Chikungunya, la “febbre tropicale” arrivata nel Mediterraneo

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Da inizio settembre Roma è colpita dalla chikungunya, malattia febbrile acuta virale trasmessa dalla puntura di zanzare infette. Ma quali sono le origini di questa patologia?

Aedes albopictus
(Immagine: James Gathany, Centers for Disease Control and Prevention)

Nella seconda metà di quest’anno una nuova preoccupazione è entrata a far parte del quotidiano degli italiani, vale a dire il rischio di contrarre la chikungunya, malattia trasmessa dal morso di Aedes aegypti e Aedes albopictus – quest’ultima più nota con il nome di “zanzara tigre” in Italia. Fino all’inizio del XIX secolo, la chikungunya aveva di solito limitato la sua presenza ai Paesi di Asia, Africa e America meridionale.

I primi casi registrati nella penisola italiana risalgono al 2007 in Emilia-Romagna, seguiti delle conseguenti azioni di ricerca e di controllo delle zanzare. Dieci anni dopo è nuovamente apparsa, questa volta nel Lazio: fino al mese di settembre, il Servizio Regionale di sorveglianza malattie infettive (Seresmi) aveva già registrato oltre 100 casi tra Anzio, sul litorale, e Roma, dando origine a un’allerta da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e alla sospensione per un mese, delle donazioni di sangue nella regione. Alcuni casi si sono registrati anche in Calabria e in Emilia-Romagna.

La zanzara viaggiatrice  Ma quale è l’origine di questa malattia e come si spiega la sua presenza nel Mediterraneo?
La chikungunya è stata identificata per la prima volta in Tanzania nel 1952, e da allora la sua presenza è stata periodicamente registrata in Asia e nel continente africano. Il suo nome deriva da una parola in lingua Makonde che significa “coloro che si piegano”, per via del modo di camminare dei pazienti colpiti da forti dolori alle articolazioni causati da questa malattia virale.

In effetti, i dolori articolari sono ciò che differenzia la chikungunya delle altre due malattie trasmesse dall’Aedes: la Zika e la Dengue. Dopo la puntura della zanzara infetta, possono comparire i sintomi, che includono febbre oltre i 39 gradi, mal di testa, macchie sulla pelle e dolore intenso alle articolazioni dei piedi e delle mani.

Tuttavia, nel 30% dei casi, si può anche non avere sintomi. I trattamenti attuali si basano sulla mitigazione dei sintomi (che possono durare da giorni a mesi) con analgesici, antinfiammatori, riposo e costante idratazione.

L’ipotesi più accreditata per l’arrivo della malattia all’emisfero settentrionale è che la zanzara vettore abbia viaggiato sulle navi provenienti da Asia, Africa e Americhe. Non è tuttavia escluso che altri fattori contribuiranno a facilitare la diffusione delle zanzare (e delle malattie da loro trasmesse) nelle zone temperate nei prossimi anni, come il riscaldamento globale e il cambiamento climatico.

Ci aiuterà la tecnologia? – Mentre l’Europa cerca di adattarsi e combattere la presenza della malattia, i paesi che già da anni affrontato il problema cercano nuove soluzioni. In Brasile vanno avanti le ricerche per un vaccino contro la Zika. E con l’aiuto dell’ingegneria genetica, è in fase di test anche un’altra strategia: il rilascio di zanzare di sesso femminile geneticamente modificate, che si riproducono con i maschi della stessa specie ma generano una prole incapace di sopravvivere fino all’età adulta.

Ma, anche se la tecnica è già in uso negli Stati Uniti e in Brasile, alcuni ricercatori mettono in discussione la sua efficacia a lungo termine – sostenendo che può causare uno squilibrio ambientale nella popolazione di zanzare e danneggiare così altri metodi di contrasto, come la fumigazione e l’eliminazione degli ambienti di riproduzione degli insetti (che si moltiplicano principalmente nell’acqua pulita, come quella presente nei vasi delle piante).

In assenza di una soluzione concreta, la prevenzione migliore continua a essere, appunto, l’eliminazione dei focolai di proliferazione dell’Aedes – oltre allo sguardo pronto per evitare “attacchi in volo”.

Juliana Santos

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