Indipendenza Catalogna, un tema scottante che tocca anche lo sport
Il futuro dello sport in Catalogna va di pari passo con le decisioni politiche: cosa accadrebbe se Barcellona diventasse indipendente dalla Spagna?
La Catalogna brama la sua indipendenza dalla Spagna. Un messaggio, questo, lanciato più volte nel corso degli anni dagli abitanti della regione autonoma spagnola. Perché tra le Ramblas ed i monumenti storici di Barcellona (e non solo) si respira un’aria diversa da quella che si può percepire nel resto del Paese.
Il motivo ha radici lontane che risiedono nella guerra di secessione spagnola del 1714, accentuate dalla dittatura franchista che accentrò tutto il potere dello stato spagnolo sulla capitale Madrid cercando di togliere l’identità alle regioni autonome di questo stato come la Catalogna ed i Paesi Baschi.
Perché questi Paesi vivono di lingue e tradizioni più importanti di quelle della madrepatria Spagna. Il Basco ed il Catalano sono vere e proprie lingue che in queste regioni “sovrastano” lo spagnolo, messo sempre in secondo piano.
Basta fare un giro a Barcellona per rendersi conto di come, dai cartelli stradali, alle indicazioni date in metropolitana, la prima lingua ad essere declamata sia quella d’origine, il catalano appunto seguita dallo spagnolo.
La ferita causata dalla guerra d’indipendenza è ancora viva e si respira tra le vie e le strade del capoluogo catalano ogni 11 settembre. Nel giorno che l’America identifica come l’inizio della guerra al terrorismo in Spagna si celebra la festa della Diada Nacional de Catalunya.
Testimonia la guerra che portò alla secessione spagnola. Il conflitto è nato per la prematura morte del Re Carlo II. Non avendo eredi cedette il regno, secondo testamento a Filippo V di Borbone, dando inizio ad una nuova dinastia di regnanti che dura tutt’oggi all’interno dello stato spagnolo. Ma la lotta al trono fu sanguinosa per il neo re che dovette affrontare in battaglia l’Arciduca d’Austria.
L’eroe di quella battaglia è però Rafael Casanova, una delle figure di politiche di maggior spicco della catalogna di quel periodo era in prima linea e fu ferito nel conflitto svolto l’11 settembre del 1714 e che vide la sconfitta dell’arciduca e dei suoi sostenitori. Da quel momento quella data e quell’uomo sono diventati dei simboli di una festa che celebra la voglia e la volontà di indipendenza del popolo di questa
La stessa voglia che usa il calcio come veicolo per esprimerla e dichiararla in mondo visione. Nel recente passato l’ormai ex-stadio dell’Atletico Madrid, il Vicente Calderon, ha ospitato in più occasioni lo scontro tra Baschi e Catalani. E come da prassi, lo stadio intero ha sempre fischiato l’inno spagnolo.
Anche tra la squadra che rappresenta l’emblema di questa regione, il Barcellona, è vivo questo sentimento secessionista.
Piquè, uno dei leader dello spogliatoio blaugrana è sempre presente alla commemorazione della Diada alla quale partecipa con tutta la sua famiglia. Pep Guardiola, storico giocatore e grande allenatore dell’era d’oro della squadra ha anch’esso manifestato a più riprese questo suo desiderio.
Il prossimo 1° ottobre è previsto un referendum che lo stato centrale guidato dal Primo minsitro Mariano Rajoy sta provando con ogni mezzo ad impedire. Ha anche fatto arrestare 14 persone all’interno del governo catalano perché legate all’organizzazione del voto. Questo ha scatenato la reazione forte del Club de Futbol Barcelona, il cui motto è Mès que un Club, il quale ha diffuso sul suo profilo Twitter una nota in cui difende “la nazione, democrazia, libertà di espressione e auto-determinazione”, condannando qualunque atto possa impedire questi diritti.
Il clima d’incertezza e alta tensione in Catalogna durerà fino almeno fino al 1° ottobre. La marcia di avvicinamento è lunga. Il successo o meno di questo referendum potrebbe cambiare la Spagna, per sempre.