La sicurezza mondiale si nutre della sicurezza dell’acqua
La tendenza è che le dispute sulle risorse d’acqua mondiali diventino sempre più accese. Saremo pronti?
Era il tardo pomeriggio del 5 novembre 2015 quando gli abitanti di Bento Rodrigues, nel sud-est del Brasile, si resero conto che stava accadendo qualcosa di strano al Fiume Doce, fonte di approvvigionamento idrico della regione.
Ben presto, hanno visto quello che sembrava incredibile: una marea di fango, accompagnata da un rumore assordante, traboccava dal letto del fiume e portava tutto via con sé: la terra, gli alberi, le case.
La popolazione ha appena avuto il tempo di scappare, lasciando tutto alle loro spalle. Hanno trascorso la notte successiva rifugiandosi sui colli circostanti, a guardare la cittadina che veniva sepolta.
La tragedia del Rio Doce, il più grande crimine ambientale nella storia del paese, ha causato la morte di 19 persone e, secondo il parere di molti ricercatori, del fiume stesso – che per 600 dei suoi 853 km è stato interessato dalla fuoriuscita di 60 milioni di metri cubi di scarti di miniera.
Anche se le agenzie governative garantiscono che, dal 2016, i livelli di metalli nelle acque sono tornati nell’intervallo di normalità, le perdite per l’ecosistema e per gli abitanti del bacino del fiume sono irreversibili.
Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, la costruzione di una diga in Etiopia mette in pericolo il Nilo, uno dei fiumi più importanti del pianeta. Il governo egiziano teme che la costruzione possa influenzare negativamente il suo approvvigionamento idrico, che dipende per il 90% dal fiume.
Anche se l’Etiopia insiste nel sostenere l’assenza di rischio per Egitto e Sudan, l’Università del Cairo ha stimato che il Paese potrebbe perdere il 51% delle terre coltivabili nel caso in cui il bacino idrico artificiale venisse riempito in tre anni. Anche soltanto un completamento in sei anni costerebbe comunque il 17% della terra coltivabile del paese.
Questi sono solo due esempi dei gravi problemi causati dalla mancata gestione delle risorse idriche (o della loro salvaguardia). Non sorprende che la parola “rivale”, sinonimo di “concorrente”, deriva dal termine latino rivus, che significa “corso d’acqua”. Vale a dire, i rivali erano quelli che condividevano lo stesso fiume.
Se l’uso dell’acqua è controverso già da tempo immemorabile, la tendenza è che le dispute su questa risorsa diventino sempre più accese. Secondo gli esperti dell’IPCC, il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, oltre il 7% della popolazione mondiale subirà una riduzione del 20% della disponibilità di acqua per ogni aumento di 1° C della temperatura della Terra. L’OMS, da parte sua, stima che entro il 2030 il numero delle persone colpite dalle inondazioni sarà tre volte superiore a quello attuale.
Molta acqua sotto i ponti
L’uso dell’acqua è stato tema del Summit Internazionale “Acqua e clima. I grandi Fiumi del mondo a confronto“, tenutosi a Roma lo scorso ottobre. Durante l’evento, i responsabili per i bacini idrici più significativi di tutti i continenti si sono incontrati per discutere la sfida della gestione delle acque nei prossimi decenni.
Nell’incontro, che in futuro avrà cadenza triennale, è stata elaborata la Carta di Roma, nel cui contesto si è collocata anche un’iniziativa di promozione della resilienza e del monitoraggio dei bacini transfrontalieri Africani, che sono quelli più a rischio. Il Ministero dell’Ambiente italiano si è impegnato con un contributo iniziale di 5 milioni di Euro.
La Carta di Roma è anche un messaggio importante per le discussioni della Conferenza mondiale sul clima (COP-23), che si è svolta in questi giorni a Bonn, in Germania. Un tentativo affinché il problema dell’acqua sia visto con la dovuta urgenza, non solo per quanto riguarda eventi futuri, ma anche per i danni già fatti a livello globale e regionale – come sa la popolazione del sud est del Brasile, che – a due anni dalla tragedia che ha annichilito il suo fiume –, ha visto ancora pochi progressi nel recupero dell’ambiente e della vita precedenti.