Il pubblico ha sempre ragione?
Se chiedete ad un commerciante probabilmente vi dirà (anche se forse non lo penserà mai) che il cliente ha sempre ragione. Vale la pena domandarsi se per il pubblico valga lo stesso, quello della pallacanestro almeno.
È tipico di un pubblico di uno sport “minore” essere particolarmente attento a ciò che gli viene offerto e come gli viene offerto, a ciò che deve dare ed a come lo deve dare, giustamente forse.
E quindi, quando uno streaming non va, o un tabellino non è aggiornato, o un commento è poco tecnico e magari approssimativo, o una grafica non si legge, o una partita è senza telecronaca, una critica non si risparmia mai.
E l’arma a doppio taglio è davvero questa. Un movimento ristretto (nonostante i numeri poi non siano così bassi) è fatto inevitabilmente da gente più appassionata (non c’è il rischio di un effetto dispersione), e la voce di queste persone si sente di più dentro quella che a tutti gli effetti è una stanza più piccola. L’effetto social network fa il resto.
E quindi chi da sempre è stato lo sport “minore” sente dentro di se un “maggiore” diritto a dire la sua. Un’opinione che chiaramente è molto meno filtrata e che spesso e volentieri annulla quella che dovrebbe essere una distinzione di ruoli, in cui il tifoso è tifoso, il giocatore è giocatore, il dirigente è dirigente (e via così) ognuno con i suoi punti di forza ed ognuno con i suoi limiti, nella piena consapevolezza di quello che è per l’appunto il suo ruolo. Ed ogni ruolo, aldilà di tutto, porta con sé il dovere di esercitarlo nella maniera migliore possibile.
E dunque chi fornisce un servizio ha l’obbligo di farlo al meglio delle sue possibilità, chi scrive deve farlo al meglio della sua professionalità e chi tifa deve farlo al suo meglio. Esiste poi una questione di coscienza e con quella ognuno fa i conti nel suo privato.
Più si sale di categoria, più cresce (di solito) l’ampiezza delle strutture, più basse si sentono le voci e maggiore di solito è la professionalità che si incontra, almeno dovrebbe. Ci sono però determinate occasioni che fanno riflettere su quanto poi realmente il pubblico meriti davvero la possibilità di avere un così ampio diritto di critica.
Certi pensieri vengono quando ad una partita X di una categoria di Serie B, il tifo sia solo un costante vomito di insulti ed imprecazioni senza nessun tipo di contenuto cestistico. Non c’è nessun tentativo moralistico ma solo del buon senso: contestare un “passi” piuttosto che un altro tipo di infrazione o di violazione è nella natura delle cose ed è giusto che sia così, è l’insulto che riporta inevitabilmente con i piedi per terra. Soprattutto quando a pronunciarlo sono uomini, spesso e volentieri padri che accanto a loro hanno i loro figli.
“Torna a casa a fa’ la pastasciutta”, disse l’indomabile tifoso con sciarpetta al collo e prole accanto rivolgendosi alla ragazza che lavorava al tavolo, in seguito ad un problema di natura tecnica. Proprio lui che forse dovrebbe riflettere sul proprio uso della “pastasciutta”, visto il peso ed il respiro affannoso.
Questo è stato particolarmente divertente, gli altri si possono indovinare con un banale sforzo di fantasia deviata. Colore della pelle (ed ancora ci chiediamo perché lo Ius Soli sia un problema nel nostro Paese?), omosessualità e insulti alla bisogna verso gli altri (divertenti quando dall’altra parte ci sono dei ragazzini a fare il tifo). Insomma un bouquet di lezioni di vita che vengono suggerite anche ai protagonisti in campo, soprattutto quando il proprio “idolo”, già uomo, se la sta vedendo contro un ragazzetto che da poco ha finito le medie. Sarebbe interessante chiedere all’ “idolo” di un tale soggetto cosa ne pensi lui stesso di quel determinato motivatore dagli spalti, che il campo forse non lo ha mai visto.
E basta spostarsi ad un altro campo che la storia non cambia, soprattutto quando il campanilismo è a farla da padrone.
C’è poco da interrogarsi. È questione di ignoranza, di cattiva cultura sportiva e di cattiva umanità, c’è poco da dire. È necessario precisare che “sono solo una minoranza, la maggior parte del pubblico si contraddistingue…”, avete capito no? È altresì evidente che chi su un campo ha bisogno di questo, ha fuori dal campo il necessario bisogno di cambiare, ma poco importa. Perché poi con i social network tutto è lecito, tutto è giusto e tutto è opinione e tutti possono tutto: chi tifa, chi scrive, chi commenta, tutti.
È ancora più grave quando ad assumere certi atteggiamenti sono dei dirigenti, dei presidenti. Allora il problema si fa ancora più serio, perché qualche eroe di qualche film americano direbbe che “siamo fottuti“.
L’immagine conta, c’è poco da fare. E spesso e volentieri questi dirigenti sono anche membri di comitati o di consigli.
Chi su un campo ha bisogno di questo, peggio se di categoria inferiore, forse non vedrà mai quello streaming o quella telecronaca, forse non aprirà mai quel tabellino perché il suo solo interesse è l’interesse della squadra della città o del quartiere, e quindi l’intero discorso crolla miseramente.
Sarebbe necessario aprire un altro tipo di riflessione, che abbraccia trasversalmente tutti gli sport e non solo la pallacanestro, e cioè che l’ignoranza non la si può arginare con la cultura sportiva, che nonostante lo sforzo che si possa fare nel trasmettere determinati valori, se poi dentro le mura di casa, per strada, le risposte sono diverse c’è poco da poter fare. Triste realtà dinanzi alla quale arrendersi sarebbe un delitto.
Non esiste niente di più vitale del pubblico, niente è più vitale della sana goliardia e degli sfottò tra tifoserie, che se a tanti possono sembrare assurdi hanno però una loro “cultura”, condivisibile o meno. È la pura ignoranza che non c’entra nulla, almeno con il basket ed in più in generale con la vita.
Questo pubblico non ha ragione. E se questo pubblico ha facoltà di parola incondizionata, allora c’è un problema. Potrebbe sembrare una banale generalizzazione ma è l’insieme che va tenuto d’occhio.
È certo che la vendita di un prodotto di un determinato livello e qualità non può far altro che far crescere la base del movimento, farne crescere la base in maniera culturale e spingerla ad essere più curiosa, distaccandosi da esempi sbagliati, ma non sarebbe forse da mettere prima nella lista, cercare di debellare o cambiare prima tutto il resto?
Se un tifoso è anche cliente ed il commerciante ha un terribile bisogno di vendere, allora sarà lecito ogni tipo di cliente. Ma se il commerciante conoscesse realmente il pubblico che c’è di fuori e prima di pensare al cliente pensasse alla persona, prima ancora che sia tifoso, allora avrebbe anche un cliente migliore.