Elezioni 2018: il Sud si è ribellato
Al netto di vincitori e vinti, il dato più importante che è uscito dalle urne è quello di un Sud in rivolta. Stufi di una classe politica inappropriata, gli elettori meridionali hanno lanciato un messaggio forte. Un grido di guerra, contro anni di politiche clientelari
All’indomani delle più “spietata” campagne elettorale che la storia repubblicana ricordi, due considerazioni su tutte appaiono doverose. La prima: vista l’affluenza al 73% l’astensionismo non è più il primo Partito, come titolava La Stampa lo scorso lunedì. La seconda, invece, è più “scolastica” e sarà utile a storici e politologi per contestualizzare il passaggio alla III Repubblica. Quella dei cittadini, ma nel vero senso della parola ci tiene a precisare Luigi Di Maio. Con quel che resta dei Partiti tradizionali messi in soffitta o, al massimo, rilegati a ruolo di semplici comprimari. Della serie: guardate ma non toccate.
Quello che, invece, si può toccare con mano è un Paese sempre più spaccato a metà. Se fino ad ora, infatti, l’Italia era stata divisa in soprattutto dal punto di vista economico, da ora lo è anche da quello politico. E le due cose, secondo alcuni, vanno a braccetto. Perché il voto del 4 marzo, tra mille incertezze una cosa l’ha confermata. Ovvero, un Sud Italia a cinquestelle – e purtroppo in questo caso il riferimento è solo elettorale – con Acerra Capitale politica e un Nord che si è riscoperto più leghista oggi di quando c’era Umberto Bossi e la Lega Lumbard.
Le ragioni sono presto dette. Se per Matteo Salvini vale quanto detto finora e cioè, che la Sinistra ha smesso di fare la Sinistra disertando le fabbriche e preferendo rinchiudersi al caldo dei caminetti dell’alta borghesia, per il M5S, invece, le cose sono un po’ più complesse. Almeno quanto lo sono i problemi di un meridione ormai in ginocchio. I ben informati parleranno di voto di protesta, e a ragione. Sebbene sarebbe, comunque, troppo riduttivo e forviante congedare il “Capotto siciliano” come un semplice malcontento generalizzato. Il gesto simbolico di chi vuole attirare su di sé l’attenzione altrui.
Quella che si è abbattuta sul Sud Italia, invece, è stata una vera e propria “ondata di rancore attesa e temuta” – scrive Gian Antonio Stella sul Corriere. “Collera tossica”, come i fumi dell’Ilva o della Terra dei fuochi. Per un establishment incapace di rilanciare questa parte del Paese. Offrendo ai suoi giovani opportunità e prospettive per il futuro e alle famiglie sicurezza e stabilità economica. Il Sud è stato lasciato marcire e la sua gente se n’è resa conto. Suonano ancora come una sentenza di morte le parole pronunciate dal Presidente dell’ISS Walter Ricciardi a Presadiretta poco più di un mese fa.
Il risultato uscito dalle cabine elettorali, quindi, ha tutte le carte in regola per essere considerato lo sfogo di un malessere diffuso ed irreversibile. Per un collasso economico, sociale e sanitario che non ha precedenti in tutta l’Europa a 28 Stati. Impoverimento, disoccupazione, degrado delle periferie e un’infanzia divorata da un indice di povertà assoluta che fa rabbrividire (1 bambino su 6 vive questa condizione) hanno finito per portare acqua al mulino pentastellato. Ed è qui che la promessa di un reddito di cittadinanza a giocato un ruolo decisivo. #chivivràvedrà
C’è di più, però. Secondo l’ultimo dossier di Eurispes, quello del 2018, alla domanda: quali di questi elementi rappresentano un pericolo per la sua vita personale e per la sua famiglia? Le risposte più gettonate sono state: la mafia, la corruzione e, udite udite, i politici incompetenti. Colpevoli, si legge tra le righe, di aver letteralmente buttato via per decenni milioni di euro dei fondi europei che, diversamente, sarebbero potuti servire per rimettere in carreggiata le regioni meridionali. Limando il gap che le separa da quelle del Nord industrializzato e Mitteleuropeo.
Non c’è bisogno di essersi laureati alla Chicago State University per rendersi conto che altrove quei soldi sono stati spesi bene e con una visione lungimirante. Ne sono un esempio lampante la Repubblica Ceca, dove tutte le regioni hanno un Pil superiore a quello del Sud Italia, o la Slovenia e la Slovacchia. Da noi questo non è successo e gli effetti sono davanti agli occhi di tutti. In un’ottica sadomasochistica, tanto peggio di così non si può, si potrebbe citare anche la remota regione bulgara dello Yugozapaden che dal 2000 ha sorpassato di gran lunga il Sud, in termini di crescita economica.
Infatti secondo un altro Rapporto, quello Svimez 2017, se al Centro-nord l’occupazione è salita ai livelli precrisi. Al Sud le cose vanno male. Anzi, azzarderemmo malissimo addirittura! Con il tasso di disoccupazione peggiore d’Europa (35% in meno rispetto alla media EU), il Meridione è diventato il fanalino di coda. I dati emersi da un’inchiesta de Il Mattino, poi, non lasciano spazio a interpretazioni diverse. Dal 2008 al 2014, si legge, il Sud a perso 47,7 miliardi di Pil, 23.000 imprese e 600.000 posti di lavoro. Facendo perdere alle varie regioni meridionali, secondo lo European Regional Competitivenes Index, rispettivamente 26 posti alla Campania, 29 alla Puglia e 30 alla Sicilia.
Un disastro totale, quindi. Figlio di politiche economiche colpevolmente sbagliate. Non c’è da stupirsi allora se nel marasma generale che ha colpito il Sud in questi anni, la rabbia sia montata e si sia trasformata in un plebiscito per il Movimento 5 Stelle. Unico barlume di speranza nel grigiore di una situazione a limite della disperazione. La conferma di quanto sarebbe accaduto era arrivata, in tempi non sospetti, anche dal Censis. Il quale aveva avvertito che “il dividendo mal distribuito della ripresa economica e il blocco della mobilità sociale avrebbe prodotto rancore”.
Ora che le più tetre previsioni si sono avverate è necessario prendere provvedimenti adeguati. Invertendo la marcia. Pena, questa volta sì, la completa sfiducia nell’intera classe politica. Il futuro politico del M5S è, evidentemente, incerto. Colpa di una legge elettorale impossibilitata a dare un vincitore. Di sicuro, però, la responsabilità e le aspettative che gravano su Di Maio & Co. sono molto grandi e, con tutta probabilità, sarà anche l’ultima chance che la politica ha per recuperare credibilità. Se le cose non andranno nel modo giusto, se quei milioni di cittadini non riceveranno risposte, non ci sarà più un’altra occasione. Il Sud imploderà su stesso e a quel punto saranno tutti responsabili.