Presidenti di Camera e Senato, tutto quello che c’è da sapere
A poco meno di 20 giorni dal voto per il rinnovo del Parlamento, le due neo-Camere si sono riunite per eleggere i rispettivi Presidenti. Sarà il primo test di alleanza per formare un Esecutivo o la solita routinaria prassi parlamentare?
Lo scorso 4 marzo le urne ci hanno consegnato una fotografia elettorale a tinte fosche: un partito vincitore (Movimento 5 Stelle) per numero di preferenze singole ricevute. Battuto, però, da una coalizione espressione di tre partiti. Il primo dei quali, ovvero la Lega di Matteo Salvini, di fatto rivendica l’assegnazione della leadership che, tuttavia, appare meno legittimata dal voto popolare di quella attribuita al capo politico del M5S. Tranquilli, ad averci capito poco sono in molti. A risolvere il rebus della formazione del nuovo Governo ci penseremo poi e, magari, l’elezione dei nuovi Presidenti di Camera e Senato può aiutarci a capire come evolverà la dinamica dei giochi.
Come si eleggono
Secondo quanto richiesto dai regolamenti, per assicurare legittimazione e prestigio ai Presidenti occorre che la maggioranza sia quanto più ampia possibile.
Per l’elezione del presidente del Senato: i primi due turni di voto richiedono una maggioranza assoluta (50%+1) dei componenti dell’Aula, mentre al terzo turno è sufficiente la maggioranza più uno dei presenti in Aula.
Né i M5S né la Lega hanno, però, i numeri per procedere autonomamente Occorre, quindi, che si raggiungano degli accordi. Giocando a fare le combinazioni, su un totale di 321 senatori, la maggioranza può essere espressa così: “M5S + Lega” raggiungendo 170 voti, oppure “Centrodestra unito + PD” = 190, oppure “M5S + PD” = 165. “Forza Italia + PD”? Niente patto del Nazareno questa volta, i numeri non ci sono.
Arrivati a questo punto, però, dobbiamo anche considerare l’eventualità che nessuno di questi accordi vada a buon fine. Che si fa? La presidenza è assegnata con ballottaggio tra i due più votati e, escludendo il PD che rivendica il ruolo di opposizione, il Senato passerebbe al centrodestra unito.
È eletto presidente della Camera il deputato che riceve la maggioranza qualificata (i ¾) dei voti dei componenti al primo turno, di quelli dei presenti al secondo e terzo. Mentre dal quarto turno in poi sarà sufficiente la maggioranza dei presenti (niente ballottaggio! Ad libitum!). Nei fatti si ricrea la stessa situazione del Senato: numericamente sarebbe ottimale un accordo centrodestra + M5S già alla prima votazione, dalle seguenti invece Lega + M5S.
Cosa fanno
Esemplifichiamo: sono espressione delle Camere e ne organizzano l’attività. Complichiamo: durante i lavori in Aula dirigono e moderano discussione e voto attraverso l’interpretazione dei regolamenti. In questo senso, ogni scelta del Presidente è inappellabile. Per garantire l’ordine dispone di poteri disciplinari che possono arrivare alla censura o espulsione del parlamentare dall’aula. Elaborano, poi, il calendario dei lavori – di cosa bisogna discutere e quando – e alla Camera questo compito non è di semplice arbitro: quando non c’è accordo tra i capigruppo, infatti, a decidere è direttamente il Presidente che, presumibilmente, si farà voce della sua maggioranza. Entrambi sono i primi consiglieri del Capo dello Stato – dapprima a loro Sergio Mattarella si rivolgerà per iniziare l’iter di formazione del Governo – e nel caso del Presidente del Senato questi può supplire alle funzioni del Presidente della Repubblica nel caso questi sia, momentaneamente, assente.
L’elezione dei presidenti di Camera e Senato può incidere nella formazione del Governo? Dobbiamo premettere che non abbiamo una maggioranza autonoma, ma per dare alla luce ad un Esecutivo dobbiamo fare una coalizione. Pertanto, in termini di giudizio di valore non ci sono automatismi tra l’elezione del Presidente e la formazione di un Governo, ma in termini di fatto può – tranquillamente – darsi che ci siano trattative in corso sia interne alla coalizione (centrodestra) che con gli altri partiti.
Non ci appassiona il toto-nomi, ma stanti le voci più ricorrenti alla Camera potremmo vedere Roberto Fico o Riccardo Fraccaro (M5S); al Senato Paolo Romani o Anna Maria Bernini.
Curiosità. Pare che fare il presidente della Camera non sia più un’apripista per future cariche d’alto rilievo. Si pensi a Sandro Pertini, Oscar Luigi Scalfaro o Giorgio Napolitano dapprima presidenti di Aula poi Capi di Stato. Su Irene Pivetti, Luciano Violante, Pier Ferdinando Casini o Gianfranco Fini gli analisti non puntano grandi cifre.
L’immagine in evidenza è tratta da Corriere.it