I fiumi “tombati” che minacciano l’Italia
Sono circa 12mila i chilometri di corsi d’acqua tombati nella nostra penisola, 15 i fiumi cementificati che preoccupano maggiormente gli esperti. Un territorio fragile a grave rischio di dissesto idrogeologico.
L’alluvione di Livorno dello scorso 9 settembre, che ha portato all’esondazione del Rio Maggiore, è solo l’ultimo evento naturale che si è abbattuto sul nostro territorio e che ha dimostrato, ancora una volta, la fragilità delle nostre città e la pericolosità dei canali sotterranei. In Italia ci sono circa 12mila chilometri di corsi d’acqua “tombati”. Si tratta di fiumi, torrenti e rivi coperti e trasformati, nel corso di decenni, in corsi sotterranei sopra i quali sono state compiute opere di urbanizzazione.
Corsi d’acqua che non sono “morti”, che continuano a scorrere sotto il terreno in un letto ristretto e che, spesso, non reggono alle precipitazioni improvvise e finiscono per riappropriarsi dei propri spazi, esondando e, molto spesso, provocando morte e devastazione. Il rischio alluvioni e inondazioni riguardano, purtroppo, molte città italiane. Le piogge eccezionali, sempre più frequenti anche a causa dei cambiamenti climatici, possono provocare fenomeni estremi cui non si riesce a far fronte adeguatamente.
In Italia sono molte le città a rischio e Mario Tozzi, geologo del Cnr, spiega: “Sotto il loro suolo scorrono dei corsi d’acqua che a partire dagli anni Trenta sono stati progressivamente tombati per costruirci sopra. Ma i fiumi devono avere la possibilità di respirare, di sfogarsi. Se li restringiamo in piccoli canali è la fine. Sotto la città di Napoli, ad esempio, scorre il Simeto, a Palermo il Kemonia e il Papireto, a Bologna il Reno. Tutti, sono delle potenziali bombe ad orologeria”.
Per Tozzi “Genova, da questo punto di vista, è un caso esemplare purtroppo. La città nel passato si estendeva fino al quartiere Marassi, poi è stato tombato il Fereggiano e gli altri affluenti e si è continuato a costruire sopra con le conseguenze che sappiamo”.
Era il 7 ottobre del 1970 quando fortissime precipitazioni colpirono Genova portando all’esondazione dei torrenti Bisagno, Fereggiano e Leira e la piena dello Sturla, Polcevera, Chiaravagna e Cantarena. L’alluvione portò con sé oltre 40 vittime e 2.000 sfollati. Il dramma dell’evento catastrofico fu ricordato, nella canzone Dolcenera, dal cantautore genovese Fabrizio De Andrè. La città fu poi colpita da eventi similari nel novembre 2011 e ottobre 2014. La nostra Penisola è, dunque, un territorio fragile a forte rischio di dissesto idrogeologico che necessita, innanzitutto, di piani di prevenzione e di evacuazione in caso di emergenza.
Sempre secondo Mario Tozzi “Bisogna smetterla di varare Piani casa nelle zone a rischio e fare condoni edilizi. Vanno allestiti dei piani di evacuazione, come succede in tante città del mondo, da far scattare in caso di emergenza. I nostri sindaci, da questo punto di vista, devono essere più coraggiosi. Infine, da alcuni territori come Sarno, in Campania, dove dopo l’alluvione del 1998 si è tornati a costruire di nuovo, la gente deve andarsene”.
La cementificazione selvaggia e il consumo del suolo continuano ad aumentare e rappresentano le principali cause di eventi naturali che si trasformano in tragedie. Solo nel 2015-2016 sono stati “consumati” una media di 30 ettari ogni giorno. Martina Bussettini, ingegnere ricercatore dell’Ispra,l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, chiarisce: “Non si può fare moltissimo per rimediare: ci sono a volte dei sistemi di deflusso, si possono realizzare delle opere per rimediare alle situazioni più gravi, ma l’Italia può essere paragonata a un paziente con gravi problemi circolatori cui si applica uno stent per far passare meglio il sangue dove le arterie sono più strette. L’unica cosa che si può fare veramente è tenerlo sotto controllo e vigilare”.
Le alluvioni e inondazioni che hanno colpito il nostro territorio continueranno a verificarsi e probabilmente sempre più spesso e con maggiore intensità, dobbiamo, pertanto, occuparci della salute del nostro Pianeta imparando la cultura della prevenzione e rispettando di più la natura.
Articolo a cura di Alessandra Bernardo
Siamo consapevoli che è in atto un cambiamento climatico di vasta portata , ma concordo con la nostra brava giornalista che dobbiamo fare un mea culpa collettivo di questo dissesto idrogeologico e occuparci seriamente della salute del nostro pianeta , mettendolo al primo posto , pur se spesso ciò va contro gli interessi personali .