Tra Stato e Libertà: dalla legalizzazione della cannabis all’eutanasia
Sullo spazio bianco che si viene a creare tra il Diritto e il diritto a scegliere come disporre della propria vita. Sulla qualità della vita e la dignità. Nel mare magnum dei “credo” e delle convinzioni, alcuni punti fermi su eutanasia e legalizzazione della cannabis, ricordandosi sempre che “La libertà personale è inviolabile”
Tra i molti provvedimenti che rischiano di non vedere la luce prima della fine della legislatura, rimanendo in uno stato di limbo, ci sono anche quelli su materie come la legalizzazione della cannabis e l’eutanasia.
Eutanasia legale
Iniziavo a scrivere queste poche righe qualche giorno fa quando le agenzie e i media hanno cominciato a battere le seguenti notizie:
– la senatrice Emilia De Biasi (PD) inviava una lettera al Presidente del Senato Pietro Grasso per chiedere chiarimenti sulla possibilità di ricorrere al meccanismo del “canguro” (strumento che cancella in un colpo solo centinaia di emendamenti) per tentare di sbloccare l’impasse in commissione sanità sul ddl biotestamento; le è stato risposto che l’unica soluzione possibile consisteva nel portare la legge in aula. La relatrice ha dunque annunciato le sue dimissioni per questa settimana;
– La Camera approvava la proposta di legge sulla coltivazione e la somministrazione della cannabis con 317 voti favorevoli e 40 contrari.
Sta per cambiare veramente qualcosa alla luce degli ultimi e recentissimi avvenimenti? Staremo a vedere. Il 18 ottobre i quattro senatori a vita Carlo Rubbia, Elena Cattaneo, Renzo Piano e Mario Monti, nella lettera manifesto “La dignità della vita ferma in Parlamento” hanno lanciato un appello per evitare che la legge sul fine vita rimanga bloccata in Commissione Sanità.
Tra le ultime novità di queste ore 27 sindaci appartenenti a vari schieramenti politici, da quello di Roma Virginia Raggi (M5S) al sindaco di Milano Giuseppe Sala (PD), hanno sottoscritto un documento con le medesime finalità. Cerchiamo dunque di mettere un po’ di ordine a dei temi che balzano agli onori della cronaca solo quando qualche nostro concittadino decide di suicidarsi in Svizzera oppure quando l’avanzare della ricerca scientifica merita di essere trattato nelle colonnine di destra dei quotidiani.
Ddl sul Biotestamento
Il ddl sul biotestamento è stato licenziato dalla Camera il 20 aprile 2017. Riporto il primo articolo, circa le finalità della legge: “Finalità della presente legge è fornire gli strumenti per consentire ad ogni persona maggiore di anni diciotto di esercitare il proprio diritto di accettare, interrompere o rinunciare a qualsiasi trattamento sanitario, come garantito dall’articolo 32 della Costituzione, nonché di dare disposizioni circa il proprio corpo post mortem“.
Gli articoli regolano il consenso informato, le DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento), la loro redazione, composizione ed efficacia, la nomina di un fiduciario, norma in caso di revoca e di situazioni di urgenza. Da evidenziare che vengono considerati trattamenti sanitari anche l’alimentazione e l’idratazione artificiali e che il personale sanitario che si attiene alle DAT, che devono essere segnalate sulla prima pagina della cartella clinica, è esente da responsabilità civile e penale. Il paziente ha inoltre diritto a cure palliative, incluse quelle che possono nuocere alla sua salute, in caso di “infausta prognosi”, anche di sedazione profonda, volendo presso il proprio domicilio, e a una continua assistenza psicologica. Il ddl dà indicazioni anche circa la presenza di obiettori di coscienza.
Ddl sulla legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati
L’originaria proposta di legge, ossia quella del 16 luglio 2015, presentava disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati, non solo a scopo terapeutico ma anche ricreativo. La Camera lo scorso 19 ottobre ha dato il via libera a una versione decisamente edulcorata:
“[…] stabilisce i criteri uniformi di somministrazione sul territorio nazionale, garantendo ai pazienti equità d’accesso, promuove la ricerca scientifica sui possibili impieghi medici e sostiene lo sviluppo di tecniche di produzione e trasformazione per semplificare l’assunzione”.
In pratica altro non è che un’armonizzazione della normativa vigente perché, per chi non lo sapesse, l’uso terapeutico della cannabis è legale dal non troppo lontano 2013 e a carico del Servizio Sanitario Nazionale in ben 11 regioni. Nel gennaio 2017, inoltre, ne era già stata autorizzata la produzione dall’Istituto Chimico – Farmaceutico di Firenze.
In parole povere: si stabiliscono i criteri su base nazionale di accesso ai medicinali di origine vegetale a base di cannabis per terapia del dolore e altri impieghi autorizzati dal Ministero della Salute; i farmaci sono a carico del servizio del SSN; si conferma la preparazione e distribuzione nel centro del capoluogo toscano di una sola tipologia (Fm2, gli altri sono importati da enti autorizzati); inoltre la prescrizione del medico non può superare i 3 mesi e le province autonome devono fornire rapporti annuali sui pazienti a cui viene erogata la cannabis.
Cannabis legale
Il testo lascia senza dubbio scontenti moltissimi, dall’opposizione ai proponenti, a parte qualche deputato che si ritiene soddisfatto del balzo in avanti (in virtù di un personalissimo “piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”?). Il principale problema di questo ddl?
La produzione non basta per il fabbisogno nazionale: nell’ambito di una tavola rotonda a Bologna del 10 aprile, Elisabetta Biavati, paziente e fondatrice del “Gruppo cannabis terapeutica”, evidenzia le numerose difficoltà incontrate nell’ottenere il farmaco e la carenza di informazione. Infine, ciò che si teme, è che il ddl non sopravviva al poco tempo che ci separa dalla fine legislatura (nella quale il calendario obbliga una marcia forzata in direzione della legge elettorale, il Rosatellum bis, e approvazione della legge di bilancio).
Lo spazio bianco
Finora non si è fatto altro che porre qualche punto fermo nel caos normativo e politico nel quale ci troviamo. Ci sono casi in cui però si sente la necessità di aggiungere, di dire altro o, quantomeno, di puntare ben bene i riflettori e costringere a guardare ancora meglio, se tante volte si avesse la tentazione di volersi girare dall’altra parte, nello “spazio bianco”, quello che al momento sussiste tra Stato e libertà.
Libertà di poter accedere alle cure migliori per la propria persona, terapie efficaci per la propria patologia inclusi i cannabinoidi: secondo l’ultima revisione scientifica condotta dalle National Academies of Sciences, è stato dimostrato che sono stati promossi nel trattamento del dolore cronico, per tutte le patologie in cui è coinvolto il sistema nervoso centrale come Sla, Parkinson (suggerisco la visione di questo video), contro gli spasmi e anche in casi di lesioni midollari e di crisi convulsive in bambini farmacoresistenti.
A tutti coloro che pongono come argomentazione l’esistenza di limiti, contro indicazioni, tra cui anche la dipendenza (tutti elementi accertati dalla comunità scientifica, senza dubbio), suggerirei la lettura serale degli infiniti “bugiardini” di un qualsiasi medicinale che abbiamo a casa. Esseri dunque liberi di curarsi legalmente, senza ricorrere allo spacciatore di turno e contribuire ad arricchire i grandi clan della criminalità organizzata (qui alcuni numeri interessanti).
Di fatto, la repressione attuata dalla legge “Fini – Giovanardi”, che ha paragonato le droghe leggere a quelle pesanti, non ha prodotto altro che un sovraffollamento nelle carceri italiane, piene di piccoli trafficanti, “pesci piccoli” che non hanno minimamente risolto il problema dello spaccio.
Libertà di poter decidere quando, come e dove concludere la propria vita, libertà di sentirsi uomini e donne fino alla fine, degni di potersi considerare tali. Questo articolo nasce dopo DJ Fabo, accompagnato a morire in Svizzera dal Radicale Marco Cappato, accusato formalmente di aiuto al suicidio, e soprattutto dopo Loris Bertocco, attivista dei Verdi veneziano, che ha inviato una lunghissima lettera al quotidiano “la Repubblica” in cui spiega le sue motivazioni: avrebbe procrastinato la sua scelta, comunque irreversibile, se solo lo Stato non lo avesse lasciato da solo.
Questi sono i casi che ho potuto seguire più da vicino ma, come si può evincere dal bellissimo libro di Cappato (“Credere, disobbedire, combattere. Come liberarci dalle proibizioni per migliorare la nostra vita”, edito da Rizzoli) ce ne sono altrettanti, lettere disperate di aiuto inviate all’Associazione Luca Coscioni, persone comuni che amano la vita e vogliono terminarla nel migliore dei modi sia possibile. Scrive Cappato: “[…] una volta abbattuto l’amore della proibizione, il morire potrà essere restituito più pienamente all’ambito della cura e dell’amore“.
Concludo con le parole di Loris, emblema di una libertà negata e riconquistata con le forze rimaste, che ricorda a tutti che quella libertà è inviolabile: “Credo che sia giusto fare questa scelta prima di trovarmi nel giro di poco tempo a vivere in un istituto e come un vegetale, non potendo nemmeno vedere, cosa che sarebbe per me intollerabile. Proprio perché amo la vita credo che adesso sia giusto rinunciare ad essa vista la sofferenza gratuita sia fisica che spirituale che stanno progressivamente crescendo senza possibilità di revisione o di risoluzione positiva.
[…] Avrei però voluto che fosse il mio Paese, l’Italia, a garantirmi la possibilità di morire dignitosamente, senza dolore, accompagnato con serenità per quanto possibile. Invece devo cercare altrove questa ultima possibilità. Non lo trovo giusto. Il mio appello è che si approvi al più presto una buona legge sull’accompagnamento alla morte volontaria (ad esempio, come accade in Svizzera), perché fino all’ultimo la vita va rispettata e garantita nella sua dignità“.