia del pensiero medico occidentale. Vol 1-2, Editori Laterza, Roma-Bari 1993
4) Gerardo Gatti, Quando l’utero era vagabondo, www.galileonet.it, Gennaio 2015
5) Giorgio Cosmacini, Giuseppe Gaudenzi, Roberto Satolli (a cura di), Dizionario di storia della salute, Einaudi, 1996
6) Richard Hunter, Ida Macalpine, Three hundred years of psychiatry 1535-1860, carlisle Publishing, 1982
7) Mauro Simonazzi, La malattia inglese. La melanconia nella tradizione filosofica e medica dell’Inghilterra moderna, Il Mulino, 2004
8) Thomas Willis, Two discourses concerning the soul of brutes which is that of the vital and sensitive of man. The first is physiological, shewing the nature, parts, powers, and affections of the same. The other is pathological, which unfolds the diseases which affect it and its primary seat; to wit, the brain and nervous stock, and treats of their cures: with copper cuts. By Thomas Willis doctor in physick, professor of natural philosophy in Oxford, and also one of the Royal Society, and of the renowned college of physicians in London.
Federica Albano e Gerardo Gatti