Genio e sregolatezza: a Roma il mito del Chelsea Hotel
Nei suoi corridoi s’incrociarono i più provocatori talenti della seconda metà del ‘900. Ora il Chelsea Hotel, luogo dell’anima newyorchese, rivive nella Capitale in una mostra con gli scatti di Gerald Bruneau
«Trovate anche voi il vostro Chelsea Hotel. Cercate il posto in cui incontrarvi per mettere insieme creatività, energia ed entusiasmo». In poche parole Patti Smith riassume, a una folla di studenti, l’essenza di quello che è stato a lungo il cuore pulsante della New York più creativa, simbolo di controcultura alternativa, punk e bohémien.
A quel mito e a quell’atmosfera di spregiudicata avanguardia è dedicata a Roma la mostra “Kaleidoshisokaos. Fotografie dal Chelsea Hotel” – fino al 25 febbraio 2018 a Palazzo Cavallerini Lazzaroni – con le immagini scattate dal reporter monegasco Gerald Bruneau, che ha frequentato gli spazi vittoriani dell’albergo tra gli anni ’70 e ’80.
“Era un contesto effervescente, ricco di allegria e creatività” racconta il fotografo, con la musicalità ancora intatta del suo accento francese. “Al tempo – continua – collaboravo con la Factory di Andy Warhol e, trovandomi lì, colsi l’occasione per fotografare gli abitanti dell’hotel. Persone molto diverse tra loro che componevano però un corpo unico, una sorta di casino armonioso. C’era il critico d’arte del New York Times, il cantante punk Shizu, oppure Alpheus Cole, pittore di 114 anni che viveva lì da 35 e per parlare usava un corno”.
Eppure oggi, passeggiando tra le strade affollate e modaiole di Chelsea, non si direbbe che quel palazzone in mattoni rossi, avvolto dalle impalcature per ristrutturazione, sia stato attraversato da una folla di musicisti, scrittori e artisti che avrebbero lasciato un segno indelebile nella storia culturale del ‘900.
La lista è lunga: Mark Twain e Charles Bukowski, Bob Dylan e Allen Ginsberg. Qui Jack Kerouac scrisse “Sulla strada” e sempre qui, con una battuta in ascensore, s’innamorarono Leonard Cohen e Janis Joplin. Ma a intrecciarsi con tanta vitalità ed entusiasmo furono negli anni anche storie di eccessi e fatti drammatici, come la fine per overdose di Sid Vicious dei Sex Pistols, che poco prima era stato accusato di aver ucciso proprio in quelle stanze la compagna Nancy Spungen.
“Era una giungla di gente strana e sopra le righe – spiega il reporter – e qualcuno alla fine si è bruciato. Ma provavo una profonda empatia nei confronti di quelle persone. Condividevo con loro la vita nell’hotel, benché ogni tanto me ne staccassi per realizzare i miei reportage in giro per l’America”.
Quella di Gerald Bruneau è stata infatti un’attività camaleontica. Nella lunga carriera, con il suo obiettivo ha raccontato storie disparate: dalla campagna elettorale di Jesse Jackson, secondo afroamericano a presentarsi per la carica di Presidente degli Stati Uniti nel 1988, al viaggio alla scoperta delle origini del Blues nel delta del Mississippi. Dagli scatti del conflitto arabo-israeliano fino ai i più recenti ritratti, ironici e provocatori, dei Bronzi di Riace con boa di piume e tanga.
“Mi sono sempre divertito” – commenta vivace Bruneau – “d’altronde quando si fa arte è importante prendersi un po’ in giro, con leggerezza. Bisogna saper suscitare reazioni, sia positive che negative. Se no la vita è piatta. Quello al Chelsea Hotel è stato un periodo eccitante. Mi fa sempre molto effetto rivederne le immagini. Anche se di solito, dopo un po’ di tempo non riesco più a guardare le mie foto. Inizialmente mi piacciono, poi le sento più distanti. Sarà il tempo che passa”.