L’avventura estrema dell’ultracycling: intervista a Omar di Felice
Ama il suo lavoro ed è pronto per le sue prossime avventure: Omar Di Felice si racconta a Ghigliottina parlandoci dei suoi progetti, dall’Islanda in poi
Ho avuto il piacere di incontrare Omar Di Felice, campione Italiano di ultracycling, disciplina durissima ma che ha molto da insegnare. Una disciplina che ha plasmato anima e cuore di questo ragazzo che si è aperto a noi raccontandoci il suo lavoro e raccontandosi attraverso esso.
“Hai modo di esplorare te stesso prima dei luoghi che andrai a vedere”: questa frase, pronunciata durante l’intervista che ci ha rilasciato pochi giorni prima di partire per una nuova impresa in Islanda, ci aiuta a capire molto dello sport che ha scelto e di come essa sia dura ma al tempo stesso formativa. D’altronde pedalare per ore ed ore tanto di giorno quanto di notte sottopone corpo e spirito a sforzi che inevitabilmente, una volta metabolizzati aiutano chi li compie a considerare diversamente la sua vita.
Omadr, da dove nasce la tua passione per l’ultracycling?
Ho fatto il ciclismo professionale per tanti anni, ho fatto anche un anno da professionista e ho sempre praticato il ciclismo, se non che ad un certo punto della mia vita e della mia carriera ho deciso di seguire quella che era una mia indole: quella dell’estremo. Ho sempre avuto la passione per le lunghe distanze, per il freddo, l’inverno per queste lunghe spedizioni no-stop.
Ho iniziato prima con alcune gare e poi ho provato ad avventurarmi in solitario. La mia prima avventura in tal senso è stata il cammino di Santiago partendo da Lourdes in 4 giorni nei quali ho fatto 1.200 km da solo con uno zaino. Questa rotta non l’ho scelta per motivi religiosi ma semplicemente perché, essendo una strada conosciuta e ben battuta era un modo come un altro per darmi un itinerario fisso senza pensare di studiarmene uno come poi farò in seguito.
Avevo dei giorni di ferie dal lavoro e mi sono detto “Prendiamo lo zaino e facciamo questo cammino”. L’ho fatto a novembre, era freddo, ho attraversato i Pirenei. Da li una cosa ne ha tirata un’altra, si è creato un interesse attorno alle mie avventure, sono subentrati degli sponsor, alcune televisioni mi hanno chiesto i video delle avventure che facevo ed ho iniziato quindi a raccontarle. Poi sono riuscito nell’intento di trasformare questa cosa in una professione, nella mia vita. Questa è stata la genesi della mia carriera.
Recentemente hai celebrato a tuo modo i 100 anni del Giro d’Italia, partendo e tornando a Roma girando lo Stivale. Cosa ti ha spinto a fare questo viaggio e da dove nasce questa tua passione per le grandi distanze?
L’ho svolto durante la 100ª edizione del Giro e volevo fare un qualcosa che commemorasse quella che è la corsa più importante. Ho iniziato a pensare cosa potessi inventarmi ed ho voluto fare una cosa particolare: fare più o meno lo stesso chilometraggio che si fa durante la Corsa Rosa e farlo in maniera non-stop, andando a toccare tutte le regioni italiane. La cosa ha voluto che io per toccare tutte le regioni dovessi marcare un punto di partenza ed uno d’arrivo vicini. Al che ho detto, “Partiamo da Roma che è la mia città e torniamo a Roma” e dal punto di vista personale ha avuto un grande impatto partire e tornare da “casa” unita al fatto che avendo avuto il patrocinio del CONI sono partito dallo stadio dei Marmi e quindi è stata una manifestazione ufficiale”.
Ora ti appresti ad andare in Islanda. Sappiamo che ci sei già stato ma cosa ti porta a compiere questo viaggio in solitario? Questa meta ultimamente è molto battuta, una vera “Mecca” per gli sportivi.
Ho scoperto l’Islanda 10 anni fa, la prima volta è stata tramite un viaggio a piedi che non fu né un avventura, né un impresa. Era un mio viaggio personale a piedi in inverno con uno zaino. Non avevo una meta precisa. Poi la mia vita si è evoluta, ho fatto altre avventure, ho fatto una non-stop ed una gara in questo paese, che ha sempre fatto parte della mia carriera e che volevo segnasse il mio “esordio” in solitario.
Partirò con tutto il necessario affinché non abbia bisogno del supporto di un auto al seguito. Questa è la cosa particolare in quanto la paragono alle grandi spedizioni alpinistiche con gli alpini che vanno completamente da soli sarà la mia prima sfida invernale ed ho deciso di farla in un posto che da un lato conosco ed ha forte valore perché a esso sono legati molti miei bei ricordi”.
Dopo l’Islanda andrai sulla Arctic Highway in Canada: parlaci anche di questa futura spedizione.’
L’Islanda è una questione di cuore. Mi sono alzato una mattina ed ho deciso di fare questa impresa. Ho prenotato i biglietti ed ho deciso di farla. Il Canada è un qualcosa di studiato a tavolino, sono mesi che ci sto lavorando e da quando è stata aperta la nuova Arctic Highway, una strada di 150 km che congiunge Inuvik a Tuktoyaktuk, il punto più a nord nei territori del nord-ovest. Basti pensare che questo paese non era legato al resto del Canada e tu potevi raggiungerlo solo in aereo.
Per la prima volta un ciclista affronterà questa highway e lo farà in inverno. Ho scelto un percorso di 1.500 km che partirà da Whitehorse, nello Yukon, attraverserà questa regione e punterà a nord. Sarò il primo ciclista a fare questo percorso in inverno. Quella sarà un’avventura vera e propria con l’auto di supporto al seguito ed ho con me Air Canada la compagnia aerea canadese come main partner che girerà insieme a me un documentario e poi faremo un piccolo film di questa avventura estrema. L’Islanda sarà una sorta di preparazione per il Canda”.
Perché gare su lunghissime distanze?
Ho sempre avuto una grande passione per l’estremo. Essendo ciclista ho unito le due cose e mi sono lanciato in quello che è l’estremo nella mia disciplina ossia l’ultracycling. È stato un percorso che mi ha portato a scoprire i miei limiti, andare oltre e capire che la differenza tra l’ordinario e l’ultra è semplicemente nella testa e non nell’allenamento fisico. Questa è una cosa bellissima perché hai modo di esplorare te stesso prima dei luoghi che andrai a vedere e vivere delle esperienze che, come dico spesso chi non ha vissuto non può comprenderlo fino in fondo perché durante queste lunghe traversate vedi cose, hai sensazioni che normalmente non hai e scopri quanto il fisico se supportato dalla testa può andare oltre quelli che sono i suoi limiti apparenti.”
Che emozioni hai provato durante la tua prima gara, durante la tua prima esperienza?
La prima gara di ultracycling fu in Austria ed in realtà non mi ero neanche allenato. Non avevo mai pedalato di notte. Non avevo mai provato tutto quello che fa parte dell’ultra. Ricordo che fu un piccolo insuccesso perché mi ritrovai dopo 15 ore in sella nel cuore della notte su un passo completamente svuotato da ogni energia ed io mi ricordo che mi ritirai da quella gara, salii in ammiraglia e dissi ai miei ragazzi che non l’avrei fatto mai più.
Il giorno dopo andai a casa e stavo già progettando quando risalire in sella. È un gene che piano piano si è insinuato dentro di me e penso che il successo passa attraverso delle grandissime sconfitte. Sono loro che ti insegnano a come avere successo. Sia in questo sport che nella vita di tutti i giorni.
Mi hai detto che durante questi viaggi si vivono e provano emozioni diverse. Quanto averle vissute ti ha aiutato nei processi decisionali della vita di tutti i giorni?
Io dico sempre che quello che faccio è un allenamento per la vita di tutti i giorni. Io mi ritrovo a non conoscere la parola “non è possibile”, questo non si può fare, questo è difficile. Perché di fronte a delle grandi fatiche, a delle grandi montagne da scalare, perché poi alla fine quando stai 8 giorni in sella come nel caso del Giro d’Italia non-stop, tutto il resto ti sembra nulla a confronto, ti sembra qualcosa di “normale” di “affrontabile”.
L’ultra cycling per me è anche una scuola di vita ed un modo per affrontare meglio le difficoltà di tutti i giorni; basti pensare che ho allenato molto la capacità di riposare in maniera veloce. Quindi mi bastano poche ore di sonno per essere fresco e riposato ed avere la sensazione di aver recuperato rapidamente. Durante le giornate normali comunque, se prima facevi 10 cose, ora riesci a farne 20 senza accusare la fatica che è più mentale che fisica: il nostro problema con lo stress è che è una cosa mentale, non fisica. Se siamo in grado di sbloccarci a livello mentale il nostro corpo potrebbe supportarci più di quanto pensiamo.
In conclusione, progetti per il futuro?
Ad aprile avrò un’altra avventura di promozione che è la Appennini Bike Tour, inaugureremo una nuova via lungo gli Appennini, saranno 2.200 km attraverso tutta la dorsale appenninica, dalla Liguria alla Sicilia, sarà un lungo giro di promozione del territorio a tappe e con queste due avventure invernali e questa di promozione tiro una linea perché finisce la prima parte della mia stagione. Al momento sono concentrato su questi obiettivi e non riesco a pensare ma ho già in testa qualcosa di importante per i prossimi mesi”.
Quando torni facciamo un resoconto sulla tua esperienza?
Assolutamente!
Andrea Pulcini