Dubbi grammaticali | “Egli” e “lui” come pronomi soggetto
È corretto scrivere “Lui va al lavoro”? O sarebbe meglio “Egli va al lavoro”? Dipende
Quella del pronome soggetto di terza persona è, nello scritto, una questione annosa. Il sistema interno dell’italiano certo non aiuta a chiarire la questione: limitandoci al singolare, abbiamo infatti tre concorrenti sia per il maschile (egli, esso, lui), sia per il femminile (ella, essa, lei).
L’insegnamento tradizionale propone, solitamente, di utilizzare egli per le persone, ed esso per cose e animali, escludendo di fatto lui, disponibile soltanto come pronome complemento. Ma usare in un testo scritto lui in funzione di soggetto, come facciamo abitualmente nel parlato, è davvero un errore?
Per rispondere occorre innanzitutto dare, come spesso in questi casi, uno sguardo al passato. Nei testi italiani antichi era già possibile trovare lui soggetto (sin dal Duecento; occasionalmente anche in Dante, Boccaccio, ecc.). Nel Quattrocento e nel primo Cinquecento (ad esempio nel Principe di Machiavelli) la frequenza di questo uso aumenta notevolmente.
È quindi da sfatare il mito che si tratti di una devianza recente dalla norma. Anzi, quella che consideriamo la norma venne fissata (originariamente solo per la lingua letteraria) soltanto nel 1525 dal grammatico veneziano Pietro Bembo, nella sua opera fondamentale, le Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua.
In questo trattato, l’umanista, rifacendosi all’uso maggioritario degli autori letterari del Trecento, affermava che la forma da utilizzare come soggetto era soltanto egli (anche nella variante elli, o nel poetico e molto fortunato ei: si pensi al celeberrimo attacco del Cinque maggio di Manzoni «Ei fu siccome immobile»), mentre era da evitare lui, considerato un uso posteriore al Trecento e quindi scorretto. Da quel momento, come conseguenza del grande successo e dell’autorità che seppe sin da subito conquistarsi il Bembo, gli usi di lui come soggetto calano vistosamente.
Questo finché un altro grande della nostra storia letteraria (e linguistica), il già citato Alessandro Manzoni, nel rivedere il suo capolavoro dall’edizione del 1827 a quella definitiva del 1840 (la famosa “risciacquatura dei panni in Arno”), sostituì nella maggioranza dei casi egli, sentito già allora come superato e arcaizzante, proprio con lui. Grazie alla fortuna e alla diffusione capillare dei Promessi sposi, la forma lui tornò ad essere considerata accettabile anche nello scritto.
Dunque, usare lui come soggetto nello scritto è un errore oppure no? Le grammatiche sono ormai concordi nel non considerarlo un errore. Anche nei classici schemi delle flessioni verbali riportati nelle grammatiche scolastiche, infatti, al pronome egli si affianca ormai generalmente lui, in soluzioni del tipo: io guardo, tu guardi, egli/lui guarda, ecc. Una raccomandazione è però d’obbligo, e riguarda i contesti (in linguistica si parla di varietà diafasica).
A differenza di un testo pratico o di narrativa, in un testo formale di livello alto sarà ancora preferibile evitare lui, per non correre il rischio di scivolare troppo nel colloquiale; bisognerà quindi ricorrere ancora, seppur con un certo imbarazzo, a egli. Questa polarità così spiccata tra aulico e colloquiale si deve alla mancanza nel sistema pronominale di una forma riconosciuta come media, utilizzabile nei casi di incertezza.
Non va poi dimenticata la possibilità, a fianco della più radicale ellissi del soggetto, di utilizzare varie perifrasi per indicare la persona (o al cosa) che il pronome dovrebbe richiamare; questo strumento è molto utilizzato soprattutto nella scrittura giornalistica (ma anche lo stesso Manzoni sostituì molti egli con altrettante perifrasi), dove, ad esempio, l’attuale presidente della Repubblica può essere indicato come: Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica, il capo dello Stato, la prima carica dello Stato, il capo delle forze armate, e via dicendo. In attesa che il sistema della lingua italiana trovi, attraverso l’uso, una soluzione definitiva.