Dubbi grammaticali | Vademecum per la grafia dei monosillabi
Facili da pronunciare, non altrettanto da scrivere: quali sono le grafie corrette dei monosillabi che usiamo più di frequente?
Generalmente, per le parole monosillabiche non andrebbe indicato l’accento, in quanto non possono sorgere dubbi su come debbano essere lette e pronunciate.
Tuttavia, la lingua si è dotata di alcune convenzioni per la resa grafica di queste forme, sia per disambiguare tra omofoni (parole diverse che si pronunciano allo stesso modo), sia per uniformità di scrittura. Tra accenti, apostrofi e h si può inciampare abbastanza facilmente in alcuni errori banali. Vediamo quindi i casi più frequenti.
Per le interiezioni (tutte quelle espressioni invariabili che tendenzialmente esprimono uno stato emotivo del parlante), l’ortografia italiana prevede di inserire l’h sempre in ultima posizione: si scrive quindi ah, eh, oh, mah, boh, beh. Per quest’ultima, però, si può optare anche per una forma più raffinata, ovvero be’, in quanto si tratta del troncamento di bene, esattamente come po’ lo è di poco.
A proposito, non spenderò altre parole per rimarcare che la grafia corretta è po’, anche se la forma pò è molto diffusa, come i social network permettono purtroppo di notare (nessun segno invece per il nome del fiume più lungo d’Italia: il Po). Un altro troncamento è la forma to’ (sia in frasi proprie come to’, prendi dieci euro; sia nel significato metaforico che indica sorpresa: to’, guarda chi si rivede): deriva infatti da togli, che anticamente aveva il valore di ‘prendi’.
Repetita iuvant: qua, qui, su si scrivono senza accento; là, lì, giù invece vanno sempre accentati. Ricordo inoltre di scrivere né sempre con l’accento acuto (è infatti sbagliato scrivere né): questo è uno dei casi per cui il correttore automatico dei programmi di scrittura impedisce molto spesso l’errore, e va dunque ringraziato.
Altro dubbio su quale accento utilizzare potrebbe riguardare il nome di una nota bevanda, che nei prossimi mesi torneremo a consumare regolarmente insieme ai biscotti: sto ovviamente parlando del tè (con l’accento grave); altra forma accettabile, ma più rara, è the.
Passiamo alla disambiguazione tra preposizioni e voci verbali. L’accento è d’obbligo per la terza persona singolare dell’indicativo di dare, cioè dà, che permette di distinguerla dalla preposizione da (la grafia della seconda persona singolare dell’imperativo dello stesso verbo è invece da’); diverso il discorso per la prima persona do: è più difficile infatti la confusione con la nota do, quindi l’accento va omesso. Non esiste poi la forma fà: si scrivono senza accento sia la forma verbale (egli fa), sia la preposizione (un anno fa), sia la nota musicale.
Di sapore regionale, ma con una lunga tradizione alle spalle è la forma mo’, ora, adesso’. Parola già dantesca, si scrive di norma senza nessun segno: la grafia mo’ rischierebbe infatti di fare confusione con la forma ridotta di modo, usata ad esempio nella locuzione a mo’ di (qui sì, da scrivere con l’apostrofo perché troncamento): da evitare tutte le grafie che inseriscono l’h (i vari moh, mho, etc.).
Per concludere, quella che più che una regola è una battaglia, e riguarda il pronome sé. La scuola insegna a non accentarlo quando seguito da stesso/a/i/e. Alcuni linguisti (con Luca Serianni, uno dei più importanti storici della lingua, in prima linea) hanno sollevato dei dubbi su questa regoletta ritenuta antieconomica, in quanto costringe ad adattare la grafia della forma in questione al contesto in cui la si utilizza.
Non si vede in effetti quale sia l’effettiva utilità di togliere l’accento; la grafia sé stesso sarebbe non solo più coerente e naturale, ma permetterebbe una totale disambiguazione che viene invece meno con l’omissione dell’accento: è vero infatti che il contesto aiuta senza dubbio a capirne il significato, ma leggendo la sequenza se stessi si potrebbe pensare inizialmente di essere di fronte alla preposizione se seguita dal congiuntivo di stare (ed aspettarsi una frase ipotetica del tipo se stessi bene, uscirei questa sera).
Probabilmente non si smetterà scrivere se stesso e la regola, sostenuta dalla forza della tradizione, manterrà la sua vitalità (nonostante il correttore automatico suggerisca di inserire l’accento): è però importante, in ogni caso, avere la consapevolezza che entrambe le grafie sono del tutto accettabili.