Davide Astori, una vita spezzata troppo presto
Morire a 31 anni. Dentro una camera d’albergo. Che un destino simile sia capitato ad un calciatore poco importa. È triste trovarsi a piangere un giovane uomo intento a fare ciò che amava di più. Questo è quanto accaduto a Davide Astori
Svegliarsi. Fare colazione. Prestare attenzione a non fare tardi: pena una multa. Una routine consolidata per tutti i calciatori che vanno in ritiro in attesa di disputare un incontro in trasferta. Il giorno che porta alla partita si apre sempre così.
Ed in questo modo sicuramente avranno vissuto la mattinata I giocatori della Fiorentina a Udine. Tra risate, schiamazzi e racconti di vario genere a tutti è balzata agli occhi un’assenza: quella del loro capitano.
Perché Davide Astori era sempre il primo a scendere e non vederlo ha destato un misto di incredulità e preoccupazione. In quegli attimi molti avranno pensato che magari si sia voluto riposare più del solito o che banalmente non avesse sentito la sveglia. Ma i minuti passavano e lui non scendeva e non rispondeva al telefono.
Allora è stato mandato un massaggiatore della squadra a sincerarsi della situazione. Avrà bussato alla sua porta, lo avrà chiamato ripetutamente ma dall’interno di quella camera non udiva risposta.
Dormiva da solo Davide, quindi preso dalla curiosità mista a preoccupazione il massaggiatore avrà chiesto al personale dell’albergo di fargli aprire la porta, con un passepartout.
Una volta che la camera è stata aperta si è scoperta la triste notizia. Il corpo di Davide Astori era esanime sul suo letto. Il volto sereno di chi non ha sofferto. L’animo pacioso di chi magari stava già pensando a come affrontare i prossimi avversari.
Morire da atleta a 31 anni è un colpo tremendo. Amava il suo lavoro, viveva una vita regolare. Nulla induceva a pensare a questo tragico epilogo per la vita del difensore bergamasco.
La parola sofferenza nel mondo dello sport spesso viene usata per descrivere la gravità di un fallo o l’entità di un infortunio. Ma raramente per descrivere la morte. Quando ciò accade il mondo del pallone si ferma. E così è stato anche questa volta. Ha girato molto per l’Italia Davide.
Dal Milan che lo ha accolto nel suo settore giovanile. A San Giovanni Bianco, in provincia di Bergamo, sua città natale da cui è partito pieno di speranze. Passando per la Sardegna, più precisamente per Cagliari. Lì ha passato una grande fetta della sua carriera. Molte persone legate a lui fanno ancora parte del mondo rossoblu e saputa la notizia hanno chiesto di non giocare. Pizzighettone e Cremona sono tappe intermedie ma non meno importanti del suo percorso che lo ha visto giocare anche un anno alla Roma prima di vivere a Firenze la sua ultima parentesi di carriera.
Era amato da tutti i suoi compagni. Questo amore in un giorno come questo si è trasformato in sofferenza e sono stati gli stessi giocatori a chiedere di non giocare. Richiesta ben accolta dalle alte sfere del mondo del pallone che per rispettare la sofferenza di molti ha deciso di fermare sia la Serie A che la Serie B.
Il nostro paese non è nuovo ad episodi simili. È datato 8 agosto 2009 il decesso, nel centro tecnico di Coverciano dello spagnolo Daniel Jarque. Il giocatore dell’Espanyol ha avuto un destino simile a quello di Astori.
Dani era un giocatore molto amato dai suoi compagni tanto che Andres Iniesta durante la finale mondiale vinta con l’Olanda, dopo aver realizzato un goal mostra una maglia atta a celebrarlo.
In questi casi parlare di cause ed effetti che hanno portato al nefasto evento è deleterio e distoglie l’attenzione dalla cosa più importante: una vita spezzata.
Perché il brutto arriverà ora. Per una moglie ed una figlia che non vedranno più tornare a casa il loro “uomo”. Per i compagni di squadra ai quali mancheranno quelle routine, quelle piccole abitudini che contraddistinguevano il calciatore Astori. Al tecnico della Fiorentina, Stefano Pioli, che perde il suo leader in campo. Ma soprattutto ai tifosi che, come testimoniato dalle manifestazioni spontaneamente partite, lo avevano ben accolto come simbolo della loro squadra del cuore.
Quando un ragazzo muore è un male per tutto il sistema. La scomparsa di una persona eleva questo sport. Aiuta a capire come nell’analizzare una partita non si possa perdere troppo tempo sugli errori arbitrali, sulle chiacchiere da bar, ma bisognerebbe anche capire ed apprezzare lo sforzo profuso dagli uomini che ogni domenica allietano le platee degli stadi.
Non è stato lasciato solo Davide Astori. Il giorno del suo funerale, la scorsa settimana, Firenze è stata invasa da tifosi di ogni squadra e colore, unito nel dolore di un ragazzo che troppo presto è volato in cielo. Ha messo anche lo zampino dal cielo nella vittoria della “sua” Fiorentina ieri contro il Benevento. Una partita speciale. Perché prima dell’ingresso in campo la coreografia della Fiesole toglieva il fiato. ma l’omaggio più bello è arrivato al minuto numero 13. In quell’istante i 22 in campo si sono fermati ben coadiuvati da un arbitro che ha compreso la situazione permettendo a giocatori e tifosi di rendergli omaggio. ma il top è stato raggiunto quando Vitor Hugo, suo sostituto con il numero 31 ha realizzato la rete del vantaggio quando gli orologi segnavano le ore 13. Episodi come questi aiutano a capire che forse il calcio non è solo un gioco. Ma qualcosa di più.
I Queen in un loro celebre successo cantavano “The show must go On”. Lo show deve andare avanti e ci andrà. Le polemiche ed il chiacchiericcio da stadio non terminerà certo con la morte di un calciatore così come non cesseranno le violenze e quanto di brutto questo mondo produce. Ma, sarebbe bello se si ripartisse da qui per capire che questo è uno sport nel quale è giusto buttare la passione, affannarsi per un rigore dato o negato. Per un fallo fatto o subito ma che viva il suo circo di stranezze fatto di insulti, sfottò, battute, dentro i 90 minuti, dentro il rettangolo verde. Perché la vita è un bene prezioso e dovremo ricordarcene anche quando, non ci pensa la morte a farcela apprezzare.