Stati Uniti, clima e dintorni: la “way of life” che preoccupa
I cambiamenti climatici non consentono rinvii: come mostra il caso americano, i modelli di consumo devono cambiare in fretta
L’allarme sul clima è scattato: negli Stati Uniti allagamenti e tornado non risparmiano prefabbricati né grattacieli. Le cause di questi disastri ambientali sono note, in quanto dipendono da scelte di consumo insostenibili. Gli scaffali pieni nei supermercati, l’automobile per andare al lavoro, il condizionatore acceso in ufficio, il caffè da Starbucks: queste opportunità evocano l’idea di una società del benessere e rappresentano comodità indiscusse.
Non si tratta però solo di merci o servizi alla portata di tutti, ma della stessa identità della comunità in cui si vive. Mentre le abitudini e il livello di informazione formano i gusti e le preferenze, i centri commerciali si moltiplicano, i rifiuti aumentano, la qualità dei servizi è scadente, i prezzi delle merci sono bassi perché sfruttano il lavoro di persone a migliaia di km.
Non si compra più un bene ma l’idea del marchio: le grandi multinazionali producono solo pubblicità, rappresentando stili di vita accattivanti. Strategie di marketing sempre più manipolatorie insieme a sistemi di delocalizzazione della produzione incentivano tuttavia un consumismo senza senso, senza farsi carico delle esternalità negative e dell’impatto ambientale di una produzione sconsiderata.
L’accumulazione di beni rende l’idea di progresso una questione di scelta privata: in un mondo globalizzato, le comunità tendono a dividersi sulla base delle scelte di consumo, facendo aumentare le disuguaglianze tra chi ha troppo e chi troppo poco. La precarietà si “cura” con l’individualismo, con la diffusione di stili di vita che danno un’idea di benessere e che formano legami artificiali e contingenti, e dunque non convincenti. Invece di rappresentare una ricchezza, le scelte rivolte a un benessere personale dividono, in quanto conducono alla perdita delle identità e degli interessi collettivi.
La vaghezza delle politiche delega infatti gli aspetti della vita individuale e pubblica a corsi di auto-aiuto o a proteste marginali; cede risorse pubbliche e beni comuni a soggetti privati, perdendo di sovranità e aumentando allo stesso tempo aree di intervento e norme amministrative che regolano la vita dei singoli su aspetti poco significativi. Tuttavia, le crisi ambientali e dei mercati finanziari ma anche l’avvento dei social network, hanno fatto sì che le persone si interrogassero sempre più sul pericolo rappresentato dai cambiamenti climatici o sulla mancanza dei diritti fondamentali.
Scenari economico-politici non gestiti correttamente scatenano malumori fino a formare movimenti politici: la società americana diventa un laboratorio sociale, dove si sperimenta il limite massimo oltre al quale non è possibile la “way of life” proposta finora. L’America, quella popolare, rischia di diventare sempre più povera e incerta di fronte a fenomeni climatici devastanti. Più cresce il mercato, più devono essere implementati interventi politico-sociali che ne stabiliscano le regole.
La gestione di questi eventi richiede infatti l’adeguamento immediato a criteri di produzione e consumo ecocompatibili e sostenibili in tutti i settori economici: dall’abbigliamento, all’edilizia, alle tecnologie, alla chimica, alla mobilità. Questo cambiamento deve riguardare anche i fornitori e la distribuzione, fino al “paradosso” rappresentato da imprese che vengono esortate a informare i propri clienti affinché imparino a consumare meno.
Inoltre, saranno sempre più centrali le politiche “green”, il superamento dell’ottica nazionale e la democratizzazione delle istituzioni sovranazionali. Nonostante tutto, di fronte a fenomeni atmosferici da film apocalittici, forse non dovremmo aspettare che le aziende adeguino le loro politiche interne o che le regole diventino più restrittive: per ridurre la nostra impronta ecologica e i nostri problemi sociali sarebbero sufficienti, per cominciare, un consumo più responsabile improntato a scelte di vita collettive.
Marta Donolo